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Un Dante più che attuale in “Santa Croce” : Fuori le Mura


Un Dante più che attuale in “Santa Croce”





6 agosto 2012 |



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Santa Croce illuminata da un blu soffuso, un palco in legno semplice ed elegante.
Roberto Benigni balza sulla scena come un giullare di corte, saltellando qua e là, saluta Dante (la cui statua padroneggia sulla sinistra della basilica) come fosse un vecchio amico e non smette di urlare: “Quant’è bella questa piazza, così piena di gente, quant’è bella Firenze!”.

“Tutto Dante 2012” sceglie Santa Croce come cornice estiva dei canti dell’Inferno: dal 20 luglio al 6 agosto, quasi ogni sera Benigni intrattiene fiorentini e non con una lettura diversa, “Perché ai nostri figli dobbiamo lasciare non solo un futuro, ma anche un passato”, spiega sul palco.
Sono già diversi anni che l’attore italiano porta in giro per l’Italia la Divina Commedia; le sue letture non smettono però di affascinare. Anche il 2 agosto Santa Croce pullula di gente, nonostante non si tratti di un “Paolo e Francesca”, ma di un canto più descrittivo, meno noto e anche più complesso. Quello che a Benigni si deve riconoscere (simpatie e antipatie a parte) è la sua capacità di rendere Dante facile, divertente e attuale, di avvicinarlo alla gente e di farne riscoprire la bellezza, spesso offuscata dal rigore e dalla freddezza di analisi testuali da liceo.

Anche stavolta, per non smentirsi, l’attore inizia con una carrellata di battute, da Renzi che “Per fortuna stasera non siede fra noi” a Berlusconi, Monti e via dicendo, per poi tuffarsi, senza quasi farlo notare, nell’undicesimo canto dell’Inferno.
E così il pubblico si ritrova con Dante e Virgilio sull’orlo del sesto cerchio, dove sono puniti gli eretici.
“Figliuol mio, dentro da cotesti sassi son tre cerchietti di grado in grado, come que’ che lassi. Tutti son pien di spirti maledetti; ma perché poi ti basti pur la vista, intendi come e perché son costretti”. Virgilio spiega a Dante la suddivisione dei peccatori: i maliziosi, i violenti (contro gli altri, contro se stessi e contro Dio) e i fraudolenti (verso il prossimo e verso coloro che si fidano di noi –parenti, amici, compatrioti etc).
È un canto denso di richiami storici: si incontra l’eretico Papa Anastasio “traviato da Fotinio di Sirmio”, i sodomiti, gli usurai di “Cahors”, all’epoca sinonimo di città degli strozzini.
È facile perdersi tra questi collegamenti, in una calda serata estiva, senza aver riletto l’undicesimo canto o aver ripassato un po’ di storia. Ma i versi sembrano scivolare da Virgilio a Dante, da Dante a Benigni e da Benigni agli spettatori. Così, a proposito dell’usura, Dante chiede a Virgilio delucidazioni su questo peccato. “Filosofia”, inizia Virgilio richiamando Aristotele, “a chi la ‘ntende nota, non pure in una sola parte, come natura lo suo corso prende dal divino ‘ntelletto e da sua arte; e se tu ben la tua Fisica note, tu troverai, non dopo molte carte, che l’arte vostra quella, quanto pote, segue, come ‘l maestro fa ‘l descente; sì che vostr’arte a Dio quasi è nepote”. L’usura è un peccato perché Dio punisce chi trae soldi dai soldi stessi: il lavoro umano prende origine dal modello divino; anche l’arricchimento personale deve procedere dunque dal lavoro umano o dalla creatività dell’intelletto. Benigni, riprendendo questo bellissimo passaggio, richiama l’attenzione sull’importanza della ricchezza senza il possesso: “La ricchezza senza il possesso è quello che tutti noi dovremmo perseguire nelle nostre vite. D’altronde è proprio questa la ricchezza che Dante perseguì con la Divina Commedia”.

È questo continuum passato-presente, letterario-quotidiano che fa di “Tutto Dante” un esperimento ben riuscito. Quando, alla fine dello spettacolo, Benigni rilegge il canto tutto d’un fiato, si ha la sensazione che quei versi siano più propri, magari qualche passaggio è sfuggito lo stesso, ma quel Dante alla sinistra di Santa Croce sembra incredibilmente più vicino.



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Category: Teatro