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Storie di Tunisi : Fuori le Mura


Storie di Tunisi





6 maggio 2013 |



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Avenue Bourguiba è il cIMG_2087lassico boulevard francese, ricorda un po’ gli Champs Elysées: un viale alberato ai cui lati si snodano, uno dietro l’altro, café, ristoranti, Théâtre municipal, alberghi, uffici, Monoprix e Zara, insieme a un’altra miriade di negozi. “Ha aperto anche Bershka, due settimane fa!”, mi dice Nesrine sorridendo. Come in ogni boulevard c’è un intreccio di vite diverse: chi scappa a lavoro o all’università, chi passeggia e chiacchiera nascosta da un velo, chi vende fiori ai passanti, chi siede nei café spegnendo una sigaretta e accendendosene un’altra (in questo caso si tratta di uomini). Intanto le macchine si accumulano, si sorpassano e continuano nel loro tragitto con un ordine non del tutto definito, ma in cui i tunisini sembrano sapere bene come districarsi (per quanto le strisce pedonali siano più un elemento decorativo che altro). Ora capisco perché a Napoli i miei amici tunisini si sentissero a casa.

Non appena alzo lo sguardo, nitida si staglia la torre dell’orologio, all’inizio di avenue Bourguiba: proprio lì, davanti al Ministero degli Interni, scoppiava due anni fa la Rivoluzione dei Gelsomini, fioriva la speranza per i miei amici. In fondo all’avenue, diametralmente opposta all’orologio, la Porta di Francia apre alla Medina: è una festa di colori, voci, odori quella che caratterizza questo quartiere della città. Vestiti, spezie, gioielli, suppellettili: si vende di tutto nella Medina, se sei turista per qualche dinaro in più. Ogni tanto spunta qualche bar o qualche ristorantino e, se riesci a non penderti, scopri i vicoli più intimi, lontani dal trambusto del “mercato”, i più belli. Se sei proprio fortunato (o conosci qualcuno del quartiere) potresti anche ritrovarti sui tetti della Medina, e da lassù Tunisi parla da sola. Parla di quella che è stata e che vorrebbe essere, respira.

Da lassù non si sente la cappa che pesa sulla città. Perché è una vera e propria cappa quella che grava oggi su Tunisi: una cappa che non ti permette di entrare nella Grande Moschea a meno che tu non sia praticante; che non ti fa uscire la sera da sola se sei donna; che ti espone a sguardi critici, nella migliore delle ipotesi, se sei vestita in maniera troppo occidentale (leggi jeans e maglietta, senza velo). “Devi ridere. Non puoi arrabbiarti ogni volta, altrimenti non vivi più”, mi dice Souad, quando le chiedo perché ride dopo che due giovani tunisini avevano fatto dei commenti non proprio carini su noi due. “Mia moglie dieci anni fa poteva fare molte più cose di quante ne può fare oggi mia figlia”, mi dice tra l’amareggiato e l’incredulo il padre di Souad.
Ma quella di cui parlo è una cappa che non blocca solo Souad, e nemmeno solo Tunisi, ma un intero Paese. Un Paese che due anni fa costringeva alla fuga Ben Ali e che oggi assiste all’uccisione di Chokri Belaid, al dilagare di un devastante quanto nuovo integralismo religioso (dentro e fuori dal Governo), alla morte della più grande fonte di lavoro, il turismo. La Maison Dorée doveva essere un buon albergo qualche tempo fa. Dietro al Gran Teatro, a due passi dal centro, si vede dalla hall che ha un passato di fasti. “Si usava per le grandi conferenze”, mi dice il cameriere poggiando la tazza di caffè sull’unico tavolo (il mio, appunto) che ha apparecchiato per la colazione.
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“Nei villaggi di frontiera guardano passare i treni per Tozeur”, cantava Battiato nel 1984. Perché all’epoca di treni per Tozeur ne passavano, eccome. Tozeur è il gioiello della Tunisia, un’oasi meravigliosa che apre le porte del deserto, un’atmosfera totalmente nuova per chi è abituato a passeggiare per Roma o Parigi. Marzo/aprile è il periodo migliore per avventurarsi nel deserto: non più troppo freddo e non ancora troppo caldo; eppure a Tozeur non c’è un turista. La bellezza della città vecchia muore nel recinto delle sue mura; la luce e i colori dell’oasi si spengono in una camminata solitaria; il deserto (non per fare una battuta) è davvero deserto. Tayeb, il proprietario del residence dove dormo, m’invita a cena a casa sua, mi racconta molto degli ultimi due anni di Tozeur e mi prega di fargli un buona recensione su booking. Forse mi chiede qualche dinaro in più per l’escursione nel deserto, ma non ha importanza. Non è come quando di fronte al Colosseo ti chiedono cinque euro per una coca cola, non c’entra niente.

Tunisi non è pericolosa, non lo è neanche Tozeur e nemmeno il deserto, per quanto al confine con l’Algeria. “La colpa è dei media”, mi dice Wael, “che hanno diffuso quest’immagine di pericolo”. La Tunisia non è pericolosa. È triste, è diverso. È sotto una cappa, non sa in che direzione andare, vive il post rivoluzione di “quella che non è stata una rivoluzione”, come mi fa notare saggiamente il babbo di Souad. E in questa cappa, sempre più faticosa e opprimente, si perde purtroppo la bellezza del Paese, e quella, ancora più preziosa, della gente che lo abita.



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Category: Attualità