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Due “nemici fraterni” e un racconto invernale : Fuori le Mura


Due “nemici fraterni” e un racconto invernale





7 gennaio 2013 |



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La lettura ha ragioni che la ragione non conosce. O una cosa del genere. Fatto sta che, non so perché e neanche mi interessa molto scoprirlo (ho paura che l’incantesimo si spezzi), il mio cuore di lettore sobbalza e perde battiti molto più frequentemente di fronte ai classici della tradizione sudamericana e anglosassone. Lungi da me cercare di tracciare un filo tra le due letterature, mi stupisco comparandone gli effetti. Sarà per la presenza costante del “meraviglioso”, variamente declinato, per le evoluzioni degli intrecci e l’equilibrio mozzafiato con le giravolte della lingua, per la tensione continua – devi sempre essere pronto all’arrivo del proverbiale brivido lungo la schiena – o per chissà cos’altro ancora. Robert Louis Stevenson, tanto per andare subito al sodo, è uno dei colpevoli. Poliedrico scrittore dai natali scozzesi e arguto viaggiatore cittadino del mondo, l’aspetto serafico e l’anima in subbuglio, torna a “occupare” la collana Tusitala di Nutrimenti, a cui presta il soprannome (“Tusitala” = “narratore di storie”, come erano soliti appellarlo gli indigeni delle isole Samoa, a lungo visitate) con la sua opera compiuta più ambiziosa e conturbante: Il Master di Ballantrae.

“Racconto d’inverno” precocemente oscuro e riuscitissimo, narra le vicende – tra il tragico e il surreale – degli ultimi discendenti della Casa dei Durrisdeer, i fratelli Henry e James (un omaggio all’amico scrittore?) e della rivalità che ne scandisce giovinezza ed età adulta, tra allontanamenti e duelli, presunte morti e resurrezioni, viaggi picareschi e fughe nel cuore della notte. Oggetto della contesa, casus belli e infine cavillo evanescente, l’eredità del titolo, promesso al maggiore James e usurpato da Henry (per merito delle circostanze) insieme a sposa promessa e reputazione impeccabile. È il roteare di una moneta a decidere il destino dei due, un fato crudele che divide, con la scusa della guerra, caratteri già agli antipodi. Indomito, turbolento, affascinante Mefistofele James tanto quanto affabile, concreto e ordinario Henry, assurgeranno a immagine del male e del bene, entrambi perpetuati nei confronti dell’avversario fino a mutarne il segno. L’insofferenza si trasforma in odio e ancora in volontà di vendetta, quando il Master (James), più volte creduto morto, torna testardamente a battere cassa, umiliando il buon nome di famiglia e attentando alla salute del sempre più ambiguo Henry. Più contagiosa della bontà, la malizia fiorisce anche nel terreno più arido, perché è di aridità che si nutre. E confonde i presupposti e le parti in causa rendendo difficile, per un uomo di sani principi come Mackellar, amministratore delle poche fortune di Durrisdeer nonché narratore, decidere dietro quale barricata attendere la fine.

Stevenson è avvezzo a sorprese e inquietudini, come dimostrano le numerose incursioni nel genere avventuroso e nel mistery. Le due opere più famose della corposa produzione, L’isola del tesoro e Lo strano caso del Dott. Jekyill e del signor Hide ne sono esempi di grande spessore. Pur differenti per tono, struttura e linguaggio, i romanzi non smettono mai di appellarsi all’immaginazione, facoltà-bussola di ogni lettore e compagna a cui uno scrittore, Stevenson più di molti altri, non può fare a meno di affidarsi. Sotto questa buona stella, Il Master di Ballantrae mescola i temi cari, su tutti il confronto con il doppio, sia esso fuori o dentro se stessi e la scoperta del mondo, intesa come ricerca mai soddisfatta del nuovo e/o distante o meticolosa conoscenza delle abitudine umane. Per mettere in scena tutti i migliori numeri del repertorio, l’autore sceglie, felicemente, una trama schizofrenica, forte di repentini cambi di ritmo e ambientazione, spalmati lungo un arco temporale di venti anni.

Nonostante sia un buon conoscitore di se stesso, Stevenson rimane ostinatamente soddisfatto della prima parte del testo e deluso dall’epilogo, non riuscendo a cogliere in toto la potenza dell’idea – eredità mitica del conflitto tra Giacobbe ed Esaù (e per estensione del precedente tra Caino e Abele) – assolutamente a proprio agio nel sorreggere i capitoli ritenuti più fantasiosi.
Sempre lucido, Stevenson non rinuncia neanche all’artificio classico per eccellenza: la legittimazione dell’esistenza del racconto nella sua forma di libro, inscenando il ritrovamento delle memorie di Mackellar, incrociate con numerosi documenti redatti da altre mani immaginarie.

Riflettendoci, è forse questa profonda coscienza dell’importanza delle storie, l’onestà intellettuale di chi si rende conto che raccontarle bene vuol dire plasmare l’esperienza del mondo un pezzetto alla volta, a rendere “Tusitala” uno scrittore tanto vivido e imprevedibile, dalle cui parole si esce arricchiti dopo esservi entrati reticenti. Ma la lettura, si sa, ha poteri che la ragione non conosce. O una cosa del genere.

Il Master di Ballantrae
Autore: Robert Louis Stevenson
Traduzione: Simone Barillari
Con i disegni originali di William Brassey Hole
Casa Editrice: Nutrimenti
Pagine: 320
Prezzo: 18 €



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Category: Libri