I privilegiati di Jonathan Dee
Ne I privilegiati, Jonathan Dee ha dimostrato di saper fare sua la lezione della letteratura americana, divisa fra le ossessioni rappresentative del tema della famiglia, in particolare dai toni e dalle sfumature di Franzen, Roth, Alice McDermott e Joyce Carol Oates, e il ritratto degli eccessi e delle illusioni del mondo della ricchezza, oscillando da Fitzgerald a Tom Wolfe. Quella letteratura che racconta il respiro dell’America con profonda coscienza e con profonda analisi riuscendo a ricostruire lo spaccato di un mondo senza alcuna crepa, con grande forza e determinazione nella purezza della forma scrittura. Quel che si dice in gergo “il grande romanzo americano” non a caso finito fra i finalisti del Premio Pulitzer un paio di anni fa. Adam e Cynthia Morey hanno tutto quello che possono desiderare: la bellezza, la giovinezza e un futuro fatto di grandi speranze nella New York costellata dai nuovi ricchi e dal successo dettato dai soldi e dalla posizione sociale. Si sono sposati giovanissimi, appena terminato il college, e in brevissimo tempo hanno avuto due figli altrettanto belli e altrettanto intelligenti. In pochi anni, grazie al lavoro di Adam, diventano sempre più ricchi fino ad acquisire quel potere che solo il denaro può concedere. Eppure qualcosa dentro ognuno di loro sembra non collimare con quell’aura di successo e felicità che trasudano…
È una linea sottile quella definita da Dee nel rappresentare una generazione divisa fra le maglie del passato e del presente, che si chiude a cerchio per allontanarsi dai propri affetti famigliari e disprezzare le proprie origini (spesso umili). Costruito nell’arco di oltre vent’anni, I privilegiati è uno spaccato molto asciutto su un piccolo nucleo di persone che non lascia spazio ad altri se non a se stessi privandosi dei propri sentimenti ed ostentando le proprie velleità (spesso indesiderate, ma necessarie alla costruzione di un io fragile, ma perfetto all’occhio esterno), al riparo dalla vita, quella vera dei comuni mortali. Un ritratto famigliare la cui opacità deve essere letta fra le righe della sua stessa perfezione. È così un lavoro elegante quello di Dee, docente alla Columbia University e penna di punta di un altro mondo di privilegiati, quello degli scrittori americani colti e radical chic che scrivono su riviste letterarie come New York Times Magazine e Harper’s e dettano le mode narrative.
L’autore non si affida tanto ad eventi eclatanti nell’asse della trama quanto ai pensieri e alle piccole incrinature della vita quotidiana, che rende frangibile il mondo all’apparenza solido della famiglia Morey. Il racconto di una galleria di personaggi detestabili, resi credibili nelle loro mancanze, nei loro crimini (quello di Adam di riuscire a fare montagne di soldi in modo non sempre pulito, quello di Cynthia nelle sue idiosincrasie di viziata moglie nullafacente, quelle della figlia April, alcolizzata e tossicodipendente, quelle del figlio Jonas, che sembra disprezzare il mondo confortevole della sua famiglia per poi andare a rifugiarvisi al primo scoglio della vita), quello in fondo di essere nel loro egoismo uguali a tutti. L’autore sospende il giudizio dei suoi personaggi e li lascia navigare all’interno delle pagine della loro vita affidandosi all’eleganza della prosa e al rigore della psicologia dei personaggi, centellinata in maniera matematica.
I nuovi Vanderbilt, Astor e Rockeffeller non sono più famiglie allargate la cui solida ricchezza si tramanda di generazione in generazione divenendo, dall’altra parte dell’oceano, il corrispettivo delle nuova classe nobiliare, ma monadi impenetrabili come roccaforti dove il denaro è sì presente, ma in bilico come i loro sentimenti, sempre provvisorio, sempre sostituibile.
I privilegiati
The Privileges
Autore: Jonathan Dee
Traduttore: Stefano Bortolussi
Casa editrice: Beat Edizioni (su licenza Neri Pozza), 2012
Pagine: 272
Prezzo: 9,00 €
Category: Libri