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Il volto, l’attore, la ribalta e la (s)comparsa | Fuori le Mura

Il volto, l’attore, la ribalta e la (s)comparsa

11 giugno 2012

di Riccardo Feleppa

Dal palcoscenico di Romeo e Giulietta al bar di Roma Prati. Quattro chiacchiere con Martina Munafò

Diciamoci la verità, il volto rodato, famoso e accattivante è il vero campo magnetico dello spettacolo contemporaneo. L’immagine dell’attore, già consolidata a livello mediatico, attira più di ogni altro particolare della messa in scena. Agli occhi dello spettatore, la celebrazione del volto, diviene l’unico tratto distintivo dell’opera, l’unico motivo plausibile per acquistare un biglietto, fintantoché ogni oggetto della macchina spettacolare viene irrimediabilmente compresso in secondo piano e il desiderio di visione informata si esaurisce in frasi come: “Regà, stasera ‘nnamose a vedè quer figo de Scamarcio all’Eliseo”. L’aggettivo “figo” non sminuisce il talento dell’attore ma evidenzia chiaramente il peso ingombrante della sua  immagine che, non troppo consapevolmente, tutto sovrasta. È passato più di un anno dalla prima al Teatro Eliseo di Romeo e Giulietta. La regia di Valerio Binasco ha convinto, la rivisitazione di “Sor Shakespeare” si è rivelata un successo e non solo a Roma. Si è parlato tanto della prova attoriale di Riccardo Scamarcio, con tutto il colore che le penne dei recensori hanno voluto annettervi (anche Fuori le Mura ha avuto qualche riserva in proposito). Con meno clamore e nessun colore si è parlato invece di chi stava di fronte, accanto o alle spalle di Romeo. La visione di questi è ciò che si vuole sondare, se non per rivalsa, quantomeno per curiosità. E dovendo scegliere uno su tutti a titolo esemplificativo, è bene che sia l’ultimo tra gli ultimi. Non Giulietta, non Mercuzio, non la Balia e nemmeno Padre Lorenzo. Fuori le Mura parte dal fondo del palcoscenico, da un’attrice generica posta in uno spazio che l’occhio di bue sfiora di sfuggita e mai circoscrive.

Nell’intervista che segue conosciamo Martina Munafò, (s)comparsa sulla scena, durante la tournée che ha visto l’opera di Binasco rappresentata sui palcoscenici di diversi teatri italiani. Intramezzo esperienziale breve ma consistente. Il suo corpo si è mosso all’interno della macchina spettacolare che ha edificato Romeo e Giulietta, percorrendo, tutto d’un fiato, le relazioni umane stabilite dentro e fuori dall’artificio scenico. La sua visione è cara a Fuori le Mura, come ogni visione giovane e lontana dall’impellenza di farsi stereotipo.

Ore 18:00, l’appuntamento per la chiacchierata con Martina è in un noto Caffè del quartiere Prati. Arriva con qualche minuto di ritardo. Jeans, scarpe da tennis e nessun paio di occhiali scuri a coprirle gli occhi. Non c’è puzza di divismo. Ordiniamo due caffè.

Da dove sei partita per questo viaggio teatrale?
Bella domanda! Lo start-up è stato del tutto casuale. Mentre mi dividevo tra l’Università e uno stage al Teatro Eliseo ho saputo del tour che avrebbe impegnato Binasco, con il suo Romeo e Giulietta, in giro per l’Italia. Il caso, appunto, ha voluto che mancasse un’attrice generica nel cast. La fortuna, invece, ha fatto sì che quel ruolo venisse offerto a me. Non sono un’attrice professionista,  anzi, non sono nemmeno un’attrice. È passato un treno e io ci sono salita al volo, senza pensarci due volte, senza essere sicura di aver capito nemmeno quale fosse la direzione.

Com’è stato il primo impatto con il cast?
Meraviglioso! Può sembrare banale, lo so, ma siamo diventati subito una grande famiglia. Il training per lo spettacolo è cominciato agli Studios di Via Tiburtina. Eravamo circa dieci comparse e abbiamo legato fin da subito. Per tutto il tour poi abbiamo vissuto a stretto contatto, condividendo spesso oltre alla scena anche una casa e i momenti di festa.

Una rissa, una festa in maschera e un funerale. Hai cercato appositamente le scene in cui recitare!?
(Sorride). L’ho detto che amo stare in mezzo alla gente? Scherzi a parte, quando si lavora con Binasco credo che sia indifferente la maggiore o minore esposizione ai riflettori. Nella sua messa in scena tutto ha singolarmente importanza perchè concorre alla creazione di un’unica grande immagine complessiva. Il lavoro di Valerio sugli attori è strabiliante. Ha la capacità di cucirti il personaggio addosso, saldandolo sulle sfaccettature della tua personalità, insomma un vero autore.

Un autore capo famiglia…
Esatto! Affabile e severo allo stesso tempo. Il primo a scherzare fuori dalla scena, mettendoti a tuo agio. Il primo a mutare lo scherzo in serietà, una volta calcata la ribalta. Prima di ogni prova ci invitava a dimenticare tutto quanto era al di fuori del teatro, così da liberare la mente ed entrare appieno nella dimensione dello spettacolo. In quest’atmosfera di concentrazione condivisa da tutti, senza distinzioni di ruolo, cominci a sentirti davvero parte di qualcosa di più grande, parte di un’opera.

Dalla raggiante Palermo alla frenetica Milano, passando per la Capitale. Quali suggestioni ti hanno restituito queste città “teatro” dello spettacolo?
Milano la ricordo per lo sprint finale. È stata l’ultima tappa e ho vissuto poco della sua frenesia. La stanchezza ormai cominciava a farsi sentire e con essa anche il dispiacere per il distacco con il cast che ci sarebbe stato di lì a poco. Della Capitale, serbo nel cuore la paura da palcoscenico. Sono, come si suol dire “una romana de Roma”, e giocare in casa, confrontarmi con le persone che conosco da sempre, nelle vesti di spettatori, mi ha lasciato addosso un’ansia particolare legata alla voglia di dare il meglio di me. Su Palermo, beh, potrei scriverci un libro. Innanzitutto mi è rimasto impresso il calore della gente. A centinaia di chilometri da casa ho respirato la stessa aria intrisa di affetto. Sicuramente sarà stata la grinta iniziale ad amplificare il tutto ma la Sicilia è un luogo magico. Con il gruppo di comparse abbiamo condiviso una casa fuori porta. Abbiamo davvero vissuto a stretto contatto ventiquattro ore al giorno. E poi il cibo! (Sospira malinconica). Ah, la cucina siciliana, che bontà! Se penso a quei panini freschi con il pesce spada mi vengono le lacrime!

Martina Munafò (la prima in basso a sinistra) nel camerino delle comparse

A livello mediatico, la figura trainante di Romeo e Giuletta è stata sicuramente Riccardo Scamarcio. La sua posizione, in primo piano sulla scena, è stata tale anche dietro le quinte?
Non potrei mai dirlo! Scamarcio è stato uno di noi. Il divismo è solo una costruzione mediatica. La Tv, i giornali, il web, ogni giorno ci bombardano con immagini confezionate ad hoc per soddisfare la nostra curiosità nei confronti del jet-set. Siamo abituati a convincerci che quelle descrizioni corrispondano alla realtà ma non è così. Bisogna conoscere le persone prima di giudicarle, umanamente e professionalmente. Riccardo è un ottimo attore che cerca di dare sempre il meglio di sé e questo accade soprattutto quando è ben diretto, sia al teatro che al cinema. Il suo volto fittizio, la sua immagine verosimile, alla portata di tutti, si fonda su ondate di stereotipi, sui ruoli da lui interpretati e su ciò che media e rotocalchi sono in grado di “spingere” nell’immaginario collettivo. Il suo volto reale, la sua immagine non superficiale, è qualcosa che invece non tutti possono scorgere. È il suo lato profondamente umano, che non può essere inventato perchè unico. La sola cosa da fare è conoscerlo.

Tutti sanno chi sei ma nessuno lo sa veramente. Uno dei tanti  prezzi da pagare per essere famosi…
E non solo. Quella della doppia immagine, tuttavia, può anche essere anche una condizione divertente. Il problema è il resto! Pensa a tutto lo stress che comporta l’essere famoso. Io non so se ce la farei!  Per esempio, te ne racconto una… Durante le prove per il tour, in un momento di pausa siamo stati assaliti dalla fame. Avevamo a disposizione solo dieci minuti, non c’era il tempo di cambiarsi e allora ci siamo fiondati fuori dal teatro, con addosso ancora i costumi di scena, per mettere qualcosa sotto i denti. Siamo entrati in un Mac, eravamo un bel gruppo, tanto strambo quanto affamato, abbiamo ordinato e ci siamo seduti per mangiare. Ognuno ha cominciato a divorare quello che aveva davanti. Appena Riccardo ha scartato il suo panino è stato letteralmente assalito dalle persone. “Guardate c’è Scamarcio!”. “Riccardo possiamo fare una foto?”. Insomma, potrai immaginare la scena di delirio. È stato completamente braccato. E lì ho pensato: ma come si fa a resistere? Come si fa a privarsi della tranquillità riposta nelle azioni più semplici? È come se una volta che passi sotto la luce dei riflettori tu non possa più scindere il privato dal pubblico. Sei costantemente posto all’attenzione di tutti ed è un processo a cui non puoi sottrarti. Di sicuro avrai grandi soddisfazioni, ottimi guadagni, ma a cosa bisogna essere disposti a rinunciare? Come si fa a vivere costantemente senza tranquillità? Faccio due conti e mi rendo conto che forse il gioco non vale la candela. No, io credo che non ce la farei mai.

Quindi in un futuro prossimo non ti vedi come un’attrice affermata?
Il mio sogno è muovere i fili da dietro, partecipare al processo creativo dell’opera e prima ancora all’impianto organizzativo. La produzione è l’ambito che mi affascina. Tutte le esperienze che sto maturando sono finalizzate a una maggiore consapevolezza del funzionamento di questa macchina bellissima che è lo spettacolo, in qualsiasi sua forma. Cerco di apprendere il più possibile integrando tutto ciò che a oggi l’Università non può darmi per la forma paradossale in cui è concepita: estremamente teorica e completamente distaccata dal mondo del lavoro. Chi come me ha scelto una facoltà umanistica con indirizzo in arte e spettacolo sarà ormai ben consapevole delle esigue possibilità di impiego a cui va incontro. L’assurdità sta nel fatto che non c’è alcuna forma di praticità in ciò che si studia. Ti insegnano scolasticamente come è strutturata una cinepresa, come si è evoluta nel tempo, come viene utilizzata da diversi autori, ma non accade mai che te ne mettano una in mano per fartela utilizzare. Che senso ha la conoscenza se è priva di competenza? Il sapere, svincolato dal saper fare, non ha alcun valore sul mercato. Per questo bisogna necessariamente barcamenarsi, colmare le proprie lacune attraverso strade parallele, rendersi competitivi  e sperare, ovviamente, in un pizzico di fortuna. Bisogna crederci, attivarsi, tentare e non scoraggiarsi mai. Se ci si ferma ad aspettare che il lavoro arrivi da solo…

…si aspetta in eterno. Un po come i caffè che abbiamo ordinato!
(Sorride). Proprio così!

Di questa esperienza magica serberai molte immagini. Una su tutte…
Notte fonda. Seduta sul tetto del Teatro Montevergini insieme ai miei compagni di viaggio. Un bicchiere di vino, la vista dall’alto di una Palermo sfavillante, il mare che le fa da cornice e qualsiasi preoccupazione che svanisce.

Immagine anteprima YouTube

Romeo e Giulietta
Di William Shakespeare
Compagnia Gank in collaborazione con Gloriababbi Teatro
Traduzione e adattamento: Fausto Paravidino e Valerio Binasco
Regia: Valerio Binasco
Scenografia: Carlo De Marino
Costumi: Sandra Cardini
Luci: Pasquale Mari
Musiche originali: Arturo Annecchino
Cast: Riccardo Scamarcio, Deniz Ozdogan, Antonio Zavattieri, Filippo Dini, Andrea Di Casa, Lisa Galantini, Giampiero Rappa, Milvia Marigliano, Fabrizio Contri, Roberto Turchetta, Simone Luglio, Gianmaria Martini, Fulvio Pepe, Nicoletta Robello.
Teatro Eliseo

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