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Amour di Michael Haneke | Fuori le Mura

Amour di Michael Haneke

27 maggio 2012

di Giovanna Barreca

Un cuscino ricoperto di fiori di campo e un lungo flash back per raccontare gli ultimi giorni di un grande amore che sa affrontare anche la morte. Il nuovo capolavoro di Michael Haneke in concorso al 65esimo Festival del Cinema di Cannes.

Un’altra casa/nascondiglio* e luogo dove un grande amore deve continuare a vivere con coraggio affrontando anche la prova più difficile: la morte. Amour del regista austriaco Michael Haneke è uno dei pochi capolavori in concorso al Festival del cinema di Cannes 2012, quest’anno meno ricco di opere capaci di indagare il linguaggio filmico e allontanarsi da narrazioni tradizionale.
Amour lo vorremmo vincitore della Palma d’oro insieme a In the Fog di Sergei Loznitsa perché rappresentano due modi diversi di sperimentare – in maniera completamente diversa – partendo da due storie apparentemente molto semplici di esistenze in bilico.

Protagonisti della pellicola di Haneke – Palma d’oro tre anni fa con Il nastro bianco – sono Georges e Annes, due anziani ancora profondamente innamorati uno dell’altro: il regista ce li presenta mentre assistono insieme ad un concerto (camera fissa in campo medio su parte della platea presente). Al ritorno, mentre l’uomo si toglie le scarpe all’ingresso del loro appartamento, confessa: “Questa sera era davvero molto carina”. Il giorno dopo a colazione la donna ha un primo attacco e da quel momento la loro quotidianità, fatta di piccole abitudini e movimenti che tra loro sembrano ormai sincronizzati e armonici dopo i tanti anni passati insieme nel privato e nell’attività lavorativa (entrambi erano musicisti professionisti) viene spezzato. Prima l’ospedale, poi il reinventarsi la geometria con la quale ritornare a vivere nella loro casa, in uno spazio dal quale volutamente tutto deve essere – soprattutto per volontà della donna – tenuto fuori: la figlia (Isabelle Huppert presente in 3 scene), i vicini, gli amici e con essi anche l’amore, la condivisione. Tutto diventa claustrofobico, come raccontato tragicamente nella scena del bagno quando l’uomo solleva Annes ormai paralizzata; la loro danza è pesante, difficile, e l’insofferenza, una rabbia repressa (soprattutto da parte della donna che non accetta la situazione) prendono il posto di tenerezza e complicità di un tempo, tanto che l’uomo per avere un contatto affettuoso con un essere vivente, lascia entrare un colombo in casa e lo imprigiona in una coperta per qualche istante solo per poterlo accarezzare dolcemente come vorrebbe poter ancora fare con la moglie.

Abbiamo amato profondamente la messa in scena di un grande autore che vuole raccontare la vecchiaia, che vuole continuare con la sua macchina da presa a cogliere i profondi cambiamenti psicologici che animano i cuori dei personaggi delle storie che scrive con una purezza che penetra profondamente negli spettatori, sconvolgendoli per la forza e la semplicità che le caratterizza. E come in passato non sbaglia nel trovare gli unici due interpreti perfetti perché George è Jean-Louis Trintignant e Annes è Emanuelle Riva, entrambi capaci di creare sulla scena una complicità fondamentale soprattutto in un film così intimo e ricco di spiritualità, dove viene saziata la voglia d’amore anche quando è apparentemente negata, anche quando deve raccontare la ‘fine’ con profonda atrocità e pietà su un cuscino ricoperto di fiori di campo. Perfetto anche lo stile, con il rifiuto di angolazioni o inquadrature tecnicamente ricercate. Basta la profondità di campo regalata dalle diverse inquadrature dell’appartamento e i campi medi dei due protagonisti che si guardano spesso in campo-controcampo per fare tutto il film. Rifiutate anche luci artificiali a favore dell’autenticità fotografica che si può cogliere anche nell’inquadratura di una poltrona spoglia.

Amour
Regia: Michael Haneke
Sceneggiatura: Michael Haneke
Produzione: Francia, Germania, Austria 2012
Cast: Jean-Louis Trintignant, Emmanuele Riva, Isabelle Huppert, Alexandre Tharaud
Durata: 127’

*In Io e te di Bernardo Bertolucci (Fuori concorso) una cantina diventava il nido nel quale un sentimento puro di speranza nel futuro si sviluppava.

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