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La lettera che (non) ho inviato ad Aldo Grasso | Fuori le Mura

La lettera che (non) ho inviato ad Aldo Grasso

21 maggio 2012

di Danilo Supino

La lettera inviata ad Aldo Grasso dopo la sua critica all’ultimo programma di Fazio e Saviano su La 7

Buongiorno Professore Grasso,

Io e lei non ci conosciamo. Mi chiamo Supino Danilo, vivo a Roma, ma sono cresciuto nella provincia di Taranto. Non ho una qualificazione nell’interpretazione televisiva, ma ho sempre scrutato con interesse quel marchingegno che tanto fa discutere e che tutti cercano di monopolizzare. Ho da sempre osservato ed analizzato, personalmente, le diverse connessioni tra media e utilizzo degli stessi, e inoltre, per mia sfortuna ho una buona memoria.
Non mi faccio sviolinate. Le scrivo questo breve incipit per farle capire, chi è che le scrive. La televisione mi piace, non ci passo molte ore davanti, ma riesco ad avere la capacità di comprendere prodotti di qualità e prodotti di basso livello.

Insomma, sono un semplice cittadino che accende la tv, fa un rapido zapping, per ogni programma preme il tasto info per sapere di cosa si tratta, e se non c’è nulla, spegne la televisione.

Nell’osservazione di media-usochesenefa, rientra lo spulciare le home dei social network per capire come il popolo ne parla e successivamente il leggere gli articoli di critici ed esperti il giorno dopo.

Ed è qui (per la precisione nella mattinata del giorno 15 maggio), che mi è venuto in mente di scriverle questa mia.
Nel navigare tra un sito web e l’altro, mi imbatto nel suo Rito da maestro Manzi nel clima di redenzione. Già dalla lettura del titolo, e poi nella sua successiva comprensione, ho notato la differenza tra me e lei. Bèh ci mancherebbe! Ho inizialmente creduto che il maestro Manzi fosse un personaggio di qualche tribù del centro africa conosciuta negli anni ‘70 e che lei facesse riferimento a qualche rito apotropaico o animista. Invece no! Da buono storico ha rispolverato uno dei primi programmi RAI, Non è mai troppo tardi (io non l’avrei dato per scontato che i più lo conoscessero), condotto dal professore Alberto Manzi, sostenuto dal ministero della pubblica istruzione, con lo scopo di alfabetizzare l’8,3% di italiani che non sapevano leggere e scrivere.

Continuo con la lettura e noto che stronca completamente il programma Quello che (non) ho. Sgrano gli occhi, e mentre mi chiedo se avesse notato i dati dello share, mi scopro in completo disaccordo con lei. Mi blocco, rifletto. Ripercorro rapidamente le tre ore di programma che la sera prima avevo apprezzato.

Riprendo. “Fazio e Saviano vogliono educarci, redimerci, farci sentire migliori. Senza gioia, con pedanteria”. Si sta sfiorando il lato emotivo. Educarci. Redimerci, addirittura.

E ancora. “Le loro trasmissioni sono le sole eredi del maestro Manzi, le sole dove la noia viene scambiata per insegnamento, la demagogia per redenzione, la retorica per vaticinio”. Come può, la definizione della Parola, del Termine, del Verbum,-i, essere demagogia.

“E, ovviamente, hanno successo perché la tv del dolore conosce tante forme, anche quella di predicare sui suicidi o sui bambini di Beslan. […] La debolezza di questo reading è che tutti ti fanno venire il senso di colpa”.

Concludo l’articolo. Ero basito! Tutto qui? Professore Grasso, non sto esagerando.
Ho avviato un paio di riflessioni: “Possibile che non capisca il contesto televisivo in cui agisce il programma?”, “possibile che sta ritenendo i telespettatori degli idioti che abboccano a tutto, incapaci di esercitare il sovrano potere di cambiare canale?”, e ancora “è un professore di Storia della televisione, oltre a rispolverarmi Manzi, che a mala pena lo ricorda mio padre, perché non giudicare stilisticamente il programma?”, e infine “ma cosa gli avrà fatto mai Saviano?”

L’umile riflessione di un cittadino prima, e attento telespettatore dopo, è questa.
C’è una generazione che un programma simile non lo ha mai visto. In un periodo in cui 3D, fumi, luci, raggi laser (Battiato docet) e immagini frenetiche ci bombardano il cervello, come se non bastasse la vita quotidiana, Quello che (non) ho è paragonabile ad una gita fuori porta ai castelli romani. Il piacere della natura, della quiete storico-paesaggistica, di un buon bicchiere di vino e della cucina casereccia. Ora, io non so a Milano e Hinterland dove si vada a fare una gita fuori porta, ma il programma di Fazio e Saviano (come altri della rete La7) hanno lo stesso effetto.
Bel paragone vero? Popolare, da italietta. Se la ricorda l’italietta di Pasolini? Che bella che era!

Possibile che tutti gli spettatori siano degli allocchi? Per di più provenienti da estrazioni socio-culturali differenti, a parte gli amanti dei reality, che quelli non li smuovi manco con un adone o una venere seminudi che ti leggono la Gerusalemme liberata di Tasso.
Forse ci sono spettatori e cittadini, che stanchi dall’abuso e disuso della parola, vogliono recuperarla. Anche inconsciamente. Non si tratta di redenzione, ma di ricerca e ripresa di un qualcosa che non c’è più. Andata nel dimenticatoio. Rientra anche l’aspetto passionale, sensibile. Altro che redenzione, io ci vedo romanticismo, l’atteggiamento è lo stesso. La parola è una rovina abbandonata e l’uomo intende rivalutarla.
Un brivido mi ha attraversato la spina dorsale, nel moneto in cui Lilia Azan Zanganeh ha espresso la sua lettura del termine “bacio”

Predica su Beslan. Io avevo 16 anni quando è accaduto e ho un vago ricordo e alcuni miei coetanei non hanno idea di cosa sia. In quell’istante Saviano, ricordandosi la sua natura da giornalista, svolge un’azione informativa. Per di più, utilizza gli eventi nel modo adeguato, magistri vitae.
La parte conclusiva del monologo di Luciana Littizzetto nella seconda serata? Si lo so, aveva scelto la parola “stronzo”, i perbenisti si sono scandalizzati. Ma ha concluso con un messaggio di uguaglianza, contro l’omologazione sociale, in nome della bellezza e della diversità. Un discorso da mamma, puro e genuino.

Professor Grasso, non le sembra pedagogia? Ma quale omelia televisiva? È stato espresso un sano principio, da una persona che ha una figura televisiva comune, come la signora della porta affianco, che però si fa portavoce dei significati più puri della dignità umana, in un momento in cui i sani valori societari dei rapporti interpersonali sono gravemente incrinati, da invidia e plutocrazia.

Visto? Professor Grasso, anch’io conosco qualche termine che messo insieme può sembrare che chissà quale verità assoluta stia dicendo.
Saviano, a differenza mia e sua, non lo fa. Quell’uomo è palesemente antiestetico. Televisivamente parlando. Lo guardi in tv, e se stai cenando, la fettina si rivolta nello stomaco. Credo che gli operatori facciano una fatica immane a stare dietro al suo ondeggiare. Ma chi se ne frega di questo? Con la sua naturalezza, che è riportata poi nel suo modo di esprimersi, arriva a tutti, anche a quella casalinga di Voghera alla quale piacevano le luci, i fumi e i raggi laser della tv privata e generalista. E lei ben sa di cosa parlo.
Sarà la sua napoletanità, ma riesce a ponderare schiettezza, termini comuni e semplici con gli adeguati tecnicismi. A mio parere, una scrittura (od orazione) umana!

Sa cosa mi sarei aspettato di trovare in quell’articolo? Ecco, magari avrei speso due righe sul finale delle puntate, un tipo di performance già sperimentata da Celentano e Rock Politik (Rock – Lento), Gianni Morandi (celo – manca), Crozza (Crozza Italia Live, non capisco il nesso), Vittoria Gabello con Vicky Vittoria (ancora celo – manca).
O anche fare una riflessione sulle tanto criticate produzioni. Quello che (non) ho è firmato Endemol, la stessa che ha portato in Italia il Grande Fratello e diversi giochi a premi o altri reality.
Invece, mercoledì 16, accanto alla sua videorubrica, la redazione di Corriere.it ha pubblicato un’analisi (come sempre lucida e chiara) di Beppe Severgnini. Probabilmente anche loro si sono resi conto, come tutto il web e un bel po’ di gente, che la sua critica aveva un qualcosa di poco sano. Ma me la toglie una curiosità? Cosa le ha fatto Saviano?

Per concluedere. Io e il mio amico laureato al dams, che tra l’altro ha studiato sul suo Storia della televisione italiana e anche lui la legge ogni mattina, abbiamo gradito il programma. Lo abbiamo osservato e ci siamo fatti un’idea completa su Quello che (non) ho. Se risponderà a questa mia lettera e sarà curioso di sapere il nostro parere, nella prossima le scriveremo a quattro mani e in maniera dettagliata riguardo al programma.

Spero di non averla annoiata con questo fiume di Parole, Professore. Sa, è che in questo periodo di tecnici, il disfattismo e le beghe personali suonano un po’ retrò, se lo ricorda il clima politico prima del 14 novembre 2011? Certo che sì, lei ha speso parole anche su quello. Quindi, anche in questo caso sa di cosa parlo.

La saluto cordialmente Professor Grasso. Se vuole scoprire il piacere di Quello che (non) ho, venga a visitare i castelli romani o le gravine del tarantino.

 

Con affetto

Il cittadino Danilo Supino

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