Search
Friday 26 April 2024
  • :
  • :

“Diaz” tra le polemiche | Fuori le Mura

“Diaz” tra le polemiche

30 aprile 2012

di Sonia Cincinelli

Come il cinema racconta la Storia

Leggi anche:

Diaz – Don’t clean up this blood (Recensione) di J. Di Paolo

Una “bottiglia” lanciata per protesta vale un massacro? Questo è il leitmotiv che ci propone con efficacia visiva Daniele Vicari in Diaz, pellicola attesa e criticata  recentemente da Vittorio Agnoletto, leader del Genoa social forum 2001, ma difesa a spada tratta da Fausto Bertinotti sul quotidiano comunista Il Manifesto.

Nel 2001 il movimento no-global, anti-globalizzazione, tocca l’apice della sua espressione nelle giornate delle manifestazioni contro il G8 di Genova.

Il movimento dei movimenti proprio nel momento del suo massimo fulgore incotra la mano dura dei celerini, che seguendo direttive di palazzo e esprimendo una rabbia storicamente covata, stroncano la fulgente onda di protesta in atto. Agnoletto rimprovera a Vicari di non aver fatto nomi e cognomi, di non aver rispettato la realtà dei fatti nel senso più documetaristico e documentato del termine.

La finzione che ci propone il regista è un’operazione diversa da quella intrapresa da Carlo A. Bachschmidt, anche se nel film a tratti sembra di riconoscere i ragazzi del documentario Black Block del 2011.

Il potere di raccontare storie partendo dal particolare per arrivare all’universale come fece  magistralmente, per esempio, Ettore Scola in Una giornata particolare del 1977 (in cui è la radio a portare la Storia in una vicenda di intimità quotidiana), è l’essenza del cinema stesso. Poetizzare gli eventi è ciò che è mancato per esempio al recente Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana, che invece è stato più attento a rendere pubblici nomi e cognomi.

Se il grado massimo dell’orrore nella storia del Novecento è stato toccato con  Auschwitz, alle atrocità di Genova 2001 si può solo controbbattere con l’estetica di un cinema politico che mostra il sangue vivo che scorre tra le pareti della scuola incriminata. Anche se il regista avrebbe potuto, come asserisce Agnoletto, contestualizzare leggermente meglio tutta l’opera estetica cinematografica in cui, tranne degli scivoloni dove si cerca di delegittimare gli antagonisti che hanno lottato, che hanno compiuto atti rappresentativi contro il capitalismo, rappresentati dal ragazzo di colore Etienne, il prodotto è degno di nota. Perché  egli si deve sentire in colpa alla fine dicendo: “Cercavano noi”, una entità collettiva, una frase simbolo che comunque sembra legittimare l’esistenza di un blocco nero distruttivo senza ideali, responsabile per riflesso della mattanza nei confronti degli innocenti della Diaz.

Vicari propone da tutti i punti di vista non mera cronaca, ma la patetizzazione della Storia come fece Pier Paolo Pasolini in Salò o le 120 giornate di Sodoma del 1975. Il ragazzo che viene  torturato e costretto ad abbaiare non è molto lontano dai giovani che vengono forzati a mangiare gli escrementi nella visionaria ma vividamente reale opera pasoliniana di certo non didascalica.
Questa pellicola dopo tutto è un doveroso approfondimento artistico post-documentaristico, un’opera che raggiunge il più alto livello lirico del dolore dei vinti deleuziani.

La potenza delle immagini che aprono uno squarcio nell’omesso della scuola, il grido soffocato degli innocenti è liberato dalla forza del cinema e quindi della poesia fatta immagine, quella poesia che non si nutre di statistiche, dati, numeri, atti ma di vite umane, di volti, di storie nella Storia con la “S” maiuscola, capaci di far indignare lo spettatore, per alimentare e rendere fervente la memoria collettiva.

Nella pellicola la violazione dei diritti universali dell’umanità viene investita dal movimento dionisiaco che si fa messaggio per i profani, quel cinema che rende lo spettatore attivo e lo predispone a porsi domande capitali, indipendentemente se si convertirà oppure no. Questa è la missione che  la settima arte si deve porre.

Diaz ha tutta l’aria di un’operazione artistica e nel contempo commerciale, ibrida, ambigua come la natura del cinema stesso, arte per le masse; ben venga, per far si che una più grande fetta di pubblico possa conoscere la brutta storia per eccellenza, trovando luogo di approfondimento sulla realtà dei fatti in altre opere più di nicchia, su gli atti processuali, i documentari, i dibattiti politici e nelle più asettiche ma comunque utilissime inchieste giornalistiche.

I video scelti per voi:

Immagine anteprima YouTube
Immagine anteprima YouTube
Immagine anteprima YouTube
Immagine anteprima YouTube

 

Share