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“Cerca Trova”: il mistero del Leonardo perduto | Fuori le Mura

“Cerca Trova”: il mistero del Leonardo perduto

16 aprile 2012

di Francesco Sportelli

La ”Battaglia di Anghiari” di Leonardo da Vinci sembra sempre più vicina. Incoraggianti gli ultimi risultati della caccia al dipinto, e il monito del Vasari indica la strada

Un minuscolo vessillo verde in mezzo a centinaia di soldati, cavalli e cavalieri. Uno dei tanti che sventolano nella meravigliosa Battaglia di Scannagallo del Vasari, dipinta nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio a Firenze, ma l’unico a riportare una curiosa scritta: “Cerca Trova”.

Un piccolo indizio, ma forse il più importante per risolvere quello che da secoli è il più avvincente mistero della storia dell’arte: la Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci, considerata da sempre il suo capolavoro perduto.

Due sole parole non funzionali al dipinto, scritte senza assecondare le ondulazioni della bandiera e in un punto molto alto della parete, leggibili solo dall’occhio attento di chi, come Maurizio Seracini, insegue il Leonardo perduto da 40 anni. Seracini è il maggior esperto mondiale di diagnostica artistica, bio-ingegnere e docente all’università americana di San Diego. La Battaglia di Anghiari è diventata anche la sua personale battaglia, un sogno trasmessogli nel 1975 dal suo ex professore Carlo Pedretti, il più grande “leonardista” del mondo.

L’appassionante ricerca lo ha portato negli anni ad imbattersi in sempre più indizi che confermerebbero che l’opera è ancora custodità lì, pronta ad essere trovata da chi ha l’ardore di cercarla, e che la rappresentazione del Vasari, che celebra la vittoria dei fiorentini sui senesi, altro non sarebbe che la porta che conduce al tesoro nascosto di Leonardo.

Con l’arrivo di Cosimo I de’ Medici a Palazzo Vecchio, a metà del ‘500, il salone subì, infatti, un radicale cambiamento ad opera di Giorgio Vasari, l’opera di Leonardo scomparve e per secoli è stata data per persa. Non per Seracini, convinto che sia ancora al suo posto e deciso a riportarla alla luce. Il primo passo fu quello di individuare la parete sulla quale Leonardo aveva lavorato. Sondando ogni parete con ultrasuoni e termografie scoprì finestre tamponate, scale demolite, ingressi chiusi, arrivando alla conclusione che la parete non era quella nord, come si pensava, ma quella est.

Poi, negli ultimi anni, è arrivato attraverso un radar alla prima importante sorpresa: l’intercapedine di 3-4 cm posta dietro la Battaglia di Scannagallo, l’unico vuoto di tutto il salone, quasi che il Vasari avesse voluto proteggere il capolavoro di un maestro che lui per primo ammirava. Negli altri affreschi dell’artista aretino che adornano la sala, è possibile rinvenire diverse scene o particolari che richiamano elementi della Battaglia di Anghiari, quasi fossero delle citazioni. Inoltre Vasari aveva già altre volte operato in questo modo. Come quando, incaricato di smontare (per ragioni legate alla Controriforma) il tramezzo dove era collocata la Trinità di Masaccio in Santa Maria Novella, la riposizionò dietro ad un nuovo altare applicandovi una serie di accorgimenti utili a preservarla. E poi anche Cosimo I de’ Medici, che al Vasari aveva commissionato i lavori, era un grande estimatore di Leonardo tanto che la scelta di far sparire dalla vista la Battaglia di Anghiari incompiuta era stata dettata da ragioni politiche, non certo estetiche. Rappresentava, infatti, un importante simbolo della retorica repubblicana, poco gradito all’oligarchia medicea che di nuovo regnava a Firenze.

Ma le tracce più significative e che più di altre parlano chiaro, sono quelle rinvenute appena un mese fa. Grazie ad un grandioso progetto di ricerca sostenuto, tra gli altri, dalla National Geographic Society e dall’Opificio delle Pietre Dure, il team di ricerca ha potuto “sbirciare” aldilà della parete vasariana. Mediante l’utilizzo di una sonda endoscopica, dotata di una microcamera del diametro di 4 millimetri, sono stati fatti sei forellini in parti dell’affresco del Vasari che già presentavano crepe o prive della pittura originaria.

Grazie a questi sondaggi è stato possibile capire che il materiale beige che si vede, sul muro originario, può essere stato applicato solamente tramite un pennello, ed estrarre frammenti di vari materiali, dalla composizione chimica stupefacente: un materiale identificabile con lacca rossa, che difficilmente si trova in una parete intonacata normalmente, e un pigmento nero compatibile col nero utilizzato nella Gioconda e nel San Giovanni Battista, un mix di manganese e ferro tipico di Leonardo da Vinci e non riscontrabile in altri artisti.

“Non siamo più sul fronte degli indizi ma di vere prove, che ci dicono che stiamo cercando Leonardo nel posto giusto”, ha detto Seracini parlando di “esiti incoraggianti” per il proseguo dell ricerca che l’ingegnere porta avanti dal 1977. La caccia ad una preda vecchia di cinque secoli.

Infatti, tutto ha inizio il 6 giugno del 1505, quando il genio di Vinci si appresta a realizzare la sua opera sulle pareti enormi e nude della Sala del Maggior Consiglio (oggi Salone dei Cinquecento). L’ambiente è vuoto e riflette l’austerità di Savonarola, che l’ha fatta costruire nel 1494. Per questo il gonfaloniere della rinata Repubblica di Firenze, Pier Soderini, ha deciso di decorarla con due rappresentazioni che rinsaldino il sentimento patriottico fiorentino. Leonardo darà vita alla vittoria dell’esercito della città gigliata sulle truppe milanesi , mentre quella sui pisani nella Battaglia di Càscina rivivrà grazie all’estro di Michelangelo.

Due geni divisi da poco più di vent’anni di età ma inconciliabilmente lontani: Leonardo solitario, riflessivo, dai toni quasi sommessi, incarnazione del senso nobile e pacifico della vita tipico dell’arte rinascimentale e Michelangelo impulsivo, idealista, carico di forza e passione. Per il primo è l’occasione giusta per dimostrare di possedere lo stesso vigore artistico di chi è più giovane di lui, la stessa esuberanza di Michelangelo, lo stesso dinamismo. Intento svelato peraltro dalla cosiddetta “lotta per lo stendardo”, parte centrale del dipinto raffigurato nelle copie rimaste e nei disegni preparatori.

Ma l’opportunità di successo si trasforma ben presto nel suo più grande fallimento, e le avvisaglie non tardano ad arrivare. Come racconta lui stesso in uno dei Codici di Madrid, “a dì 6 di giugno, il venerdì al tocco delle ore 13, cominciai a colorire il palazzo nel qual punto, nel posare il pennello, si guastò il tempo e suonò la campana chiamando un condannato a giudizio e il cartone si stracciò e si ruppero i vasi dei colori e piovve acqua grandissima e sino a sera e stette il tempo come notte.” Cattivi presagi che non lo dissuadono dal fare una scelta rischiosa, simile a quella che anni prima lo ha portato a realizzare l’Ultima Cena con una tecnica che fin da subito ne ha provocato il degrado. Ma Leonardo non vuole essere vincolato dall’affresco, una tecnica che non ama e che non ammette ripensamenti, incompatibile con la sua elaborazione dell’opera lenta e riflessiva, colma di modifiche e piccoli ritocchi. E anche stavolta si affida ad un procedimento sperimentale, d’altronde la ricerca e la scoperta empirica sono lo scopo della sua vita e dei suoi studi, in ogni campo.

Prendendo spunto dalla Historia Naturalis di Plinio il Vecchio decide, quindi, di realizzare il dipinto attraverso l’encausto: un’antica tecnica che, generando una temperatura altissima, permette di essiccare la superficie dipinta. Ma i due enormi bracieri carichi di legna, che il maestro fa predisporre, non sono sufficienti, e in poco tempo i colori colano sull’intonaco e si affievoliscono fino a scomparire quasi del tutto. Una disfatta pesante che spinge Leonardo ad abbandonare il dipinto mestamente, dopo un anno di lavoro. Oggi non ce n’è più traccia e per gli scettici è quindi inutile cercarlo, anche perché ne resterebbero al massimo pochi e flebili segni.

Eppure l’opera incompiuta rimase al suo posto per circa 60 anni suscitando l’ammirazione di molti stimatori. Non a caso ne esistono diverse copie, tra cui quella celebre di Rubens conservata al Louvre, e importanti testimonianze come quella di Paolo Giovio: “Nella sala del Consiglio della Signoria fiorentina rimane una battaglia e vittoria sui Pisani, magnifica ma sventuratamente incompiuta a causa di un difetto dell’intonaco che rigettava con singolare ostinazione i colori sciolti in olio di noce. Ma il rammarico per il danno inatteso sembra avere straordinariamente accresciuto il fascino dell’opera interrotta”.

Un fascino a cui non sembra restare indifferente neanche il sindaco di Firenze Matteo Renzi che, anticipando i risultati della ricerca al ministro dei Beni Culturali Lorenzo Ornaghi, ha subito chiesto nuove autorizzazioni per completare l’indagine. Ovviamente la caccia alla Battaglia di Anghiari ha provocato la protesta di molti intellettuali, studiosi e storici dell’arte preoccupati del possibile danneggiamento dell’affresco del Vasari e che ritengono del tutto improbabile che “abbia sigillato qualcosa di ancora leggibile sotto un muro”. In realtà, secondo il soprintendente Cristina Acidini la presenza dei tecnici dell’Opificio delle Pietre dure, accanto al team di Seracini, ha aumentato il livello di tutela del Vasari, “assicurando alle operazioni una vigilanza assidua e competente”.

La risposta definitiva alla disputa sull’opportunità o meno di continuare le ricerche forse la darebbe Leonardo stesso, con il suo amore per l’arte degli enigmi e per il legame tra arte, scienza e tecnologia. Ma soprattutto con la sua inesauribile brama di esplorare, sperimentare e conoscere che forse, un domani, potrebbe permetterci di di ammirare quella che Doni da Venezia, in una lettera del 1549, chiamava “un pezzo di battaglia di Lionardo da Vinci, che vi parrà una cosa miracolosa”.

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