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Simone Lenzi parla de “La generazione” | Fuori le Mura

Simone Lenzi parla de “La generazione”

26 marzo 2012

di Margherita Fratantonio

Simone Lenzi intervistato a Milano

“Non ci sono commissari, né giornalisti coraggiosi e nemmeno ragazzi complicati; non ci sono uomini che odiano le donne. Non muore nessuno!”. Così dice del suo libro, La generazione, Simone Lenzi, intervistato, incalzato a tratti, da Annarita Briganti, giornalista di Repubblica, alla Fnac di Milano, venerdì 23 marzo. Opera prima, o meglio, prima opera pubblicata. “Per le altre cose che ho scritto temevo ci fosse troppa contemplazione dell’ombelico” (è toscano, Simone Lenzi, e si capisce, oltre che dall’accento, anche dalle espressioni molto dirette). “Temevo la gratuità narcisistica e non volevo essere artefice dell’ennesimo esperimento di questo tipo”. La generazione (Dalai), invece, gli è parso un luogo in cui, sì, c’era spazio per la sua vita, ma anche per l’altro da sé. “L’incontro con qualcuno che non sei tu” è per lui il vero senso della scrittura.

Invitato dall’intervistatrice a sintetizzare il romanzo, Lenzi dice che il protagonista ha due problemi: tirare le sette di mattina (fa il portiere di notte, spinto dalla compulsione per la lettura), e tentare una genitorialità assistita con tutto ciò che questa scelta comporta, soprattutto l’intrusione nell’intimità della coppia. Una scena tra tutte: quella in cui il marito (che vorrebbe un figlio) e la moglie che lo vuole, si ritrovano nascosti nei servizi del treno per la puntura delle otto di sera, quando dopo appena un’ora potrebbero farla tranquillamente a casa. Per quel pensiero magico che sposano le coppie come loro, obbligate a rispettare le ingiunzioni mediche alla lettera da imposizioni che si sono fatte interiori, che diventano cerimonie private di una solenne liturgia. Non si può, secondo l’autore, non provare tenerezza per chi si affida fino a questo punto.

Provoca un po’ Annarita Briganti: “Per un libro di parole, un monologo interiore così raffinato, non trovi deludente la trasformazione che ne sta facendo Paolo Virzì in commedia romantica? E poi perché quel titolo Tutti i santi giorni?” Sul titolo del film Simone Lenzi non risponde, rispettando quello che per lui è un patto di assoluto silenzio. Per il resto si dichiara contento e definisce la decisione di Virzì “una forma di tradimento dietro la quale c’è una fedeltà profonda”, necessaria proprio perché nel libro ci sono pochissimi eventi, che vanno per forza di cose aggiunti nella versione cinematografica.

Le parole del libro spostano l’argomento sul gusto della lettura che l’autore ama definire la “lettura dei nonni”, quella classica, colta, come piace anche al protagonista di La generazione, che non esita a citare Aristotele. “Leggo Manzoni, Pascoli, Gadda. Da piccolo leggevo perché ero ciccione; a sedici anni ho continuato a leggere, anche se mi cotonavo i capelli e frequentavo in periferia persone di ogni tipo. Qualche ragazzo è morto male, altri rivestivano le selle dei motorini con pelli di gatto. Ma la mia famiglia era sana, i miei genitori si volevano bene ed è ciò che conta, al di là di tutte le teorie pedagogiche, per dare solidità ad un adolescente”.

“Perché un uomo e una donna voglio a tutti i costi un figlio?”. Domanda Annarita Briganti: “Non c’è niente di strano che una coppia si ostini ad avere dei figli, ad un certo punto della vita, in questa nostra società che sta sempre più invecchiando. A chi lascio tutti i miei libri? A chi racconto le storie che ho letto? Il senso del mio romanzo non è la realizzazione di un desiderio, ma la passione che ci ha portato a quel desiderio, che può anche diventare altro e in questo caso è diventato il mio libro”.

Domanda d’obbligo: “Il prossimo romanzo?”. “Forse lo scriverò sul mio cane o forse su qualche altra cosa”. Altra domanda d’obbligo, poi, per Simone Lenzi, cantante: “E il prossimo disco?”; “Solo quando avrò finito la promozione del film. Non sono un tipo multitasking”.

Presto la recensione del romanzo su Fuori le Mura!

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