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Tutta la bellezza deve morire di Luigi Pingitore: nessuna risposta per il lettore | Fuori le Mura

Tutta la bellezza deve morire di Luigi Pingitore: nessuna risposta per il lettore

6 febbraio 2012

di Maria Cristina Costanza

Il racconto tragico e malinconico della fine dell’adolescenza in 300 pagine martellanti

Se chiedessimo alle persone intorno a noi a quale stagione della propria vita legano la maggior quantità di tormento, con molta probabilità racconterebbero il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Questo, forse, perché si tratta di una grande salto della nostra esistenza che viviamo, a differenza degli altri esperiti fino a quel momento, in totale coscienza e, a differenza di quelli che verranno successivamente, senza avere ancora gli strumenti critici migliori. Succede perciò di essere capaci di intendere il cambiamento in atto, ma di farne esperienza senza sapere come fare a risolverlo nel modo più indolore. Il dolore, cioè, deriva sia da una sorta di crisi di adattamento al nuovo mondo, quello degli  adulti, e, ancor più, dalla difficoltà di vivere questo mutamento con ansia per quello che verrà.

Questa la premessa necessaria per approcciare il romanzo di Luigi Pingitore Tutta la bellezza deve morire (Hacca). L’opera racconta, in un continuo palleggio scandito in quindici capitoli, la vicenda di “loro” e quella di “lui”. A far parte del gruppo sono Pier, il protagonista, Dario, Silvia e Liv, con Rudy e Luca in secondo piano. Dall’altra parte, invece, il viaggio di Ezra alla riscoperta del testamento al mondo lasciato dalla figlia Silvia, prima di morire in un tragico incidente stradale in quel pezzo d’Italia del sud, la Costiera, che fa da sfondo a tutta l’opera.

La storia, tessuta sul personaggio di Pier, scorre attraverso pomeriggi bollenti, passati fra piccole avventure per ammazzare il tempo e grandi sfide per dimostrare di essere vivi. Nella comitiva di ragazzi, infatti, ricorre un senso del vivere che non conosce limiti, che non si riduce a serate alcoliche o a rapporti sessuali occasionali, ma che include tuffi ciechi a strapiombo e salti spaventosi da un tetto all’altro dei palazzi del posto. In questi ragazzi – sfuggendo a bieche categorizzazioni da talk show televisivo – la necessità di scoprire la vita spingendola al limite. Nel corpo, indagato nella sezione “la vita animale”, e poi nell’anima, in quella, invece, de “la vita interiore”. Si contrappongono, criticamente, al personaggio del diciassettenne Pier, lo scultore Ezra e il nostalgico Rudy. L’artista giunge in Italia per recuperare le sensazioni lasciate dalla figlia Silvia, ormai deceduta, in quei luoghi. Con la conseguenza per cui, presto, l’obiettivo diviene più semplicemente un mezzo per Ezra per  riscoprire i pezzi mancanti della sua stessa esistenza che, in coda al romanzo, impatterà con quella di Pier. Ludovico, detto Rudy, invece, è un ragazzo ormai adulto che non riesce a mutare e darsi un senso senza liberarsi dalla cornice dell’estate da adolescente, fra mare, discoteca, ragazze amate per una notte e mai più viste. Due alter ego del protagonista che chiudono a triangolo il messaggio dello scrittore napoletano, in una sorta di struttura di stampo dickensiano: in Ezra, infatti, la più terribile delle conseguenze di Pier, in Rudy la più triste.

Esiste un’ampia letteratura, anche cinematografica, che ha documentato questo male di vivere che porta all’estremo. Da Christiane F. – i ragazzi dello zoo di Berlino al più noto Transpotting. Opere che, spesso, ci hanno fatto interrogare sul perché di tanta violenza, nel senso più generico del termine. Eppure, questi film, come pure questi libri, hanno molto da insegnare. Prima di tutto per il celebre adagio “per evitare il male devi conoscerlo” e, in seconda istanza, perché occorre che anche “gli altri”, quelli fuori dal tiro di penna di Pingitore, in questo caso, smettano di inorridire a tali bassezze e inizino a chiedersi cosa è andato storto e cosa ha spinto questi ragazzi a una tale solitudine esistenziale. Il martellare dello scrittore partenopeo, lento e costante, ci spinge, pagina dopo pagina, in attesa che qualcosa finalmente accada, a farci delle domande. Perché, in fondo, un diciassettenne in salute trova che l’unico modo di portare con sé i luoghi della propria esistenza sia stendersi sull’asfalto con tutti i rischi annessi? Cosa spinge la giovane Francesca a sparire nel nulla e poi apparire per un ultimo tragico addio? Qual è il dolore solitario di Liv e quale il segreto di Dario? Da dove giunge, infine, tanto dolore? In sintesi, il lettore si troverà incastrato nel pensiero che sia davvero la fuga, idealmente e praticamente intesa, l’unica alternativa possibile per guarire da quel male di vivere. La risposta arriva fredda e violenta, nei versi più volte citati del poeta maledetto Arthur Rimbaud,  quanto nel titolo del romanzo. Con la conseguenza che, alla fine della vicenda, si debba accettare il fatto che davvero tutta la bellezza nasce e poi muore, spunta per soccombere in ogni immagine possibile.

Luigi Pingitore

Non aspettatevi risposte, non aspettatevi fatti. Nell’opera di Pingitore, scritta e costruita sapientemente, vi attendono solo domande, spazi di riflessione che si aprono allo scorrere lento della non-vicenda, di un filo narrativo che, nella maggior parte delle righe, è fatto solo da elucubrazioni senza via d’uscita.

Se fosse un film, sarebbe un documentario che forse risulterebbe lento, o molto lento, ma che racconterebbe bene l’ultima estate da adolescenti e la tormentata vigilia della scelta più importante di tutta una vita. E su sfondi di inestimabile bellezza, Pier correrebbe verso l’obiettivo, con il mare alle spalle, la musica ad alto volume, lasciando nel suo spettatore molto da chiedersi.

Questo, in sintesi, il buono della nuova opera di Pingitore: fa riflettere su un pezzo di mondo e di vita che ci appartiene, o c’è appartenuto o, forse, non abbiamo conosciuto mai e, per questo, è ancora più importante vivere. Almeno per 300 pagine.

Tutta la bellezza deve morire

Autore: Luigi Pingitore
Casa Editrice: Hacca
Pagine: 300
Prezzo: 14 euro


 

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