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Arriva dall’Amazzonia il fungo ghiotto di plastica | Fuori le Mura

Arriva dall’Amazzonia il fungo ghiotto di plastica

6 febbraio 2012

di Francesco Sportelli

Scoperto un fungo in grado di nutrirsi di poliuretano, in condizioni simili a quelle del fondo di una discarica. Importante passo nel campo del biorisanamento

foresta amazzonica in Ecuador

Quando, nel 2008, Scott Strobel, docente di biochimica molecolare alla Yale University, si avventurò con i suoi studenti nella foresta pluviale dell’Ecuador, non avrebbe di certo immaginato di imbattersi in una scoperta che potrebbe rappresentare una piccola rivoluzione nel campo del biorisanamento, ovvero il processo di depurazione del suolo ad opera di microorganismi, batteri o funghi.

Durante l’annuale missione organizzata dal Rainforest Expedition Laboratory, che permette agli studenti di sperimentare sul campo le conoscenze acquisite nel corso degli studi, è stato raccolto, infatti, un fungo in grado di intervenire nel processo di degradazione delle materie plastiche.

Le straordinarie proprietà del micete, appartenente alla specie Pestalotiposis microspora, sono emerse soprattutto grazie al lavoro di due studenti particolarmente brillanti: Pria Anand e Jonathan Russel. Una volta tornati al campus di New Haven, nel Connecticut, il primo ha individuato, tra i campioni raccolti per essere studiati in laboratorio, il fungo e la sua capacità di dare il via ad un processo di degradazione una volta a contatto con il materiale plastico, mentre il secondo ha isolato l’enzima che gli permette di nutrirsi esclusivamente di poliuretano e di sopravvivere in un ambiente completamente privo di ossigeno.

Lo studio pubblicato sull’autotrevole rivista scientifica Applied and Environmental Microbiology, che definisce il fungo “una promettente fonte di biodiversità, dotata di proprietà metaboliche utili per il biorisanamento”, ha subito attirato le attenzioni di molti ricercatori. Il “fungo mangia plastica” portebbe rappresentare una soluzione ottimale per velocizzare il processo di degradazione dei rifiuti contenente il materiale in questione.

Il poliuretano è, infatti, un polimero necessario, per esempio, alla produzione di guarnizioni, elastici, fibre sintetiche, lastre termoisolanti e, quindi, di frigoriferi, divani, materassi, giocatoli, tubi flessibili e scarpe. La sua scomposizione, però, richiede decenni perchè, pur essendo molto versatile ed economico, è particolarmente refrattario alla degradazione e, una volta entrato nel ciclo dei rifiuti, resiste per generazioni. Il fungo sarebbe, quindi, l’organismo in grado di “digerirlo” e, soprattutto, di farlo in un ambiente totalmente anaerobico, condizione frequente sul fondo delle discariche. È proprio questo l’aspetto che lo rende unico al mondo perchè l’équipe di studiosi ha raccolto altri funghi in grado di decomporre, almeno in parte, il poliuretano ma nessun altro di farlo in condizioni simili.

Naturalmente restano da verificare i tempi necessari per completare il “pasto” e le reali capacità del fungo anche in presenza di altri materiali tossici, in particolare di sostanze inorganiche come i metalli. Certamente, però, dalla foresta amazzonica, vero e proprio paradiso della biodiversità sempre più minacciato dal feroce disboscamento, ci arriva un esempio lampante delle potenzialità delle tecniche di biorisanamento che, con bassi costi di applicazione e grazie ad un’elevata compatibilità ambientale, potrebbe contribuire a risolvere la questione sempre più problematica e incombente dello smaltimento dei rifiuti.

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