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“Polisse”, a colloquio con i protagonisti | Fuori le Mura

“Polisse”, a colloquio con i protagonisti

30 gennaio 2012

di Simone Arseni

La regista Maiwenn Le Bresco incontra il pubblico e parla del modo in cui ha concepito il suo ultimo film

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Martedì 24 gennaio si è tenuta a Roma, in via Veneto, presso la sala vetrata dell’ Hotel Flora, la conferenza stampa relativa al film Polisse, della giovane regista francese Maiwenn Le Bresco. Inizialmente, Le Bresco, accompagnata da Riccardo Scamarcio che ha una piccola parte nel film, non è apparsa disinvolta. Ha tentato di rompere il ghiaccio con un “bonjour” sorridente, ma la platea non si è mostrata ricettiva. “Ma come”, ha detto Maiwenn a Scamarcio, “non risponde nessuno? Dicono che il pubblico italiano è così caloroso?”. “Si, ma è anche timido” ha detto l’attore strappando ai giornalisti i primi sorrisi.

Il pubblico, d’altronde, rivolgendo inizialmente le proprie domande a Scamarcio, non ha aiutato la regista a sentirsi più a suo agio. La prima domanda, infatti, mirava a sapere  come mai un attore italiano di successo avesse accettato di partecipare a un film nel quale ha una piccolissima parte, di poche battute. Scamarcio ha risposto di aver visto il primo film della Le Bresco e di aver apprezzato da subito il suo modo di girare. Era anche rimasto incuriosito dalla sua tipologia di lavoro che lascia gli attori liberi di muoversi e improvvisare durante le riprese. A questa risposta sono seguite altre domande, tutte rivolte all’attore, che  progressivamente si allontanavano dall’oggetto della conferenza, estraniando sempre più la regista. “Alessandro, ma come sei stato contattato? Non è stato difficile per te recitare in un’altra lingua? Che progetti hai per il futuro? Quale sarà il tuo prossimo film? Fino alla più clamorosa: “Riccardo, dicono che sul set tu sia un gran rompipalle. Come  hai fatto ad accettare una regia così poco strutturata come quella della Maiwenn?” A questo punto Scamarcio ha tagliato corto, affermando di non essere un “rompipalle” sul set (e nello sguardo aveva un’espressione alla Hemingway del  tipo “sciacquati la bocca prima di parlare”), ma di essere esigente prima e dopo le riprese, in modo da facilitare il lavoro sul set e non da bloccarlo. Insomma, il parere di Scamarcio sul film e sulla sua èarte sembra riassumibile in questa sua frase: “non esistono grandi o piccoli ruoli, ma bei film o brutti film. Questo è un bel film”. Questa tranquillità sarebbe stata smentita una manciata di minuti dopo, quando dopo una battuta sfuggita alla Le Bresco, Scamarcio ammetterà che sì, certo, si era arrabbiato molto quando gli avevano comunicato che la sua parte sarebbe stata ridotta all’osso.

Venendo al film, le difficoltà maggiori riscontrate dalla regista hanno una duplice radice: da un lato, la delicatezza del tema e la scarsità dei mezzi economici; dall’altro, la mancanza di tempo e l’abbondanza di attori. “È stato difficile gestire una quantità di attori e caratterizzarli ognuno come personaggio” ha affermato la Maiwenn. Difficile è stato anche il rapporto con la polizia, inizialmente contraria a collaborare alla produzione di un film sull’argomento perché alcuni agenti erano convinti che un film sulla polizia girato da una regista di sinistra (e tale si considera Le Bresco) non può che mettere in cattiva luce il lavoro svolto dall’intera categoria. “Hanno perso una buona occasione”, questo il commento della regista, “e se ne sono resi conto dopo la proiezione del film. Allora sono venuti a complimentarsi e a ringraziarmi”. La regista, d’altronde, ha dichiarato di aver sempre voluto  descrivere e raccontare la vita del commissariato e le storie personali degli agenti senza esprimere giudizi di alcun tipo. In questo modo è nata l’idea di una pellicola che la critica di sinistra inizialmente vedeva con poco favore, e che negli ambienti di destra si tendeva a giudicare con estrema severità. “A me non è mai interessato ciò che si dice dei miei film: mi sento libera e sono sempre stata libera nel mio lavoro. Questo costituisce per me un motivo di orgoglio, anche in questa opera. Se un poliziotto svolge bene il proprio lavoro, lo rappresento; se è omofobo o razzista, lo rappresento. Non seleziono il meglio o il peggio di un argomento secondo la convenienza politica”.

Infine alla domanda: “quanto di autobiografico c’è in questo film?”, Le Bresco ha risposto che ogni regista riversa parte delle proprie esperienze nei film che gira. La differenza risiede forse nella capacità di ciascuno di nascondere questi contenuti personali  dietro personaggi diversi. Lei non si ritiene particolarmente brava in questo. In ogni caso non si descrivono solamente vicende vissute davvero, ma anche emozioni ed esperienze che si sarebbero volute vivere. In ogni film vi è una biografia che corre parallela a una sorta di antibiografia. “Nei miei film c’è sempre un argomento che mi interessa molto” ha concluso, “ed è quello della genitorialità. Vorrei dirvi due frasi che mi hanno molto ispirato nella vita. La prima me la disse un ragazzo in un periodo in cui mi ero convinta di non saper scrivere anche se ne sentivo il bisogno. Lui mi disse che non ci sono regole per saper scrivere. Saper scrivere significa definire ciò che si pensa. La seconda frase riguarda proprio i racconti autobiografici e dice che ogni storia porta con sé un elemento di intimità. Ognuno singolarmente può quindi immedesimarsi nelle vicende narrate, perché toccano corde profonde, rimaste fino ad allora sconosciuta”.

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