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Jodoroswky-Mœbius, l’architettura della creazione e il pellegrinaggio rivelatore di un idiota Incal-lito | Fuori le Mura

Jodoroswky-Mœbius, l’architettura della creazione e il pellegrinaggio rivelatore di un idiota Incal-lito

21 novembre 2011

di Flavio Camilli

Scrittore cileno e artista francese firmano “L’Incal”, imprescindibile capolavoro del fumetto ora disponibile anche in Italia in versione integrale grazie a MagicPress

 

All’inizio era il verbo e il verbo era “cadere”, almeno per Jhon Difool, detective privato di serie R, gettato dal ponte dei suicidi da misteriosi inseguitori. Inconsapevole possessore dell’Incal luce, solo la metà della primigenia scintilla della creazione, amuleto dagli incredibili poteri desiderato dal cosmo intero, sarà il protagonista apparentemente casuale di un viaggio fantastico su e giù per gli universi conosciuti. Al suo fianco il fedelissimo Deepo, gabbiano di cemento ciarliero e diffidente, e una selva di comprimari ai quali gli uomini rischiano di essere in debito della vita: le sorelle Tanatah e Animah, antiche custodi delle due facce dell’Incal, il meta-barone, ultimo rappresentante di una nobile casata di guerrieri, il figlio Solune, il rabbioso lupo antopomorfo Kill, tutti coinvolti in una missione il cui obiettivo si fa sempre più pericoloso e irraggiungibile; inizialmente gli uni all’inseguimento degli altri, dovranno unire le forze quando la tenebrà arriverà a minacciare le sorti del tutto. Per sconfiggerla navigheranno mari acidi, cavalcheranno immense meduse, insemineranno protomadri dalla collera facile e salveranno soli a rischio estinzione. Tutto, pur di sovvertire gli ordini di un futuro gerarchizzato a livello galattico, affrontare i propri incubi, forse sacrificarsi per tornare a cadere in un circolo virtuoso che è movimento esistenziale inevitabile: precipitare e risalire possono essere la stessa cosa, quando la gravità è relativa e la rosa dei venti un fiore sconosciuto.

Potrei seriamente tentare innumerevoli combinazioni di lettere, parole e/o concetti per provare a raccontare al meglio ciò di cui parla L’Incal. Fallirei tutte le volte: si può descrivere il sorprendente incipit o la disorientante struttura generale ma restituire anche solo in maniera superficiale la vicenda è impossibile e inutile; ogni soluzione è parziale. Il percorso conosciutivo dell’idiota Difool (notare, nella desinenza del cognome, l’etichetta “matto”, rimando affatto velato a uno degli arcani maggiori tanto amati da Jodorowsky, anche se il protagonista per fattezze e posizione ricorda più “L’appeso”) si estende su scala universale, narrativamente e qualitativamente parlando, tanto che non si riesce a stargli dietro.
L’autore coopta idee da tutti gli angoli della sua fervida immaginazione e saccheggia a piene mani le ricchezze dei concetti che anche in altre opere ha innalzato a paletti di una poetica esplicita più che dichiarata. Jodorowsky imprime alla saga de L’incal atmosfere epiche e toni profondi, oltre alla responsabilità programmatica che si riserva solo ai manifesti.

La volontà di raggiungere il centro delle cose e dei concetti, il desiderio di capire il fine (che è l’inizio) e il perché degli eventi, il confrontarsi con la divinità intesa come forza creatrice “colpevole” del tripudio di manifestazioni fenomeniche e non che è il creato e la contemplazione, stupefatta, delle infinite meraviglie scoperte e di là dall’esserlo sono i pilastri della vicenda dell’infinitesimale Difool, solo microscopica parte del tutto.

Per Jodorowsky, però, le dimensioni non sono una scusa né uno scudo, anzi un’ammissione di consapevolezza e responsabilità. Per quanto marginali, lo scopo, il lavoro e la storia dei singoli componenti sono significativi e conducono al perfetto funzionamento di qualsiasi meccanismo, sia esso un presidente di ingranaggi o la più difficile macchina da oliare: la società.
L’inetto Jhon è determinante proprio perché, pur uno tra miliardi, in quella moltitudine trova la sua collocazione universale, la sua giustificazione ontologica e, infine, il proprio compito ineluttabile. È proprio quell’uno, assieme ad un manipolo di altre unità, a capovolgere la struttura del potere autoeletto, solo più che unico.

Non è un caso, a tal proposito, la forma piramidale dei due Incal, successivamente uniti in una struttura stellare simmestrica, in cui ad ogni punta corrisponde una base e ad ogni esaltazione una ragione d’essere e un presupposto a cui rendere conto. Nel tratteggiare quella che è una magniloquente incoronazione del singolo, utile in relazione ad altre infinite singolarità, Jodorowsky non può fare a meno di scendere ancora più a fondo nell’analisi dell’individuo, presto rivelata come unione di due polarità. La formula, quindi, si espande a livello cosmico nella sempiterna battaglia tra bene e male, tra luce e oscurità, tra inclinazioni contrastanti di uno stesso essere. Tutto, ne L’Incal è vero a varie grandezze: lo scrittore agisce sul personaggio, sulle dinamiche tra i caratteri, sulle strutture societarie terresti, galattiche, universali in un gioco di rimandi a livelli superiori potenzialmente infiniti ma governati dagli stessi archetipi.

Presto un’avventura scanzonata si trasforma in un’esplorazione senza precedenti dell’essenza della creazione, nella ricerca forse illusoria di uno schema modulare che possa valere per tutte le manifestazioni della Vita e che riesca a spiegarne ragioni e direzioni. Jodorowsky dà la sua risposta, a sorpresa, forzando gli spigoli delle geometrie messe in opera e tramutandole nel disegno di una circonferenza rappresentata nel suo farsi. La verità è un cerchio. Tuttavia, quando il lettore e il personaggio stanno per gridare all’inutilità di tante fatiche, l’estremità terminale del circuito manca di pochissimo il bacio con la partenza: lo scarto è la consapevolezza delle passate tragedie e scoperte, il ricordo delle gesta e degli errori, la dannazione e la savezza: la memoria.

Il contenuto de L’Incal, come è facile immaginare, rompe facilmente gli argini dei balloon e si riversa, prepotente, anche nelle matite dello stratosferico e riconoscibilissimo Mœbius (Jean Giraud). Tutto ciò che Jodorowsky non può dire lo fanno le tavole superbe, un trionfo di pulizia e accuratezza che ha pochi eguali, in cui si abbracciano sintesi comunicativa e disarmante generosità dei dettagli. Mœbius non è solo strumento della storia ma co-creatore: rispettoso di una gabbia molto rigida e classica (che si permette di infrangere, con ottimi risultati, solo nei due capitoli finali) funzionale al racconto di una vicenda fin troppo complessa e compensata dall’abbondanza degli sfondi baroccheggianti quanto basta, l’artista francese si dimostra ancora e sempre un mostro sacro e un maestro di rara levatura.

La saga de L’incal non è certo priva di difetti, intendiamoci: come è facile partire per la tangente cercando di sviscerarne significati e allegorie (come ho ben dimostrato nei paragrafi precedenti) è altrettanto semplice smarrire il bandolo di una matassa che continua ad attorcigliarsi su se stessa, che chiama in causa, improvvisamente, altri colori e altre stoffe e a cui è necessario, spesso, fare violenza, arginandone la spinta creativa con l’orlo della finzione. È fondamentale, spesso, ripetersi che è “solo” un fumetto e non certo un labirinto.
L’Incal è sicuramente di un’opera tentacolare e bellissima, irrinunciabile per gli amanti della fantascienza e dell’arte sequenziale, un pezzo importante della Storia delle storie che ha sì tantissimi debiti ma una sterminata fila di debitori.

Un interessante esperimento di film animato, mai portato a termine

L’Incal
L’integrale
Testi: Alejandro Jodorowsky
Disegni:  Mœbius
Casa Editrice: MagicPress
Pagine: 308
Prezzo 25 €

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