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Autopsia del berlusconismo? Incontro con Antonio Gibelli | Fuori le Mura





Autopsia del berlusconismo? Incontro con Antonio Gibelli

28 marzo 2011

di Simone Arseni


Lunedì 21 marzo, nella sede della FNSI (FederazioneNazionale della Stampa Italiana) a Roma, si è tenuto un incontro con Alexander Stille, giornalista statunitense autore del volume Citizen Berlusconi. Il Cavalier miracolo (Garzanti) e Antonio Gibelli, storico italiano esperto della prima guerra mondiale e autore del recente saggio Berlusconi passato alla Storia (Donzelli Editore). Oltre ai due autori erano presenti il professor Peppino Ortoleva, studioso di storia e teoria dei mezzi di comunicazione, e Ida Dominijanni, editorialista de Il Manifesto. Ha coordinato l’incontro Mario Ajello.

Il primo intervento è stato di Ida Dominijanni, che ha espresso un parere generalmente positivo su entrambe i libri: “sono decisamente efficaci – ha detto – nel dare una visione d’insieme” del berlusconismo e condivide con gli autori l’idea che Berlusconi non debba essere visto né come un’escrescenza del sistema politico italiano, né come una parentesi.

La Dominijanni considera anzi l’evo berlusconiano una creazione italiana espressione di una profonda trasformazione della politica in epoca post-moderna. Due sono le caratteristiche di questa trasformazione. Da un lato, l’uso preponderante della personalità come strumento di affermazione politica, dall’altro, l’utilizzo spregiudicato dei mezzi di comunicazione di massa in generale e della televisione in particolare, nella creazione di gusti e valori diffusi. I saggi, d’altra parte, si differenziano, secondo la giornalista, per una diversa cornice all’interno della quale sono inquadrati questi fenomeni. Antropologica quella di Stille, il quale approfondisce la descrizione di una società italiana in cui sopravvive una diffusa illegalità, spesso legata ai fenomeni di criminalità organizzata. Una cornice volta ad approfondire l’analisi di importanti fatti storico-sociali quella di Gibelli. In particolare, negli anni settanta, Berlusconi ha fornito una risposta in termini di democrazia autoritaria fondata su un’ideologia di modernismo reazionario, al terremoto sociale degli anni settanta e ottanta. Una risposta di carattere arcaico e personalistico, ma che si è avvalsa di strumenti e mezzi moderni che ne hanno determinato il consolidamento.

Secondo Peppino Ortolava, ciò che accomuna i due libri è la spinta a guardare la vicenda politica di Berlusconi da un punto di vista diverso, prendendone le distanze. Eppure, lo studioso ha affermato che, “come accade con la Lettera rubata di E.A. Poe, alcuni aspetti del berlusconismo continuano a sfuggirci poiché li abbiamo sotto gli occhi e li diamo per scontati”. È quindi difficile stanarli e analizzarli con distacco. Ortoleva prosegue l’intervento chiedendosi  da cosa sia nato il vuoto che Berlusconi ha avuto l’astuzia di riempire. Ortoleva propone una risposta drammaticamente asciutta: innumerevoli sono stati gli errori della sinistra che, per superficialità d’analisi politica o per presunzione, ha fatto aumentare i consensi a davore dell’attuale Presidente del Consiglio. Ci sono tre esempi a sostegno di questa teoria.

Il primo, secondo Peppino Ortoleva, la definizione di Berlusconi, da parte di alcuni politici della sinistra italiana, come di un “grande venditore”. Utilizzando questo vocabolo in senso dispreggiativo, si è creata una voragine tra le forze riformiste e la categoria sociale dei venditori. Berlusconi ha tratto molti vantaggi da questo errore che gl ha permesso di presentarsi come rappresentante di punta di questa categoria, incarnazione del mondo dell’imprenditoria.

In secondo luogo, la sinistra si è sempre presentata come portavoce di quella parte della popolazione più istruita che si considera detentrice di saldi valori morali e delle migliori qualità culturali. Ciò può aver generato una reazione dell’ampia parte dell’elettorato italiano che è priva delle forme più elementari di istruzione. Berlusconi ha quindi avuto gioco facile, anche grazie a una campagna contro i professori e i moralisti di sinitra, a conquistarsi l’ampia fetta di elettorato meno istruito.

In sintesi, Ortoleva ha concluso il suo intervento analizzando il modo in cui Berlusconi ha riempito questo vuoto: con una conciliazione permanente degli opposti (la famiglia e la prostituzione, le ballerine del drive-in e Mike Buongiorno). La sua forza è stata dunque la capacità di mettere insieme elementi apparentemente inconciliabili.

L’intervento di Gibelli è ironico e brillante. Ha iniziato dicendo che, per prendere le distanze da un fenomeno bisogna collocarsi al di fuori di esso, prenderne congedo. Questo è stato il suo metodo di lavoro oltre che il suo auspicio. Gibelli ha affermato di aver provato “a fare, più che un’anatomia del berlusconismo, una sua autopsia. Ma non ci sono riuscito: il berlusconismo continua ad essere vigente ed è sempre più pericoloso”. La Gelmini, ad esempio è descritta come “una specie di Attila che distrugge pezzo a pezzo, vendicativamente, tutte le conquiste del 1968”. Per concludere, Gibelli ha affermato che la retorica berlusconiana, fortemente anti-politica, è il frutto di una scelta che si è rivelata politicamente vincente: si usciva, negli anni ’90, da una “iper-politicismo” che aveva stancato gli italiani. Berlusconi ha fornito una risposta alle spinte sociali che andavano in direzione della ricerca di una felicità individuale. La sinistra non ci è riuscita.

Il presidente del Consiglio, insomma, “dà il meglio di sé quando sembra sconfitto”, come ha detto Stille, “gioca meglio in attacco che in difesa”, ma questa sua caratteristica è un arma a doppio taglio perchè riesce sì a tirare fuori la vittoria dalla sconfitta, ma non è in grado poi di gestire la vittoria in termini di consenso politico. Persino dopo le elezioni del 2008, vinte con un’ampia maggioranza, Berlusconi non è riuscito a sfruttare quella maggioranza per fare riforme utili al paese, ma ha gettato alle ortiche anche quest’ occasione di riformare l’Italia.

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