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Friday 26 April 2024
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La Famiglia | Fuori le Mura


di Giulia Sarli

Come in un’opera d’ arte contemporanea, i suoi peccati furono gettati a casaccio sul pavimento e targati con il pallido nominativo di Senza Titolo.
Sara parlava con gli occhi freddi e una ruga impressa al lato sinistro della bocca; sembrava che fosse giunto il momento della verità. Lui, Paolo, il suo fidanzato prima, suo marito poi, era la causa della sua tragica sofferenza. E da come ne parlava, se avesse aggiunto alle colpe il terremoto all’Aquila, il tornado Igor (pronunciato “Aigor” all’americana) e la scomparsa di un sottomarino russo negli anni novanta, Paolo non ne sarebbe stato sorpreso. Anzi, probabilmente sul momento si sarebbe realmente sentito responsabile.
La freddezza metallica di quella voce gli tagliava le orecchie e quegli occhi facevano colare su di
lui un oceano di catrame. Lui, piccolo gabbiano disperso, non riusciva più a muovere le ali; il becco faticosamente si apriva, senza poter emettere un grido di aiuto. Usci di casa sbattendo la porta.
E solo in macchina, mentre vagava per le strade senza direzione, le sue guance si macchiarono di chiazze rosse e correnti verticali di liquido catartico rintoccarono in piccole gocce sul volante.
Gesù nel suo istante di smarrimento non avrebbe saputo mostrare una miglior performance di disperazione. Perché? Perché?
E gli occhi che a fatica oltrepassavano quel cristallo di lacrime si asciugarono soltanto di fronte alla casa di Marta. Marta..la mia unica figlia, la mia Marta che mi vuole bene. Citofonò e la voce allegra della ragazza rispose subito.
– Chi è?
– Marta, sono papà. Ti disturbo? Posso salire?
Il portone si aprì, come ogni portone, accompagnato da quel rumore secco che fa pensare all’uscita dal carcere.
– Che cos’è successo?
E il padre cominciò a sfogarsi con una voce rotta dall’autocommiserazione; ma la figlia sapeva già tutto. Ascoltò ad occhi bassi quelle parole già sentite un milione di volte da quando era piccola.
– Ma io che posso fare? Non potete venire sempre da me, che c’entro io?
Risposta brusca sì, ma non poté farne a meno.
Il padre piangeva, aveva il viso distrutto. Si riprese solo quando una tazza di tè gli venne offerta, accompagnata da ma vedrai, si risolverà tutto, era solo un momento di rabbia, è stanca, è vecchia, ha bisogno di te.
Ma io! Ma io! Gridò il padre nella sua espressione da agnello protagonista di un rito sacrificale campestre.
Ancora venti minuti di lamentazioni giobbiche e l’espiazione tutta negli occhi di Marta.
Così Paolo terminò il suo spettacolo, tra abbracci della figlia ed effluvi di ti voglio bene sei il mio tesoro.
La porta si chiuse senza rumore.
Di nuovo in macchina, con più calma, il momento dell’elaborazione: che cosa dire? Che cosa fare? Quale sguardo rivolgere a quel dirigibile metallico in cui si era trasformata sua moglie? Gli occhi di un pentito.
Entrò piano, togliendosi le scarpe all’ingresso, salutando con voce delicata la casa dalle luci accese.
La tavola era apparecchiata come al solito, la televisione accesa. Si tolse la giacca e si sedette al suo posto mentre la moglie trasferiva le pietanze dai fornelli ai piatti, con la stessa amorevolezza di sempre.
Niente era successo, quel volto aveva cancellato dalla sua memoria ogni cosa e ora si sforzava di fare lo stesso per lui.
Una parola avrebbe potuto far crollare quella perfetta realtà quotidiana e familiare. Lui non la disse.
E il ronzio del telegiornale catturò i loro ricordi fino a farli scomparire.


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