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Friday 26 April 2024
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La preghiera dell’Ombra Chiara | Fuori le Mura


di Luca Palumbo

Una bizzarra ombra chiara si fece largo nell’angusta camera, fissando dinanzi a sé, senza curarsi degli uomini che borbottavano in maniera oscena. S’avvicinò al capezzale del vecchio moribondo. Questi, appena s’avvide dell’ombra chiara, placò il tremore delle sue morenti membra, entrando pietrificato nell’attesa.
E s’apprestò ad ascoltare.

“La penombra sembra farti più decente. Meglio così, non sono costretto ad assistere allo spettacolo penoso delle tue rughe inutili e dei tuoi occhi che non hanno colore, che non emanano alcuna luce, oggi come ieri. Che tristezza, nemmeno una donna al tuo capezzale, soltanto vecchi raggrinziti tuoi colleghi di pensione. Non sanno neppure fingere di piangere. Borbottano, sbavano e rantolano. Non ti guardano neanche in faccia. Si soffiano il naso, si grattano il culo, chiedono il caffè, vanno continuamente al cesso per pisciare, esorcizzando il terrore. Tu stai crepando, e i tuoi amici se la stanno facendo addosso dalla paura. Non stanno pensando a te, stanno pensando alla propria morte.
E tu? Fingi di non avere paura, come loro, nascondendo la faccia sotto le coperte. Non emetti suoni, non ti lamenti, non guaisci, non tremi. Ma io la tua paura la vedo, eccome. Anzi, la sento dalla tua puzza. Te la sei fatta nei pannoloni e il tuo sudore sa di pesce marcio. Il tuo alito è morte. Ti stai chiedendo se hai ancora qualche spicciolo di speranza. Non ne hai. Sei morto. Allora ti starai chiedendo se verrà ciò che hai immaginato tutta una vita, una vita senza colore e senza sapore. Mi accorgo che la tua paura è per ciò che non ci sarà. Forse hai capito, finalmente. Ma forse, a questo punto, sarebbe meglio che non capissi. Malgrado tutto, mi fai quasi pena.
Ti consiglierei di piangere, di schizzare lacrime per poi fartele cadere addosso, per cancellare quella che è stata un’esistenza insulsa. Mi dispiace, mio caro moribondo, non hai costruito niente, non c’è niente; perché la paura e la schiavitù sono sterili: non hanno sperma. E se ne hanno, è gelido, è inutile. Capisco, nella tua paura stai aspettando il tuo Dio, pensi che ti venga a prendere tra qualche ora, tra qualche minuto. Stai immaginando che prima o poi il tuo nome verrà annunciato. Allora credi che, per mano di Dio, sfilerai dal tuo letto puzzolente con una leggerezza incantevole e spiccherai il dolce volo verso il mondo delle tue vili preghiere. A quel punto pensi che griderai ai cieli la tua irreprensibilità, reclamando il diritto all’eternità, a non avere più paura di morire. E che cosa hai fatto per credere di arrivare a meritarti questo? Nulla, non hai fatto proprio nulla. Hai speso una vita a leggere senza interruzioni le leggi dell’uomo inutile. Ti sei sottratto all’azione. Hai evitato il confronto. Hai sepolto i libri che ti sono stati regalati. Hai distrutto la musica. Hai gettato il vino nel cesso. La sborra te la sei tenuta nei coglioni. I soldi li hai dati a chi ha voluto fotterteli. Hai votato per non pensare. Hai lavorato per vincere la noia e per difendere la tua reputazione di buon cittadino. Ma cittadino di che? Cittadino di niente, del vuoto più assoluto. Infine, hai immaginato il Paradiso: un universo dove credi non avrai più paura di morire, e soprattutto di vivere. Perché non hai avuto il coraggio di vivere.
Sei stato schiavo. Sei stato servo. Hai obbedito alle leggi dell’intimidazione, della minaccia astratta. Hai sopportato come un fesso il peso di una croce che tu stesso hai costruito, che nessuno ti ha messo sulle spalle. Hai sofferto perché credi che ti sia stato ordinato di soffrire, ma le tue pene non hanno mai avuto alcuna forma. Hai abbandonato il tuo corpo, e hai ignorato quello degli altri. Hai sviluppato l’insensibilità, buttando via ogni carezza. L’amore l’hai visto in televisione per appisolarti la sera sotto le coperte, e non lo hai mai nemmeno sognato. E così per l’odio.
Hai vissuto con un chiodo fisso: il Paradiso, l’Eternità, un giardino in cui credi che possa riposarti per sempre e continuare a non fare nulla, senza avere il timore di morire e di vivere, perché è questa la promessa che hai immaginato di leggere nelle tue leggi. E a queste leggi ti sei incatenato.
E cosa sei adesso, in questo letto di morte? Sei una cosa che puzza di pesce marcio e di merda che si spalma nel tuo pannolone, con quattro vecchi attorno che vorrebbero non vederti e una penombra che vela anche l’ultima speranza di decenza. Ora sì che hai paura, lo vedo, eccome. Cominci a credere che la tua speranza non esiste. Inizi a pensare che tra non molto non ci sarà nulla, e che in questo nulla tremendo ci sei arrivato essendo nulla. Stai crepando portandoti dietro nessun ricordo, se non il Divieto di Vivere. Niente giochi. Niente amici. Niente vino. Niente fica. Niente cazzo. Niente libri. Niente musica. Niente amore. Niente odio. Niente. È terribile, lo so. È terribile perché, semplicemente, te ne rendi conto a un minuto dalla fine. Il tuo ultimo respiro non avrà proprio nulla da dire. Che tristezza. Mi dispiace per te, sinceramente.
Eppure io ti dico che c’è una speranza. Sono qui al tuo capezzale per concedertela, mio caro moribondo. Ebbene sì, vi è una possibilità per rifarti. Io ti svelo che il tuo Paradiso e la tua Eternità non esistono, ormai mi sembra che tu l’abbia capito, credo di essere stato chiaro. Tuttavia non v’è nemmeno traccia del nulla eterno. Vi è un’altra palla di vita dopo la tua schifosa vita piatta di adesso, questa che sta miseramente per spegnersi. Nella tua prossima occasione hai la grande e irripetibile possibilità di vivere veramente. Questa volta la tua vergognosa paura di vivere e di morire sarà severamente punita appena peccherai in questo senso, e la durata della tua nuova vita sarà minore di questa che stai per lasciare. Dopodiché, il nulla eterno, quello vero e palpabile, assorbirà la tua viltà e la tua apatia. E non ci sarà più niente per te.
Ora vai, mio caro moribondo. E ascolta la mia preghiera: vivi e agisci e godi e fai godere. Apri gli occhi e le orecchie, spalancalo quel fottuto cuore, fa che non batta soltanto per tirare a campare. Fai muovere quel cazzo di corpo e quella mente, conosci, fatti conoscere, viaggia. Leggi scrivi suona scopa bevi ama e odia. E incazzati come una belva quando ci sarà da incazzarti. Amici nemici sofferenze delusioni gioie che si toccano sogni desideri sborra che schizza. Urla i tuoi pensieri, esponi le tue idee, butta fuori quello che hai in corpo.
E infine, riempiti di ricordi, che guarderai con gioia nel letto della prossima morte.
E fa che la prossima non sia l’ultima.
Amen.”

Il povero moribondo vide la strana ombra chiara scomparire lentamente in un radioso sorriso.
E il povero moribondo sorrise anch’egli, dopo aver visto poco prima allo specchio della mortale miopia l’uomo nuovo che lo aveva rimproverato ma che gli aveva regalato un altro pasto da mordere con più audacia.
Quando realizzò che quell’enigmatica ombra chiara somigliava a se stesso in maniera imbarazzante, il povero moribondo trattenne il respiro, col sorriso negli occhi, e affondò nell’apnea della morte che lo avrebbe riportato in vita.


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