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Rapper romano sotto processo per qualche rima di troppo | Fuori le Mura

Rapper romano sotto processo per qualche rima di troppo

14 maggio 2012

di Eleonora Pochi

Scrive dei versi dopo che un suo amico è stato massacrato ingiustamente e viene accusato di apologia di reato

Riccardo Valentini, in arte Er Boh, è un giovane rapper romano amante della cultura hip hop. Prima di essere un rapper, Riccardo è un ragazzo come tanti altri, con un diploma in grafica pubblicitaria che gli permette di lavorare qua e là. Cresciuto a Spinaceto,  nella periferia romana, si appassiona sin da adolescente all’hip hop, dando vita alla 29 crew, un gruppo di amici nel quale si rappava su beatbox o su basi americane.  Riccardo prosegue il suo percorso negli anni lavorando in progetti solisti, scrivendo e cantando testi più o meno impegnati, toccando temi sociali quali morti bianche, crisi, corruzione, emarginazione, elaborando anche strofe sull’amore, indirizzate ad una lei. Tutto nella norma, fino ad una sera d’estate del 2010. Mentre Riccardo e i suoi amici stavano passando una serata alla Spiaggetta di Ostia, un locale sul lungomare laziale, uno di loro, Stefano Di Masi, fu quasi ucciso dalle percosse di due buttafuori, ai quali dava semplicemente fastidio “il troppo baccano” che il ragazzo stava facendo. Stefano fu preso ripetutamente a calci in testa e finì in coma per un lungo periodo, dopo esser stato sottoposto ad un’operazione d’urgenza al cervello.

Qualche giorno dopo, Riccardo sentì l’esigenza di canalizzare la rabbia per le gravissime condizioni dell’amico e scrisse qualche strofa che mise su Youtube. Quella breve registrazione, trasmessa da Radio Rock, emittente che nel periodo estivo propone musica alla Spiaggetta, è costata al rapper un accusa di incitazione alla violenza. “Ciò che mi ha ispirato a scrivere quei versi – racconta Riccardo Valentini – è stato l’increscioso episodio accaduto ai danni di Stefano, massacrato di botte fino al coma senza aver fatto assolutamente nulla per meritarsi anche il più lieve dei trattamenti aggressivi. Vivendo quell’incubo, sono stato spronato a raccontare una situazione molto pesante che persiste nella Capitale, ossia che c’è un clima  teso di violenza diffusa”. Abbiamo chiesto a Riccardo se, a suo parere, i versi incriminati (“È la gente di quartiere che vi cerca e non fa sconti, noi non ci scordiamo e non portiamo pazienza, alla violenza si risponde con violenza”) rappresentassero una “incitazione alla violenza”: “Secondo me non ci sono molte interpretazioni da dare a questa frase, l’incitazione alla violenza sussiste quando si creano i presupposti per un attacco oggettivo ad una persona, ad una razza oppure una etnia , e quotidianamente siamo circondati da realtà che professano violenza e intolleranza a gran voce” .

Er Boh ha calcato gli stessi palchi di alcuni artisti che nell’hip hop sono assai noti. Essi sono accomunati anzitutto da un comportamento incline alla cultura della quale fanno parte. “La cultura hip hop, di fondo, è basata esclusivamente sull’ uguaglianza, la fratellanza  e la tolleranza – racconta il rapper -. Con il tempo è stata manipolata dal business e molte cose, purtroppo, sono cambiate, incitando  anzitutto le case discografiche a creare personaggi che rappresentassero l’estremo, per poter essere animali da spettacolo. L’ hip hop ha sempre trattato temi duri  con un linguaggio molto forte – segue Riccardo – per essere di facile comprensione e fruibile allepersone che vivono la strada quotidianamente , ma al giorno d’oggi possiamo trovarne davvero di tutti i colori: dal Death rap che parla di violenza e droga , al Christian rap che professa la parola della Chiesa” .

Qualche semplice strofa ha stravolto la vita di Riccardo. “Mi aspetterà un lungo processo penale, che tra l’altro ha prosciugato tutti i miei risparmi, guadagnati da precario. Attendo di essere processato poiché accusato di apologia di reato, che prevede da 1 a 5 anni di reclusione”.

Nel nostro ordinamento, l’accusa di l’apologia di reato è prevista anche nel caso in cui si inneggi al Fascismo, e malgrado ci siano palesi dimostrazioni del contrario, senza dubbio più violente di qualche rima, nessuno viene processato. Numerosi esponenti politici hanno manifestato pubblicamente la loro affezione verso un movimento bandito dal paese grazie al dettato costituzionale.  Che la restrizione della libertà di esprimere il proprio pensiero venga arbitrariamente applicata, quindi, non è una novità. “ La libertà d’espressione è solo un articolo della nostra sacrosanta costituzione. Anche quando sembra che si è liberi di manifestare il proprio pensiero, in realtà si è perennemente controllati e limitati. Anche quando sembra che qualcuno dica qualcosa fuori dal coro, è tutto già preventivamente studiato”. Sulla questione una cosa è certa, il rap è la pecora nera dei generi musicali. Molti colleghi di Riccardo, in ogni angolo di mondo e soprattutto in paesi che subiscono la dittatura, sono stati condannati, torturati o imprigionati perché hanno cantato versi indigesti al potere: “La parola è più forte della spada, ma un M16 è più forte della parola – commenta il rapper – . Finché ci saranno regimi totalitari o democrazie mascherate, chi ha da ridire infastidirà il potere e verrà trattato come un criminale , colpevole di avere una propria idea e diffonderla”.

 

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