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Alessandro Machìa: “La cultura è fondamentale per l’elevazione dello spirito e delle coscienze” : Fuori le Mura


Alessandro Machìa: “La cultura è fondamentale per l’elevazione dello spirito e delle coscienze”





28 ottobre 2013 |



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downloadSi è conclusa l’8 ottobre con un grande successo di pubblico e critica Storie di donne morte ammazzate, la prima maratona teatrale nata per raccontare e denunciare un prodotto divenuto tipicamente italiano: il femminicidio. Negli 8 giorni di vero e proprio tour de force teatrale si sono susseguite sul palcoscenico 12 storie drammatiche, unite da un unico, invisibile e pesante filo conduttore: la violenza sulle donne. Donne che hanno perso la vita per mano di chi quella stessa vita doveva proteggerla, custodirla. Donne che da angeli del focolare, sono diventate, in tempi più recenti, vittime del loro stesso focolare.

L’iniziativa, culminata con la prima Notte Rossa sul femminicidio, è stata promossa e organizzata dall’Associazione Punto D, con il patrocinio della Coperativa Sociale Befree, Digayproject e Imma Battaglia, con il sostegno di Vitaldonna Onlus, Fonderia delle Arti e 365 Giorni di Donne.
Noi di fuorilemura.com abbiamo intervistato il regista Alessandro Machìa.

Vorrei iniziare questa intervista dalla frase shock che ha dominato non solo nella cartellonistica, ma silenziosa e beffarda anche sul palcoscenico: “il femminicidio è un prodotto made in Italy che va alla grande”…
A.M.: Sì, purtroppo è un triste primato tutto italiano. Da troppo tempo ormai il motto ipocrita “italiani brava gente” dimostra tutta la sua falsità. Lo vediamo sia nel turismo sessuale che sfrutta la parte povera del mondo, in cui siamo al primo posto, sia appunto nel femminicidio, che ha ragioni sicuramente complesse, ragioni che ci raccontano di un paese in grave crisi morale e culturale prima che economica. Sono molto sensibile al tema del femminicidio e seguo molto da vicino le vicende politiche del nostro paese, prendendo posizione, perché convinto che bisogna essere prima cittadini e poi artisti. Da uomo di sinistra parto dal concetto dell’uomo come citoyen più che come individuo, inserito cioè in una comunità e non isolato, intento solo a massimizzare il proprio utile. Da cittadino devo dire che, a parte il solito qualunquistico sparare a zero sulla politica, la notizia di una settimana fa che il Senato ha approvato il decreto sul femminicidio mi sembra una buona cosa, segno che in Parlamento e nelle commissioni qualcosa si muove, devo dire soprattutto grazie a una nuova generazione di politici molto valida.

Una donna ogni 3 giorni muore ammazzata da un uomo, in molti casi un ex mai rassegnato, ma molto più spesso sono mariti o fidanzati accecati dalla gelosia Ovvero barbarie che si consumano in quello che una volta veniva definito “nido”. Numeri che fanno rabbrividire, e anche al momento di questa intervista si è appena consumato l’ennesimo omicidio – suicidio a Perugia. Mai come in questo caso possiamo parlare di spettacolo come atto necessario, dovuto.
Sì, è uno spettacolo dovuto e necessario che nasce dalla bella intuizione dell’autrice Betta Cianchini, capace come pochi di leggere i tempi e di dar voce a donne normali, che spesso muoiono nell’anonimato e per ragioni futili. Io personalmente parto da un’antropologia hobbesiana pur essendo un uomo di sinistra. L’uomo è fondamentalmente un animale e non tutti i gesti che compie sono intenzionali. Kant nell’Idea di una storia universale da un punto di vista cosmopolita parla dell’insocievole insocievolezza come tendenza insita nella natura umana, cioè un antagonismo di fondo dell’umano, un’avversione che minaccia di disunire la società. Tutti noi, se ci pensiamo bene abbiamo un paio di persone nella nostra vita che vorremo vedere morte; se non le uccidiamo non è solo perché abbiamo dei valori morali radicati nella struttura etico-religiosa dell’io, ma molto più semplicemente perché abbiamo paura delle conseguenze legali, di finire in galera, etc. Quindi per istinto di conservazione. Invece, una certa psicologia riduzionista più che illuminista, ha espulso il raptus, che invece esiste, e ha riportato tutto a rapporti di causa-effetto, a un determinismo francamente ingenuo che pretende di illuminare a giorno tutto l’essere umano, che invece è e rimane un mistero insondabile.

Teatro che acquista una dimensione etica, educativa e istruttiva. In una realtà amara e complicata per noi tutti “addetti ai lavori” possiamo ancora affermare a testa alta che anche dal teatro, come in ogni altra forma culturale, si può e si deve crescere, imparare, capire. Storie di donne morte ammazzate è l’esempio di come anche la cultura può dare il suo contributo in temi di attualità.
La cultura è fondamentale per l’elevazione dello spirito e delle coscienze, è una sorta di katechon, per usare un termine della teologia politica, cioè un freno contro l’avanzata della barbarie, che oggi secondo me è rappresentata dal predominio dell’economico. Non è un caso che la politica oggi non solo ha perso il predominio sull’economia, ma è appiattita su di essa nell’analisi che fa della società. Ha dimenticato completamente la cultura, assente dai programmi politici e spesso usata come merce di scambio elettorale. Ma senza cultura non c’è futuro per nessuno e soprattutto per l’Italia, che ha l’80% del patrimonio culturale mondiale e su questo dovrebbe investire. Storie di donne morte ammazzate è uno spettacolo etico, civile, sì, ma è uno spettacolo, non intende nascondersi dietro il paravento dell’utilità sociale. Basti pensare che sono dodici monologhi, ognuno con un disegno luci proprio e con una regia diversa. Sul rapporto con l’attualità, io credo che il teatro sia sempre, giocoforza, al presente, indipendentemente dal fatto di mettere in scena una tragedia greca o un testo di Schimmelfennig. E’ al presente perché accade nel presente in cui vivono le persone che lo fanno.

Facciamo un piccolo passo indietro e raccontiamo ai lettori di amazingcinema come è nata l’idea di questa maratona teatrale culminata con la prima notte rossa domenica 13 ottobre e come ti sei approcciato ai testi di Betta Cianchini.
L’idea nasce da Betta Cianchini, già nota per aver ideato il fortunato format Dignità autonome di prostituzione. Un giorno mi chiama proponendomi la regia dello spettacolo e io accetto senza esitazione. L’idea di dedicare, ogni 13 ottobre, una serata al dramma del femminicidio mi sembrava e mi sembra doveroso affinché si tenga sempre alta l’attenzione verso lo scempio che ogni giorno si consuma a danno delle donne. Il lavoro che ho svolto sui testi della Cianchini è stato complesso e articolato e ha richiesto la collaborazione attiva anche delle attrici, tutte bravissime e provenienti da differenti esperienze. La drammaturgia per essere tale deve prendere una distanza dai fatti di cronaca a cui si ispira, questa distanza è fondamentale per l’esistenza stessa del fatto drammaturgico. I testi della Cianchini invece rinunciano a questa distanza, sono, come scrivo nelle note di regia, degli instant plays, testi che affondano direttamente nella carne ancora viva dei fatti, e quindi per un regista è ancora più difficile lavorarci. Bisogna appunto lavorare molto di regia per conferire loro universalità, esemplarità, quella distanza che una scrittura come quella della Cianchini, così carnale e appassionata, inevitabilmente e comprensibilmente non può e non vuole avere. Il risultato direi che è molto soddisfacente: i testi emergono e la regia non si mette davanti, ma interroga e si fa interrogare dai testi, in un rapporto aperto.

Hai diretto nel corso degli anni diverse opere teatrali, ancora custodisco nella memoria quel capolavoro di Sogno d’autunno. Non è solo una frase fatta quando si afferma che il teatro, così come il cinema, non è che la proiezione sul palcoscenico della realtà. Nel caso di Storie di donne morte ammazzate parliamo però della realtà più brutale, senza filtri né finzioni. Da regista quanto hai sentito il peso di dare voce a storie di vita e di morte realmente accadute. Deve essere stato un lavoro emotivo non da poco.
A.M.: Beh, innanzitutto grazie per il complimento che rivolgi a uno spettacolo felice come il mio Sogno d’autunno, uno spettacolo che ha segnato una svolta nella mia idea di teatro. Consentimi di dire che è incomprensibile il silenzio del teatro pubblico italiano intorno all’opera di Jon Fosse, l’autore vivente – dati SIAE – più rappresentato al mondo. In Francia, per intenderci, recentemente è andato in scena all’Opera National de Paris, l’opera lirica tratta dal romanzo Melancholia di Jon Fosse, musicata da G.F. Haas e diretta da Stanislas Nordey. Un romanzo peraltro, strutturato secondo un flusso di coscienza del protagonista e quindi di non immediata lettura; figuriamoci l’idea di farne un’opera lirica. Qui da noi non si riesce neanche a presentare nei cartelloni degli Stabili un testo teatrale di Fosse. Colgo l’occasione per annunciare per la prossima stagione una nuova produzione, in prima nazionale, di un testo inedito di Jon Fosse, il titolo è top secret. Spero di incontrare apertura da parte dei teatri italiani, visto che si tratta di un progetto ambizioso. Io comunque vado avanti da solo. Sul rapporto del teatro col reale, io direi che il teatro è sì una proiezione della realtà ma una proiezione mediata, non immediata. La mediazione è costituita dalla tanti elementi: l’attore con la sua évidence di voce e carne, il regista, le luci, etc, la tecnica (necessaria per fare questo mestiere e che troppo spesso si dà per scontata). Insomma, c’è una ragione del teatro che la realtà non conosce, una ragione che non permette una immediata trasparenza di realtà e teatro. Nei testi di Betta c’è l’ambizione di arrivare a questa trasparenza, per questo da regista ho operato rafforzando ogni elemento in una direzione eminentemente teatrale.

Quale vorresti fosse il messaggio che ogni singolo spettatore è riuscito a carpire in questi 7 giorni di intenso e drammatico tour de force teatrale. E come ognuno di noi deve contribuire affinché il femminicidio diventi una voce al passato.
A.M.: Ovviamente non sono in grado di fornire una soluzione e non mi è neanche richiesto. Il problema è complesso, ha a che fare con la deriva del desiderio, che oggi si fa autoreferenziale, non ha più freni, etc. Senza dubbio, testimoniare, dare voce a queste donne morte ammazzate, può servire a riflettere sui valori di riferimento della nostra società e costituire quel freno di cui dicevo sopra. Il problema di cosa lo spettatore comprende e vede mi interessa molto. Il mio teatro si basa proprio su questo: quando costruisco uno spettacolo mi chiedo in ogni istante: cosa vede lo spettatore in questo momento? Il teatro per me è esperienza di percezione. Credo, in questo senso che bisogna indebolire la struttura drammaturgica, costruire degli spettacoli incompiuti e incompleti, in modo che sia lo spettatore a riempire i vuoti, le mancanze, incitandolo a una presenza attiva e non passiva. Io cerco questa strada: non mi interessa la perfezione, mi interessa di più l’imperfezione, perché l’imperfezione non viene prima della perfezione, ma viene dopo, la segue, il suo discorso comincia solo a partire dalla perfezione.
Una curiosità: al termine della Notte Rossa, mentre mi avviavo verso casa, mi sono imbattuta in un uomo intorno ai 50 anni che inveiva contro noi donne colpevoli di aver rovinato il mondo da quando – testuali parole – abbiamo smesso di rimanere in casa a fare la calzetta.
C’è davvero tanta strada da fare in un paese come il nostro che si vanta di essere fra le 8 potenze mondiali. Sì, peccato che lo sia solo sulla carta.

 



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Category: Costume