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Biberon al piombo ovvero quello che non serve alle future generazioni : Fuori le Mura


Biberon al piombo ovvero quello che non serve alle future generazioni





2 agosto 2013 |



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CopertinaUna black list lunga oltre cento pagine per andare alla scoperta, uno dopo l’altro, di neurotossici e interferenti endocrini nascosti nel mondo e nella nostra quotidianità per mettere a punto un prontuario che sia salvifico per la salute dei bambini del pianeta. C’è un Biberon al piombo, come nel titolo del testo (Sironi editore) di Maria Cristina Saccuman, già pronto da far poppare ai più piccoli, sulla Terra, con effetti che pochi sanno e pochissimi forse riuscirebbero ad immaginare. Queste sostanze, che scappano dai nostri consumi, dalle nostre auto e dai nostri oggetti, dalle nostre falde cittadine come dai ghiacciai sulla Terra, dai nostri beni di consumo lasciati all’angolo della strada, incautamente, sono già lì ad uccidere l’essere umano, prima ancora che si manifesti. Perché il concetto che più fa male, e che Saccuman ribadisce in più momenti nel testo, è che queste sostanze vengono a contatto con i bebè del mondo ancor prima che essi ne facciano conoscenza, attraverso il nutrimento dalla madre durante la gestazione. Una malefica metafora del mondo che nutre con il suo stesso male un nascituro ancor prima che venga alla luce.

Ma andiamo per ordine. Due, in sintesi, i nemici. Due, in soldoni, gli effetti. Sfogliando le pagine di Saccuman, che solo in pochi passaggi si perde in tecnicismi, si farà la conoscenza di neurotossici e interferenti endocrini. Sostanze, in pratica, che vanno ad intaccare il funzionamento delle sinapsi nel cervello, alla base, per essere riduttivi, di tutto, e, poi, degli ormoni. E, meno indirettamente di quanto si pensi, della crescita: quella del corpo e quella dell’intelletto. Con conseguenze su entrambi gli aspetti – mente e corpo – irreversibili, anche quando silenziosi, dai disturbi della concentrazione a quelli cronici dell’apprendimento fino alla minorazione fisica.

Sconvolgono, così, a sostegno delle spiegazioni che Saccuman conduce al lettore, i dati e i casi raccontati nel testo, viaggiando nel tempo e nello spazio. Da quello di Mattel – casa della nota bionda e plastificata Barbie – che nel 2007 invia dalla Cina, nel mondo, milioni di pezzi dipinti con vernice che possiede piombo in quantità 180 volte superiore a quella consentita, a quello della Duport di Deepwater, nel New Jersey, azienda produttrice di tetraetile (uno dei composti della benzina), che avvelena, nel 1926, i suoi operai, dando la morte a 15 uomini e la psicopatia a circa 300 lavoratori. Dal disastro compiuto a Minamata, in Giappone, dalla fine degli anni Cinquanta, dall’azienda chimica Chisso, alla coltre giallastra che coprì Londra nel 1952, fino all’Italia con il caso della Caffaro di Brescia. Con tutto l’orrore dei numeri. “Si stima che dal 1956 al 1968 la Chisso abbia scaricato dalle 80 alle 150mila tonnellate di mercurio. Quasi 3mila pazienti sono stati riconosciuti ufficialmente, e 800 di loro sono ancora vivi. Una ricerca del 2001 ha stimato che fino a 2 milioni di persone hanno ingerito abbastanza mercurio da avere sintomi come mal di testa, perdita dell’udito e della sensibilità delle mani, e incapacità di distinguere il freddo dal caldo. Il pesce e i molluschi della baia sono stati dichiarati adatti al consumo umano nel 1997. I livelli di mercurio nelle acque della baia di Minamata sono tornati a livelli trascurabili nel 2009…”. Ecco, in questa citazione dal testo una problematica ancora aperta, quella dei livelli trascurabili che sono indici che continuano a cambiare, mentre la legge di tutto il mondo fatica a tenere il passo. Ed è un punto che resta aperto, una domanda che Saccuman fa al suo lettore alla fine, perché ad oggi “non esistono chiari dati scientifici” e la miglior cosa da fare sembra “limitarne l’uso – di queste sostanze – e comunicare l’incertezza scientifica”.

Tomoko Uemura nella foto simbolo della tragedia di MinamataAl termine della lettura, quando l’ansia di controllare qualunque etichetta – non lo si può negare – un po’ prende, resta il concetto più importante, quello forse da passare: farsi delle domande, ogni volta, su quello che stiamo usando o mangiando o respirando. Da comunicare al bambino lasciato giocare per strada ad altezza tubo di scappamento, al vecchio contadino che incendia le sue foglie con qualche rottame fermo ad arrugginirsi da un po’ in cantina, alla donna incinta che si fida di un cosmetico, alla mamma che si fida di un giocattolo perché il marchio è garantito da uno spot con un testimonial noto in tutto il mondo e pagato profumatamente. Senza contare poi che ad aggravare il tutto – questa un’altra grande questione nel testo – c’è la povertà globale che porta a consumi di scarto, case di seconda fattura, scuole di terzo ordine, costumi applicati per pura necessità. Perché qui e lì nel volume è ben ribadito il concetto che gli studi delle grandi università o dei grandi ricercatori scientifici, dal primo Novecento ad oggi, dimostrano che neurotossici e interferenti endocrini si attaccano di più ai poveri nel mondo, che vengono debilitati per restare più poveri, in una catena suicida in cui l’umanità sta rischiando di implodere.

In un discorso alla radio, nel 1943, Winston Churchill disse che “non c’è, per nessuna comunità, investimento migliore nel mettere latte dentro i bambini”. Ecco alle madri, ai padri, agli adulti, ai grandi industriali senza scrupoli, alle grandi case produttrici di tutto il pianeta spetta adesso di fare in modo che quel latte nutra, senza distruggere. Basta sapere e credere che tutti, nessuno escluso, possono e devono fare qualcosa per migliorare le condizioni dei futuri abitanti della Terra. Che siano i nostri figli, i nipoti, i ragazzini che ridono giocando al parchetto sotto casa. Tutti i bambini hanno nello stesso modo diritto ad avere un futuro. Senza piombo, ovviamente.



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Category: Libri