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Francesco Leto racconta Suicide Tuesday : Fuori le Mura


Francesco Leto racconta Suicide Tuesday





6 maggio 2013 |



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Leggi la recensione di Suicide Tuesday su Fuori le Mura, a cura di Erminio Fischetti

Francesco LetoÈ quasi rientrato nei 12 finalisti del Premio Strega, ha ricevuto una buona accoglienza dalla critica e dal pubblico. Suicide Tuesday (pubblicato da Giulio Perrone Editore), l’esordio letterario del giovane Francesco Leto, classe 1983, nato a Cirò Marina in Calabria, è un’opera che cattura e avvince. Tre storie parallele che raccontano di amore, morte e speranza. La scorsa settimana ve l’abbiamo raccontato nella lunga recensione che abbiamo dedicato a questo intenso romanzo, ora è lo stesso Francesco Leto che lo racconta ai lettori di Fuori le Mura rispondendo alle nostre domande.

Francesco, lei ha un percorso di studi lontano dalla scrittura, come mai ha deciso di scrivere un romanzo?
Non credo in realtà ci sia bisogno di alcuno studio particolare per avvicinarsi alla scrittura. Se tornassi indietro molto probabilmente non avrei fatto alcuna università, ma mi sarei solo concentrato sull’apprendimento di lingue straniere, vivendo in più paesi possibili. Ma questa è un’inutile digressione. Ho scritto questo romanzo in un momento di involontario isolamento. Ho iniziato senza pensare che avrei portato a termine questo progetto, quasi per caso, a volte per inerzia. In quel periodo se qualcuno mi avesse detto che avevo una bella voce forse avrei iniziato a cantare.

E perché proprio queste tre storie?
Spiegare come siano nate queste storie è come voler spiegare i motivi di un innamoramento. Rimane un dolorante enigma anche per chi lo vive.

Sergio, Matteo e Giulia sono persone molto diverse che si incontrano parallelamente su un piano emotivo. Cosa hanno in realtà in comune?
La solitudine e la mancanza sono i motivi di una trama in cui i tre personaggi rimangono impigliati come pesci. Quella rete non determina alcuna immobilità e così i tre continuano a muoversi nel mondo, ma l’isolamento emotivo che vivono li costringe ad un’alterità rispetto alla realtà. Di qui la scelta della prima persona per ognuno dei tre e la spinta introspettiva della scrittura.

Come mai ha deciso di utilizzare l’espressione inglese del “Suicide Tuesday” come metafora per raccontare qualcosa che esula dal suo significato originario?
Perché, abbandonato il suo significato letterale, l’espressione esprime una certa fatigue che si declina in diverse forme nei tre personaggi. Inoltre il suicidio e la morte sono al centro della mia riflessione.

Quando il lettore legge il suo romanzo crede che inevitabilmente la storia prenderà una certa piega, ma alla fine con la stessa maestria di un giallo scatta una sorta di colpo di scena …
La trama è rimasta a me ignota per molto tempo, man mano che scrivevo la scoprivo cosi come un lettore qualsiasi. La matassa via via di dipanava e io la seguivo. Non è il frutto di alcuna ricetta editoriale in cui si soppesano quanti grammi di questo e quanti grammi di quello necessita il romanzo. È un romanzo genuino insomma.

Il suo romanzo è intriso di un numero notevole di citazioni letterarie, in particolare nei confronti della poesia, ci sono Emily Dickinson, Sylvia Plath e Alfonsina Storni …
La poesia è qualcosa che mi affascina. In pochi versi quelle poetesse hanno espresso un universo, un’emozione, un tormento. E la dimensione onirica che essa offre era perfetta nella costruzione del personaggio di Giulia che oscilla sempre tra realtà e sogno. La mia stessa scrittura è fortemente intrisa da un linguaggio poetico più che narrativo. Mi è stato regalato un braccialetto per il mio compleanno, con una piccola targhetta d’oro con sopra inciso “I’m a poet”. È forse questa la mia massima ispirazione … non so.

In particolare con Plath e Storni lei ricostruisce la loro morte nella mente di Giulia, una dei tre protagonisti della storia, attraverso la loro estetica poetica …
Giulia, in una delle sue visioni, incontra le poetesse suicide una notte in cui c’è la bassa marea e la luna piena. La Plath danza attorno ad un falò solitario, la Storni è in mare. Mi sono emozionato a scrivere e ad immaginarmi gli atti preparatori al suicidio delle due poetesse. Spero che questa tensione emotiva sia passata attraverso la scrittura al lettore.

Alfonsina Storni è una figura magica e misteriosa che non ha la medesima popolarità, perlomeno in Italia, delle sue colleghe Dickinson e Plath. Lei come l’ha scoperta?
Al liceo credo attraverso una canzone di Mercedes Sosa “Alfonsiva y el mar”. La sua interpretazione per me rimane insuperabile. Da li ho iniziato a documentarmi e ad interessarmi alla sua poesia.

Oltre alla poesia cosa l’ha influenzata nella stesura del libro?
La vita, i viaggi, gli incontri, le storie degli altri, gli altri, l’umanità.

In genere uno scrittore è prima di tutto un lettore accanito di libri. Quali sono i suoi must?
Io non sono una persona molto colta. Mi definisco curiosa, colta no. Non ho studiato letteratura e mi sono sempre imbattuto in certe letture con leggerezza e casualità. Questo per dire che se penso ai libri che devo ancora leggere sono assalito da scoramento. In ogni caso, per rispondere a questa domanda citerò solo alcuni degli scrittori che non mi stanco mai di leggere e rileggere: Truman Capote, Flaubert, Fitzgerald, Rick Moody, Busi, Alice Munro, Goffredo Parise, Simenon, Murakami … l’elenco è lunghissimo.Suicide Tuesday_Leto

Vediamo che la fotografia acquisisce una connotazione fondamentale per lo svelamento della personalità dei personaggi, sembrano quasi “denudarsi” psicologicamente di fronte ad essa. O è semplicemente l’incontro con uno sconosciuto – Matteo – a permettere loro di confessare i propri pensieri più intimi?
Attraverso la fotografia si da corpo al corpo, e quindi lo svelamento di sé è totale e imperituro. A questo contribuisce Matteo che da dietro l’obiettivo della sua macchina fotografica riesce a stabilire un rapporto di profonda empatia con i soggetti dei suoi ritratti.

Uno dei momenti più toccanti del libro a mio avviso è quando verso la fine, lei afferma attraverso uno dei personaggi che chi si suicida tradisce chi resta con il tempo perché resterà per sempre giovane, mentre chi resta invecchierà, come se fosse costretto ad andare avanti nonostante tutto.
Si, in fondo il suicidio è un po’ come la fotografia perché ferma l’immagine in un momento preciso della propria esistenza. Non le capita di provare una certa nostalgia quando rimescola vecchie fotografie e si rivede giovane o bambino? A me viene sempre da chiedere che fine abbia fatto quel ragazzino … così chi rimane credo faccia più o meno la stessa riflessione: tu sarai sempre giovane, io che rimango invecchierò e il tempo ci renderà sempre più distanti, diversi, inconciliabili.

In fondo se vogliamo è una riflessione che può essere applicata anche per coloro i quali ci lasciano pur non volendo …
Si credo di si, è infatti la mancanza il sottofondo di questo romanzo.

Quando racconta di Matteo lo fa sotto forma di e-mail, Jennifer Egan ha scritto ne “Il tempo è un bastardo” un capitolo in Power Point. Cosa ne pensa della forma della scrittura attraverso i nuovi linguaggi mediatici?
Quando scrivevo Matteo ho subito avuto l’idea di utilizzare la forma della scrittura epistolare, prima ancora che quella dei linguaggi mediatici. In fondo un’email è pur sempre una lettera, elettronica ma una lettera. Trovo che il linguaggio che si decida di utilizzare è sempre quello che si sente più vicino. In questo senso, non credo alla sperimentazione linguistica tout court, ma ad un certo realismo linguistico piuttosto. Cioè io scrivo molte email, e mi sembrava il modo più naturale per far parlare di sé Matteo. La fitta corrispondenza tra lui e Robert segue in fondo le pieghe di un flusso di coscienza in cui i due mettono a fuoco le loro vite, solitudini, frustrazioni.

Lei ha vissuto molti anni all’estero, come mai ha deciso di tornare in Italia? In questo momento sembra accadere il contrario …
Si ho finito l’università in Inghilterra. Ancora non ho capito perché sono ritornato. Era un periodo di profonda instabilità il mio, se qualcuno mi avesse chiesto ‘vuoi venire in Brasile?’ io sarei andato, ma nessuno l’ha fatto ed io sono rientrato in Italia. Il punto è che io mi sento provvisorio in qualunque posto decida di vivere è come se sedessi sempre su una sedia rovente, prima o poi ti alzi e scappi.

Domanda di rito, quanto è complicato per un giovane che vuole approcciarsi alla scrittura trovare spazio nel mondo dell’editoria italiana?
Non solo è complicato, ma per quanto mi riguarda frustante. Io ancora mi stupisco del fatto che i miei nervi abbiano retto e reggano. A volte non proprio e penso che non valga la pena di misurare se stessi con tanta indifferenza e a volte mediocrità. L’editoria ti tratta come un prodotto usa e getta: hai scritto un libro (buono o non buono), sei personaggio spendibile, hai venduto un tot … bene … avanti col prossimo prodotto, col prossimo scrittore. Non vedo che ci sia da parte di molti editori la volontà di scoprire di talenti, di curarli, farli crescere. Ti stanno col fiato sul collo, devi scrivere, ora , adesso, altrimenti chi si ricorda di te … Io ho pubblicato il mio romanzo con un editore che ha creduto nel mio talento e ci crede tanto da avermi candidato al Premio Strega. È un attestato di stima. Io non sono entrato nei 12, il che mi è dispiaciuto, ma io sto pensando al prossimo libro, a quello che devo scrivere, all’organizzazione delle parole. Magari alla fine riuscirò ad andare avanti e scrivere o forse Suicide Tuesday rimarrà il mio unico romanzo. In un caso o nell’altro ho fatto tutto a modo mio e quello che si legge è (con un intelligente lavoro di editing) esattamente quello che ho scritto, pensato, sofferto.

Quanto è stata per lei fondamentale la guida di un editor?
L’ho scritto nei ringraziamenti: il mio editor mi ha “inventato” nel senso etimologico della parola, cioè ha cacciato fuori delle cose che io avevo, un talento, un’emozione, una sensibilità artistica. L’ho già detto se qualcuno mi avesse detto sei bravo a cantare, io avrei cantato. Invece qualcuno mi ha detto che non ero male a scrivere ed io c’ho creduto.

Suicide Tuesday è stato uno dei 26 libri presentati per concorrere al Premio Strega, ma non è però rientrato nei 12 pre-finalisti. Negli anni ci sono sempre state numerose polemiche verso questo premio perché statisticamente vincono sempre i soliti “giganti” editoriali… Lei cosa ne pensa dei premi letterari italiani e quanto possono aiutare il mercato editoriale?
I premi letterari, in particolar modo lo Strega, sono un po’ come Sanremo. Ogni editore che abbia un libro da promuovere, tenta il tutto per tutto per mandare il proprio autore. È un giro di giostra che ti fa vendere, soprattutto in un periodo in cui la crisi morde. Ciò detto, non saprei cosa dire dei premi letterari. A me le gare non piacciono, mi fanno stare molto male, sia prima quando sai di dover partecipare sia dopo quando come nel mio caso non vieni selezionato e la tua opera rimane fuori. Il mio unico interesse rimane il pubblico ed è chiaro che un premio ti aiuti a raggiungere un pubblico più ampio, soprattutto se sei uno sconosciuto. Ma confido nella possibilità di poter arrivare anche attraverso altre vie. Col tempo.

Concludiamo con una domanda sul libro. Nonostante il tema trattato, quello del suicidio, il suo romanzo sembra infondere al lettore un profondo velo di malinconia, ma anche di speranza …
La speranza è un anelito che ti convince ad aspettare ancora un altro po’. E infatti io aspetto.



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Category: Libri