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Evelina e le fate di Simona Baldelli : Fuori le Mura


Evelina e le fate di Simona Baldelli





6 maggio 2013 |



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evelina e le fateLeggere un’esordiente è sempre una gioia perché concede al lettore l’inaspettato, un senso di scoperta, il brivido dell’incertezza. Di quell’autore non si conoscono le sue peculiarità, i suoi temi, il suo stile. Tutto è nuovo, imprevedibile, fresco anche quando la narrazione gioca sugli elementi classici, quando rimpasta nell’estetica del postmoderno. Non si sa se il libro potrà piacerci o meno in base a esperienze pregresse cosicché il lettore può porsi nella lettura del testo con un approccio privo di preconcetti. È questo quello che si prova nei confronti di Evelina e le fate, esordio di Simona Baldelli scelto da Giunti tra i finalisti del Premio Calvino dello scorso anno e recentemente distribuito nelle librerie italiane. Un approccio incontaminato che presto diventa curiosità, che mano mano si accende, si miscela fino a che non diventa attaccamento. Un libro divorato, masticato e amato che permea nei sentimenti più intimi del lettore per raccontare una storia universale fatta di ossimori e poesia, sentimenti fortissimi e primari. L’autrice racconta le vicende di una bambina di cinque anni nel corso dell’ultima dolorosa annata della seconda guerra mondiale. Lo sfondo è la campagna marchigiana povera, che sopravvive a quei momenti con consapevolezza e angoscia. Fra tedeschi sanguigni, consapevoli di essere ormai alla fine delle proprie risorse, gli Alleati che stentano ad arrivare, una guerra civile all’ultimo sangue fra repubblichini e partigiani. Un momento storico in cui, a volerla dire tutta, politicamente non si capiva nulla. Così quel tempo con le dovute differenze è un po’ come oggi, come ricorda la stessa autrice in un’intervista: confuso, privo di linee.

La messa in scena dell’infanzia sullo sfondo delle macerie della guerra ha molte volte scosso l’essenza dei sentimenti. Intacca nel vissuto, attraverso un lirismo fatto di una poesia che spesso è fatta di capolavori artistici che restano imprigionati nella memoria senza poter uscire più dal peso dei ricordi. E così un’opera narrativa, sia essa letteraria che cinematografica, rimane attaccata addosso come il dolore di un’ustione di primo grado. Sembra che quel dolore non possa più uscire dal nostro cervello e rimane lì e continua a infliggere il pensiero, lo tormenta. Fa male e per sempre resta la cicatrice, come un marchio che ricorda a chi lo ha subito quella sofferenza patita. È un dolore forte che scuote le fondamenta dell’animo umano. Il neorealismo italiano in tal senso ha procurato certamente ben più di “un’ustione” nei sentimenti degli spettatori, pensiamo alla morte del piccolo Edmund in Germania anno zero di Roberto Rossellini o a quella di Giuseppe in Sciuscià di Vittorio De Sica. Ma anche tanta letteratura, anzi soprattutto quella, ha raccontato l’infanzia con esiti spesso positivi, pensiamo al romanzo autobiografico di Lorenza Mazzetti, Il cielo cade, incentrato sulla nota strage di Rignano del ’44 dove persero la vita due cugine e la zia dell’autrice.

Storie che già da sole raccontano la tragedia: l’infanzia un momento di innocenza, purezza, sullo sfondo di stragi e violenza. Non dobbiamo andare lontano per poterne trovare anche recentemente, in altre guerre, guerriglie, angoli di mondo, ma la seconda guerra mondiale ha cristallizzato fra tutti i conflitti meglio di tutti quel contrasto indelebile di gioventù e morte, coraggio e distruzione. Questo perché universalmente quello che maggiormente ha influenzato le arti e il dibattito storico-politico. Basta suggerire il diario e la morte di Anna Frank per poter capire di cosa stiamo parlando. E in sede di scrittura ricordando non solo il diario dell’icona più popolare dell’Olocausto, ma soprattutto l’esempio di riuso di quella storia con il romanzo sotto forma di diario di Sharon Dogar, La stanza segreta di Anna Frank, che prende in esame la prospettiva del giovane Peter van Pels, la cui famiglia condivise insieme a quella dei Frank la nota soffitta di Amsterdam. Simona Baldelli segue la scia del riuso, con un’estetica precisa e un dolore che si nasconde con grande intelligenza fra le maglie degli schemi fiabeschi, fra fede e sentimenti incorporei, virtù narrative e grande introspezione. Un romanzo, questo Evelina e le fate, che mescola il suo doppio registro narrativo di storia sull’infanzia per l’infanzia e per gli adulti.

Il realismo magico di questa giovane autrice trae ispirazione dai testi più classici di una Anna Maria Ortese per costruire il ritratto di una comunità di contadini, che a stento riesce a sopravvivere, a stento mangia, a stento sa leggere e scrivere – e in alcuni casi neanche quello – negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale. I toni fiabeschi si infrangono dolorosamente contro la realtà di una vita grama, aspra, come quella cruda raccontata da John Steinbeck in un mondo totalmente diverso, in un lirismo totalmente diverso, ma lo sfondo storico e sociale però è quello filmico di Giorgio Diritti e del suo L’uomo che verrà, dove anche lì la guerra e l’infanzia, in quel caso la campagna è quella degli Appennini emiliani, si tingono di sangue, morte e desolazione nel ricordare la strage di Marzabotto. Fugge dalla realtà Evelina per creare un mondo tutto suo fatto di due fate, la Nera e la Scèpa, ma al di là di ogni sospetto sarà quella più cupa, all’apparenza più crudele, a salvarla da quello che le accade intorno. È con grande lirismo che Simona Baldelli introduce una scrittura matura e sapiente infarcita e coronata da elementi locali, dialetto (proprio come nel film di Diritti), forme che prediligono una mescolanza di lingue e linguaggi, estetica e realismo in quello che sembra uno dei migliori esordi letterari italiani dell’ultima stagione. Perché la lingua della Baldelli è al tempo stesso poetica e violenta, fragile e consistente, scarna e ricca.

Guarda il booktrailer del libro

Evelina e le fate
Autrice: Simona Baldelli
Casa editrice: Giunti, 2013
Collana: Italiana
Pagine: 256
Prezzo: 12,00 €



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Category: Libri