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A morte i poeti! Ma risparmiate la poesia : Fuori le Mura


A morte i poeti! Ma risparmiate la poesia





4 marzo 2013 |



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delitto a villa adaCorrere è un po’ come scrivere. Ci vuole disciplina, passione e i risultati non sempre dipendono unicamente dall’impegno. Si è schiavi della pratica e di un’imponderabile variante: attitudine, fortuna, talento? La sfilacciata comunità dei runner di Villa Ada, a Roma, ne sa qualcosa: prima della lavoro, all’alba, o come anticamera della cena, al tramonto, non c’è santo che tenga: la “foresta” affacciata sul centro storico ospita le passeggiate e le corsette di una manciata di personaggi all’apparenza normalissimi. Ne sa anche di scrittura, la combriccola, perché nei suoi ranghi si annidano un paio di intellettuali, perfino poeti. Uno di questi è Giorgio Manacorda, ex professore di letteratura tedesca, l’altro invece non corre, se non dietro alla fame: Vasco Sprache, barbone trovato morto in circostanze raccapriccianti. Incaricato di risolvere il caso è l’ispettore Sperandio, colto e aitante, anche lui sedotto dai versi e convinto di poterne scrivere di suoi. E di validi.
Gli interrogatori mescolano le ipotesi con la verità e innalzano esponenzialmente il livello di entropia; Sperandio non sa a chi credere: alle provocanti Marisa e Maria? All’ansioso Bruno? Al berlusconiano gioielliere Renato, a Filippo lo zoppo o agli amici di Manacorda, Renzo Paris e Ulisse Benedetti? Tutti sembrano collegati all’omicidio, chi perché soffermatosi a decifrare gli scritti del cadavere, appesi ai rami degli alberi ad assorbire le intemperie della vita, chi perché mal sopportava la venature nazifasciste dei suoi comportamenti; nessuno di loro, al contempo, possiede un movente davvero valido per aver perpetuato il crimine. La soluzione arriva dalla relazione del professore di letteratura, un mistero catalizzatore: l’esistenza di una macchina da scrivere d’oro con il potere di trasformare il più inetto degli scribacchini in un poeta di estremo talento.

Giorgio Manacorda (no, stavolta non il personaggio), declina al nero l’opera seconda Delitto a Villa Ada (l’esordio, Il corridoio di legno, è pubblicato sempre da Voland) inventando un intreccio convincente e gentile. Il lettore è introdotto al mistero con cortesia – a tenergli la mano una scrittura rassicurante e ferma, scevra da manierismi ma di certo non impaurita dalle sperimentazioni e dalle metafore. La struttura – testimonianze, dialoghi e piccole narrazioni – conferisce ritmo rapendo lo sguardo di chi legge, tuttavia, né l’intrigo né lo stile si dimostrano componenti fondamentali quanto la riflessione metaletteraria, tutt’altro che barbosa, che si impadronisce della trama come del linguaggio, dando forma a una divertita girandola di citazioni e interrogativi. Se i protagonisti hanno spesso nomi “rubati” alla tradizione poetica italiana (da Moretti a Oxilia, da Soffici a Paris) e il questore Incravallo è in debito con Gadda, ci si sofferma con particolare attenzione sul ruolo della poesia come forma letteraria sbiadita dalla contemporaneità, forse condannata all’estinzione.

delitto-manacorda

Che fine ha fatto, ai nostri giorni, la Musa? Chi sono davvero i suoi profeti? Schiacciata da un mercato esiguo e forse limbizzata a causa di un’evidente imbarazzo da parte della critica (dovuto probabilmente alla fuggevolezza delle categorie del giudizio) e del disinteresse più o meno diffuso dell’opinione pubblica, non se la passa granché. Sembra lecito, dunque, il tentativo dell’autore, divertito ma serissimo, di descrivere i poeti come una casta di nuovi sciamani in lotta per la sopravvivenza, di barbari senza scrupoli, fanciullini che non conoscono la moderazione e attingono, in egual misura, al primitivo e al primordiale per indirizzare vita e ispirazioni.
A fine lettura è inevitabile chiedersi: c’è spazio per la poesia? Ce n’è sugli scaffali dei lettori e, ancor più importante, nelle ambizioni degli autori? Oppure tutte le suggestioni di una tradizione che può vantare grandi esponenti tra gli italiani sono destinate a migrare, trasformate, in altri tipi di narrazioni, o peggio a soccombere?
Non è semplice rispondere. Forse ha ragione Manacorda quando afferma, per bocca dei suoi personaggi, che la poesia la legge chi la scrive, anche se ogni uomo, in uno specifico momento della vita, ha affidato ai versi la responsabilità di raccontare il proprio sentire. Un modo per coprire di popolare una pratica ritenuta (a torto?) sacra e la volontà di lanciare una provocazione rivelatrice: tutti i lettori di narrativa, anche inconsapevolmente, raccontano semplicemente vivendo; essere scrittori e svegliarsi la mattina potrebbe, con una giravolta semplificatrice, risultare la stessa cosa. Qui la differenza sostanziale: la narrazione è costitutiva del nostro “stare” nello spazio-tempo, implicitamente ancorata a coordinate imprescindibili quanto comuni, mentre la poesia è certamente e in misura maggiore in balìa dell’intimità, setaccio dimentico di passato o futuro e rivolto solo al reale, insieme distorto e decodificato. È storia mascherata, bellezza da scoprire con fatica: nessun fascino (purtroppo) per la pigrizia e la passività degli svaghi più in voga.

Delitto a Villa Ada
Autore: Giorgio Manacorda
Casa Editrice: Voland
Pagine: 144
Prezzo: 12 €



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Category: Libri