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La poesia è un lavoro, una giostra, un cortocircuito : Fuori le Mura


La poesia è un lavoro, una giostra, un cortocircuito





14 gennaio 2013 |



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Ho una confessione da fare: la poesia non mi piace. Diciamo che non la leggo, non la capisco granché, non mi interessa. Sulla chiusura dell’ultimo verso mi scatta un antipatico “e allora?”. Colpa mia. Sono convinto: non è per tutti. Certo non per me. Rime, terzine, enjambement, no grazie.
Esiste, tuttavia, un tipo di poesia al quale sono sensibile: è un linguaggio pressoché universale. Delle distinzioni tra le discipline se ne frega, investendo le fondamenta di tutti i gradi del sapere. È quella “cosa” per cui ci commuoviamo di fronte a una finestra solo perché testimone di un bacio o di un addio. Non discrimina ma sceglie con cura; persone, oggetti, momenti, concedendogli il dono dell’astrazione e un pernottamento a tempo indeterminato nel reame degli assoluti, per cui non c’è oggettività. Chiamatela bellezza, se non conoscete altri appellativi.

Sono sicuro che Marco Fratta e il suo Il pittore di parole concorderebbero. La poesia che inseguono lui e il suo personaggio Dario Barberi, entrambi poeti, non è tanto la musicalità dei versi o la velleità delle emozioni spiaccicate sul foglio, quanto il tentativo di costruire un canale, fragilissimo, tra le cose per quelle che sono (posto che esista una loro rappresentazione al di fuori della nostra percezione) e per come le avvertiamo. Questa differenza potrebbe essere il fondamento dell’arte e perfino dell’emozione. Le “cose” rapiscono le memorie e con esse sanno produrre momenti di felicità nuovi.
Immaginate una giostra: in quanto tale, potreste dire che è gradevole alla vista, sorprendentemente avveniristica, “una figata”. La ricordereste, però, solo in movimento, un confusionario ammasso di luci e colori, mentre a tutta velocità precipitavate giù, andrenalina in esplosione, la mano nella mano di una persona importante. Come la chiamereste, questa, se non poesia? E a chi appartiene?
La mia teoria è che ci sia un grado di bellezza potenziale in ogni cosa. Sono gli accoppiamenti (!), poi, a permetterle di trasformarsi in bellezza cinetica, per così dire. Nella vita queste fortunate congiunzioni avvengono spesso per caso; nei libri, invece, sta allo scrittore tessere la trama degli eventi facendo in modo che la poesia naturalmente contenuta nelle singole idee o nei caratteri possa trasformarsi, per il lettore, in un’esperienza da ricordare. Fino a ora, senza dirlo chiaramente, ho parlato de Il pittore di parole, vincitore del concorso Faraexcelsior 2012 (Fara Editore).

Marco Fratta racconta la storia di un mestiere inconsueto arrivato a scombussolare il sonno nel quale Dario e l’amico Bernard, ingegnere e inventore di giostre, si aggirano intorpiditi, nonostante la fuga dall’Italia e il trasferimento nella rarefatta Göteborg, Svezia. Daniel Strandberg, dirigente del Göteborgs Kontsmuseum, propone al giovane poeta di scrivere componimenti da abbinare a collezioni di opere esposte nel museo. Unica regola: vietato descrivere. L’inusuale lavoro si intreccia con le aspirazioni e le ispirazioni di una generazione e con il cinismo, anch’esso potenziale, dell’opinione pubblica, abituata a generalizzare i successi e ad additare i condannati.
La genesi, un sogno poi tramutato in racconto, è suggestiva almeno quanto la narrazione, forte di un’ambientazione mozzafiato (basta la parola “fiordo” per risvegliare un immaginario potentissimo che inizia con un fiocco di neve e finisce con un ambiguo troll), una specie di terra parallela, ostinatamente onirica, dove tutto sembra senza freno o ragione. Invece ci si accorge presto che sognante è solo lo sguardo, perché dalla realtà non è possibile svegliarsi. Al limite si prende congedo, con uno sbadiglio e un saluto affrettato.

Goteborg, una giostra

Nonostante l’originalità dell’idea, la particolarità de Il pittore di parole si forma quasi interamente grazie al rapporto, descritto con cura, pur sinteticamente, del protagonista con il mondo esterno e con gli altri attori del dramma, siano essi un coinquilino giocoso e irresistibilmente vivo, un committente paterno e rassicurante, un artista disincantato, una pittrice che dice senza parlare o perfino quell’inguaribile romantico di se stesso. La sovrapposizione delle due voci, narratore e personaggio, è innegabile: comunicano allo stesso modo, un po’ amanti un po’ vittime di metafore continue con cui trasfigurano la realtà, “poetizzandola” nella convinzione che la bellezza del sorprendente giaccia sul fondo dell’ordinario. E che valga la pena tirarla fuori, almeno sottovoce, tra sé e sé. Quest’identità è in realtà autobiografia spolverata di ingenuità, oppure scelta ponderata di fabbricare una riserva protetta per mondi in estinzione. Come quello in cui vive Dario, dove la poesia può diventare un lavoro come un altro, come la meccanica dei fluidi o la progettazione di meravigliose attrazioni per turisti. Questa connessione con la materialità del quotidiano, del denaro e dell’affitto, delle fughe e dei destini mutilati prima ancora di mutarsi in desideri si rivolge criticamente verso la crudeltà del vivere contemporaneo che spinge ai margini i contenuti, rei di non saper produrre profitto nei modi e nei tempi standardizzati, ed è anche il segnale di un’emancipazione (suggerita?) dell’idea romantica di artista, forse meno eroe delle genti, tutto passione e sacro fuoco, ma più lavoro duro, costanza e sensibilità verso ciò che gli accade intorno.

Un piacevole paradosso vuole, tuttavia, che il concetto venga messo su carta proprio per mezzo di un linguaggio quasi lirico, evocativo nella sua capacità di rimandare sempre ad altri luoghi e forme. Una lingua talmente romantica da sembrare, a volte, narrativamente surreale e fuori contesto, come succede durante il dormiveglia, quando ti chiedono l’ora e tu rispondi che è verde. Eppure si ha la costante sensazione di leggere le uniche parole con cui sarebbe stato possibile esprimere quella precisa atmosfera. Grazie a questa piccola grande storia di smarrimento, ricerca e sorridente disperazione, si sperimentano sulla propria pelle gli effetti di un cortocircuito, senza — a prima vista — comprenderne le ragioni.
Non sono questi, diamine, gli attributi della poesia?

Il pittore di parole
Marco Fratta
Casa Editrice: Fara Editore
Pagine: 90
Prezzo: 11 €



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Category: Libri