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Il matrimonio che vorrei : Fuori le Mura


Il matrimonio che vorrei





15 ottobre 2012 |



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È normale che una coppia sposata da trentun anni rinunci a qualunque forma di intimità, anche solo sfiorarsi un braccio o scambiarsi un casto bacio della buona notte? Per il marito, Arnold (Tommy Lee Jones), sì, per la moglie, Fay (Meryl Streep) assolutamente no. L’incipit del film e l’esordio li vedono così: lei con uno sguardo che invita e spera, lui che finge di non capire.

Ma Kay è ostinata o forse troppo bisognosa di calore, e decide che non è ancora finita, che si può ricominciare, a costo di andare nel Maine, e sottoporsi ad una settimana intensiva da un acclamato consulente coniugale. Immaginate lui, che da anni nega il problema, con quale spirito collaborativo affronta la prima seduta dal “ciarlatano”, convinto che “anche quando vai in terapia senza problemi, ne uscirai con dei problemi, perché ti toccherà dire cose che non si possono ritrattare”. E con quale entusiasmo accompagna la moglie in quello che è invece per lei il viaggio della speranza! Hope Springs, che è poi il titolo originale del film, si chiama la cittadina nella quale l’insolito psicologo, il dott. Bernard Feld (Steve Carrel) riceve le coppie sperdute. E lì Arnold si lamenta di tutto: dei prezzi troppo alti, dei menu al ristorante, del divano che non riesce ad aprire, perché lui, in motel come a casa, non dorme più con Kay e trova che anche questo sia del tutto normale: sono solo i problemi di respirazione, a cui si aggiungono quelli alla schiena che non gli fanno da tempo tentare rapporti sessuali.

Sarà proprio la metafora della respirazione quella che il dott. Feld porterà avanti nella terapia (bravo, perché le terapie hanno bisogno di immagini). Allora: se una persona ha il setto nasale deviato che non la fa ben respirare, i casi sono due. O si rassegna a respirare male per tutta la vita, o si rompe il naso e quello sì che fa parecchio male, ma poi si torna a respirare. Sarà dura con Arnold, perché lui non è nemmeno consapevole di aver dei problemi al “naso”, se non come alibi per non condividere il letto.

Spassosa in alcuni momenti questa narrazione è anche amara. Meryl Streep è ripresa spesso in pose e sguardi malinconici, con le sue rughe e i suoi chili in più che fanno proprio molta tenerezza. E Tommy Lee Jones certo non ha niente di appetibile mentre dorme con la bocca aperta davanti alla tv, non degna la moglie di uno sguardo e brontola per tutto il film. Entrambi sono vittime del tempo che ha sclerotizzato gesti e parole, azzerato intese ed effusioni. La confidenza si è fatta routine di azioni ripetute ogni mattina: la padella con uova e bacon ripresa da vicino, la lettura distratta del giornale, l’avvio al lavoro. Sempre uguale, con le stesse poche indispensabili parole. La volta che Fay si siede vicino al marito in una posa diversa, lui si preoccupa e ne ha ben ragione: quel momento gli cambierà la vita.

Le sue resistenze alla terapia saranno buffe, ma anche sane. Non è pronto a scoperchiare quel vaso di Pandora che porterà mutamenti irreversibili. Lo psicologo invece finalmente non è rappresentato come spesso ce lo racconta il cinema. Ignazio Senatore nel suo saggio L’analista in celluloide ci ha raccontato di “uomini che non riescono a mettere ordine nella loro vita privata. Tutti i terapeuti che compaiono sullo schermo sono single affranti ed infelici o individui reduci da separazioni o divorzi”. Il dott. Feld ci pare invece piuttosto sereno; si è inventato un suo protocollo per il bene delle coppie e funziona. Sempre Senatore dice che “in tutti i film le regole del setting sono costantemente violate”. Qui no, anche se affrontando l’intimità, per prima quella sessuale, e in poco tempo, il dottore deve andare a fondo e forzare un po’ la mano. Steve Carell dice di aver letto Freud e Jung per prepararsi al ruolo e di essere stato in analisi per sette anni. Lo si vede infatti perfettamente a suo agio su quella poltrona.

È sorridente, mentre parla e fa parlare di posizioni a letto, fantasie, desideri, ma anche responsabilità, che, come in ogni relazione di coppia, non sono quasi mai attribuibili ad una sola persona. Aggiunge Carell che il suo personaggio: “Non dà nemmeno consigli specifici, né dice alle persone cosa fare. Le aiuta semplicemente ad aprirsi a nuove idee e ad esplorare i modi in cui possono aiutarsi da sé”. Il dott. Feld fa più che altro counseling, pratica molto diffusa nei paesi anglosassoni, più che da noi.

Non vi diciamo come si conclude questa settimana intensa di terapia. Un po’ frettolosamente, a dire il vero, rispetto alle attenzioni riservate alla situazione iniziale e al cuore del racconto, cioè le sedute e il dopo-sedute.

Una storia, comunque, che si segue molto volentieri, grazie alla bravura di attori tutti di notevole spessore, all’alchimia tra loro (le scene sul divano della terapia non sono state provate a lungo, per renderle più spontanee) e alle musiche intense di Theodore Shapiro, che segnano sempre il passaggio dalle scene umoristiche a quelle malinconiche. Tra le location, la cittadina di Stonington, nel Connecticut, è l’immaginaria Hope Spring: una vista spettacolare sul mare, a sottolineare il contrasto tra la chiusura della casa di Kay e Arnold e la possibilità di orizzonti più vasti.

Guarda il trailer del film

Il matrimonio che vorrei

Hope Springs
Regia: David Frankel
Sceneggiatura: Vanessa Taylor
Cast: Maryl Streep, Tommy Lee Jones, Steve Carell, Jean Smart, Marin Ireland, Susan Misner, Ben Rappaport, Patch Darragh, Bill Ladd
Produzione: Management 360, Escape Artists, Mandate Pictures
Distribuzione: BIM
Durata; 100 minuti
Uscita: 18 ottobre



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Category: Cinema