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Killer Joe: questioni di fellatio, questioni di stile : Fuori le Mura


Killer Joe: questioni di fellatio, questioni di stile





8 ottobre 2012 |



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Signore e signori William Friedkin è tornato ed incazzato come una iena. Il regista emblema della New Hollywood,  forse il più controverso di quel fiorente periodo cinematografico made in USA, ha partorito il suo nuovo mostro e non poteva regalarci prole filmica più affascinante. Se state cercando un film retorico che rifletta su famiglia, adolescenza, sesso e ganja. Se state cercando qualcosa di molto politically correct, con un finale strappalacrime e una  colonna sonora da ricantare a squarciagola, quando avrete modo di lasciarvi con la vostra morosa. Se, e dico se, avete fame di questo tipo di cinema, il consiglio è il seguente: prendete i vostri  sette euro e cinquanta centesimi, andate da Blockbuster (ammesso che ne troviate uno ancora non fallito) e noleggiate un bel film di Muccino, perché Killer Joe non fa per voi. Ci sono film adatti ad ogni tipo di pubblico. Questo non lo è.

Siamo in Texas, ai margini della città o più precisamente nella provincia della società, dove l’etica, giunta al capolinea, ha dato il largo ad una vita regolata dalla legge del più forte. Le logiche personalistiche e gli interessi economici, investono anche la più elementare relazione. Mors tua vita mea è un concetto elementare da queste parti. Dottie Smith (Juno Temple), adolescente sfasata, vive con il padre Ansel (Thomas Haden Church) e Sharla (Gina Gershon), “avvenente” matrigna buzzicona. Suo fratello Chris, (Emile Hirsch), giovane squattrinato e scapestrato con discutibilissime doti da pusher, dopo aver contratto debiti con persone poco raccomandabili, che mai e poi mai riuscirà a ripagare, decide di architettare il piano di svolta: assodare un killer per far fuori sua madre naturale. Secondo una soffiata, la  povera donna, avrebbe stipulato una polizza assicurativa sulla vita, designando, come unico beneficiario post mortem , la piccola Dottie. Per compiere “professionalmente” il delitto viene reclutato  Joe Cooper  (Matthew McConaughey), affabile sceriffo di giorno ed algido sicario di notte. A morte avvenuta, tolta la quota per il killer, il bottino andrà spartito in fette uguali tra i complici: Chris, Ansel, Sharla e Dottie. Joe si accinge a chiedere il suo compenso anticipatamente mentre il malaugurato Chris, completamente al verde ed  impossibilitato a procacciarsi il denaro necessario, rischia di mandare l’affare in fumo. Immoralità ed avarizia spingeranno l’affamata famiglia a creare una caparra umana. Sarà Dottie l’anticipo per lo sceriffo killer. La violazione della sua verginità e la sua relazione obbligata a Joe, faranno da garanti al contratto, fino alla riscossione del premio assicurativo. Con Joe avvinghiato a Dottie le carte si rimescolano, perché ciò che la spregiudicatezza ed il caso hanno avvicinato, l’amore perverso  ora unisce e consolida. Ma man mano che i due si “apprezzano”, il mondo intorno collassa e si frantuma. Crollano le certezze di Chris, che viene sopraffatto dai rimorsi. Crolla il primato ideologico del denaro sotto il peso dell’omicidio di una madre innocente. Il turbinio di eventi  generati  incalza fino ad entrare in cortocircuito quando, eliminata la donna, non è più possibile riscuotere il premio assicurativo. Non è Dottie il beneficiario, qualcuno tra i giocatori sporchi ha giocato ancor più sporco. Chi sarà stato? Come la prenderanno tutti? E soprattutto, cosa farà Joe quando lo scoprirà? Tranquilli, in un mondo senza regole, nessun problema è insormontabile. Basterà una cena a base di pollo fritto a sciogliere ogni nodo!

Killer Joe è un melting pot di eventi cinematografici che fa venire la pelle d’oca. È un contenitore di emozioni  tinto di noir ma che a qualche minuto dall’esordio, precipita nel grottesco. Si attraversa il pulp, strizzando l’occhio al miglior Tarantino di sempre. Si cavalca la commedia drammatica zuppa di cinismo. Si  rimarca il turpiloquio che in tutta la sua esagerazione, accompagna immagini e situazioni tendenti all’assurdo. Si sfocia nel sentimentale, goffo e malato, fatto di relazioni obbligate, vendute ma anche sentite, desiderate. Si approda all’horror, qui inteso come normalità, l’immagine di una tranquilla famiglia riunita intorno al tavolo per la cena,  incurante o fin troppo consapevole di  essersi  appena auto divorata. Il linguaggio per inquadrature è crudo quanto quello adottato dai personaggi che esso designa. E lungi dal vezzo di mostrare per il puro piacere dello scandalo, le immagini palesi di Friedkin, sono una chiara scelta estetica. Inquadrature immediate per descrivere personalità immediatamente percepibili. Se la macchina da presa non risparmia l’esplicitazione della violenza di Joe sul volto di Sharla, è perché tale violenza costituisce un tratto iper tangibile del suo status di killer. La censura dell’aggressione infatti, vanificherebbe il carattere di immediatezza del linguaggio e si creerebbe un gap tra l’oggetto rappresentato ed il codice utilizzato per la sua rappresentazione.  Così come, se Sharla ci viene presentata con un primo piano in zona vagina, è proprio per rimarcare le sua anima, tutto sommato, molto più puttana che santa.  E come allontanare questa idea se nulla ci fa pensare il contrario, nell’arco dell’intero film?

Sarebbe poi troppo semplice sprecare tutti i possibili riferimenti a Pulp Fiction e Reservoir Dogs di Tarantino, infatti ce li risparmiamo. Ma per intenderci, la sola scena della fellatio alla coscia di pollo in Killer Joe,  vale almeno quanto la sequenza Ezechiele 25,17 in Pulp Fiction. Ma questi sono solo dettagli. Ciò che è meno semplice, è soffermarsi  sull’estrema sottigliezza con la quale Friedkin lascia trapelare la sua marca distintiva, il ricorso al suo background filmico e culturale. Un esempio su tutti. La conoscete tutti quella pellicola in cui la bambina “malata” scende le scale in modo un po’ insolito, vomitando fluido verde? Si, stiamo parlando de L’esorcista, altro capolavoro del regista a noi qui caro. Non potete immaginare quanto l’ombra di questo film possa abbattersi sul suo “nipotino” Killer Joe per tutti i centotre minuti di proiezione.  Ed è così palese. Nello sguardo fisso di Dottie, nel suo sonnambulismo, nel suo corpo gentile ma brutale, risulta impossibile non riconoscere, l’assonanza con lo spettro di Regan. Nell’ attitudine a vestire panni domestici, nello scegliere la camera da letto come ambiente privilegiato, nei crocefissi disseminati qua e là in casa Smith, nelle inquadrature esterne sullo stabile avvolto nel buio, nel cane che abbaia avverso al suo padrone, si sente fitta l’aria maligna già respirata tra le oscure mura di casa MacNeil.  Come gridare alla semplice autocitazione, quando la dominanza di quest’ultima si rende così efficace, da risultare un vero e proprio elemento di stile? Non è il caso di tirare in ballo Il braccio violento della legge, altrimenti un numero intero di FLM potrebbe non bastare a rendere esemplificativo quanto grande sia la maestria di William Friedkin. In definitiva, il retaggio del passato come micro fattore distintivo dell’autore, la perfetta caratterizzazione dei personaggi, l’attenzione ai dialoghi, la componente dell’assurdo palesato in immagini, il ritmo mai stantio, la fotografia in sinergia con la multi-tematicità del plot, la sceneggiatura minuziosamente definita e la regia sapientemente orchestrata, fanno di Killer Joe un piccolo grande capolavoro che non tarderà ad entrare nella storia del Cinema con la C maiuscola.

Se siete pronti a tutto questo, correte in sala cinematografica a rifarvi gli occhi. Se non lo siete, no problem, un’idea alternativa su come investire i vostri sette euro e cinquanta, mi sembra che ce l’abbiate già!

 Trailer

Killer Joe
Regia: William Friedkin
Sceneggiatura: Tracy Letts
Cast: Juno Temple, Matthew McConaughey, Emile Hirsch, Gina Gershon, Thomas Haden Church
Paese: USA, 2011
Durata: 103′
Uscita in sala: 11 Ottobre 2012
Distribuzione: Bolero Film



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Category: Cinema