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I Sogni a Brooklyn? “Selvaggiamente distori, tremendamente reali” | Fuori le Mura

I Sogni a Brooklyn? “Selvaggiamente distori, tremendamente reali”

2 luglio 2012

di Flavio Camilli

Una lunga e scapestrata confessione ci riporta nelle calde estati adolescenziali di un giovane americano. La famiglia, la scuola, l’amore, la droga e la voglia di perdersi e ritrovarsi. Una storia come tante, una narrazione come poche

Chi non vorrebbe, a un certo punto della propria vita, salire i gradini di un palco con tanto di sipario e raccontare al mondo, più o meno interessato, le stagioni memorabili della propria esistenza? Vincent Carl Santini ne ha la possibilità in Brooklyn Dreams – Sogni a Brooklyn (MagicPress) e c’è da dire che la sfrutta a pieno. Neanche fosse il suo analista, il lettore si ritrova impelagato nella racconto schizofrenico dell’anno precedente il diploma, tra glorie vagheggiate, sogni infranti e tanta confusione.

È l’agosto del 1970, Carl può ormai guardare alla propria adolescenza voltandosi indietro e non sa bene cosa lo attenda. Una rabbia, tipica quanto ingistificata, lo spinge sulla soglia dei giorni che passano troppo veloci: una scorribanda con Shane, l’amico-migliore-in-tutto-quello-che-fa (lo abbiamo avuto tutti), le apprensioni di una madre ebrea egocentrica e altamente instabile (nervosismo ed eruzioni cutanee a non finire), le lavate di testa da un padre iracondo e ipocondriaco, i momenti di armonia con una sorella maggiore che più diversa non si può. Soprattutto, tante droghe consumate con incoscienze e ottimismo. Più in là ci sarà spazio per l’amore di Annie, le mani sotto le magliette e i rumori di zip tirate giù, una notte al fresco, più di un funerale, una zuffa tra ex mogli e, addirittura, l’illuminazione, mentre ci si chiede giustmente, fra una digressione e l’altra, cosa  l’adulto Santini voglia raccontare di preciso, dato il suo dirti nulla… e tutto.

Brooklyn dreams è un’opera molto particolare: si potrebbe etichettare come “educazione sentimentale sotto mescalina”, in cui il giovane protagonista, a seguito di qualche viaggio estatico di troppo arriva ad afferrare zoppicanti verità sull’esistenza. I fatti, però, lo ammette lo stesso Carl prima di alzare il sipario su Brooklyn in quella fatidica estate, sono amabilmente distorti, anche se “potrebbero” corrispondere a verità. D’altronde ricordare non è affatto una scienza esatta.

Ma c’è di più: J. M. DeMatteis, tramite Santini, conduce la sua riflessione dal microcosmo dell‘everyday life di un diciassettenne un po’ disadattato all’atmosfera di un tempo ormai trascorso e del quale tende a mettere in evidenza le differenze sia con un presente generico la cui funzione è solo generare tenera nostalgia, sia con un passato manierato e un po’ farlocco. La ricerca di Carl è, in ultima analisi, rincorrere l’autenticità, vedere le cose per come sono veramente: gli esseri umani, fallibili, dietro i propri genitori, l’insoddisfazione e la speranza nascosti sotto la propria volontà d’evasione.

Eppure è proprio nella confusione vissuta e non nel tentativo (vano a dir poco) di mettere in ordine le suggestioni e le disfunzionalità della giovinezza che Carl e Sogni a Brooklyn si giocano le carte migliori, ispirando con la psichedelia esistenziale dei contenuti anche la forma. Lo stile di Glenn Barr è, infatti, trasformista provetto: a tavole fotorealistiche si alternano carrellate di disegni deformati e scarabocchi umorisrici, spesso in antitesi con la serietà della vicenda. Un po’ come la voce di Vincent, la matita di Barr, non a caso una delle più note del pop surrealismo, opera sempre per opposizione, servendosi di metafore e simboli: gli stati d’animo prendono consistenza in personaggi macchiati di subconscio, la compagna Morte chiama (letteralmente!) a ore improponibili, i postumi di una sbronza sono spine che dallo stomaco trafiggono la carne.

DeMatteis e Barr, di concerto, danno vita a un graphic novel dalle marcate sfumature letterarie per l’alto numero di citazioni (Miller, Dostoevskij, Hesse i primi nomi che risuonano dopo la lettura) e in quanto esperimento riuscito in cui stili differenti (diario, flusso di coscienza, memoria) si mescolano in un discorso costruito in modo talmente sapiente da sembrare, solo sembrare, lasciato al caso.

Ché ne dica Santini in apertura, il fatto che Brooklyn dreams sia una storia su Dio non mi convince granché: c’è il senso di morte che accompagna le età concluse e l’acquisizione delle più amare consapevolezze a proposito della vita, c’è la religione come dottrina e gabbia, ma soprattutto è pieno di spiritualità e di un coefficiente davvero spropositato di epifanie. Come potrebbe essere altrimenti? A 17 anni, in fondo, le rivelazioni sono appena iniziate e, probabilmente, il Dio scovato da Carl è solo un specchio un po’ appannato.

Sogni a Brooklyn
Brooklyn dreams
Autori: J. M. DeMatteis, Gelnn Barr
Traduzione: Giorgio Neri
Casa Editrice: MagicPress
Pagine: 376
Prezzo: 15 €

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