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Il duro addio, ritrovato | Fuori le Mura

Il duro addio, ritrovato

28 maggio 2012

di Flavio Camilli

Torna in una nuova edizione dalla una veste grafica accattivante Sin City di Frank Miller. Peccati, bulli e pupe per una narrazione innovativa rigorosamente in bianco e nero

Inutile, forse, dirvi di Marv. Marv, voi lo conoscete, se non altro perché avete assistito alle avventure dell’incartapecorito e tostissimo Mickey Rourke, il quale lo interpretò nell’ormai lontano (sigh!) 2005 in un cinecomic con Bruce Willis e la bionda Jessica Alba. Marv, però, non l’ha certo inventato Rourke, ma Frank Miller.
L’energumeno incerottato dalla mente lenta e il pugno fin troppo veloce è il personaggio che dà avvio, per pura convenzione, alle storie che accadono e si intrecciano a Basin City, detta “Sin” perché votata al peccato. Quella che lo vede coinvolto è una vicenda drammatica, di granito, come vuole il titolo: Il duro addio. L’estremo saluto è rivolto all’angelica Goldie, sinuosa avventura di una notte trovata misteriosamente morta la mattina seguente, ancor prima che la sbronza potesse scivolare via dalle pieghe delle lenzuola. Innamorato, Marv si fa strada a suon di pugni nell’intricato gioco di poteri e perversioni colpevoli di aver tolto la vita alla donna fugacemente amata. Scendendo (è il caso di dirlo) di livello, però, la posta in gioco diventa più alta: malato, iracondo, emotivamente coinvolto, Marv capirà che non ci può essere alternativa alla vincita, che perdere significa ammettere e permettere la morte (anche) degli angeli.

 

Sin City ha una propria “continuity”: lo sfondo cittadino, bella rivisitazione soprattutto grafica del topos della città maledetta dalla notte tipica del noir, è comune a tutti i personaggi e alle storie, delle quali Il duro addio è solo uno dei punti di partenza. La metropoli è espugnabile da una sequenza di episodi qualsiasi: ogni punto d’accesso è valido per raggiungere una visione se non completa almeno sineddotica del microuniverso creato da Miller.

Con un’edizione “black & white” (considerando l’assenza di apparati in copertina, totalmente occupata dagli splendidi primi piani dei vari protagonisti), la romana MagicPress – a cui va il merito di aver raccolto in sette volumi tutto il materiale riguardante Sin City, fino agli anni ’90 pubblicato disomogenamente nella nostra Penisola – ripropone tutta l’opera con lo scopo di permettere a nuovi lettori di scoprire un caposaldo della nona arte.
Infatti, seppur affascinante, il lavoro su psicologie e trame è marginale. Sin City, più di altre opere di Miller, complici il basso profilo (delle intenzioni più che dei risultati), l’indipendenza dell’editore originale (Dark Horse Comics) e la conseguente volontà di allontanarsi dalla produzione mainstream USA, ha saputo riscrivere i criteri della narrazione a fumetti, interpretando in chiave contemporanea alcune delle più classiche sollecitazioni estetiche della golden age americana con un occhio sempre strizzato alla contaminazione dei linguaggi (non a caso l’esperimento di trasposizione cinematografica, anche se con difetti anche gravi, è risultato tanto efficace).

Miller, da ottimo autore completo, ha saputo fondere i due aspetti della scrittura e della rappresentazione, sapendo declinare un modus operandi prettamente europeo con temi, ambientazioni e atmosfere dei più tipici generi statunitensi.
Ed è stato subito cult.

La particolarità dello stile (che mantiene, comunque, un legame con la potenza dei grandi padri dei comics, Jack Kirby in testa) diventa riconoscibile grazie all’alternarsi senza sosta di luci e ombre, nero della china e bianco della pagina. Raramente il colore irrompe, in dosi minime, per spezzare l’incanto. Questa dicotomia cromatica è ispirata da un intento di mimesi estetica nei confronti della realtà che, grazie all’immediatezza propria dell’arte sequenziale, si tramuta in sintesi: i contorni non esistono, le “cose” sono solo addizioni o sottrazioni di masse, le quali si scontrano o respingono, sempre che la luce conceda la grazia di osservarne la danza.
La scrittura volutamente romantica, drammatica, iperbolica è pesante ma mai invadente: certo storytelling non ammette gerarchie, dove non arriva la parola riesce l’immagine e viceversa. C’è coesione e poesia nelle tavole mute inghiottite dal nero e decorate da una sola parola, spesso chiave, come nelle ombre che coprono i corpi o ne svelano i limiti riempiendo le intersezioni tra le quantità che si sovrappongono. Sono soprattutto queste immagini, mute, a raccontare.

 

La scelta, felice, di puntare, per questa nuova edizione, sul difficle rapporto tra il bianco e il nero rivela conoscenza e cura dell’opera sia per l’importanza stilistica del binomio (di cui si è già detto) nel merito del linguaggio di Miller, sia perché sottolinea il paradosso che vuole Sin City come la patria della sfumatura, in cui nessun buono è ingenuo e nessun cattivo irredimibile. In cui anche un duro come Marv può decidere di rischiare la vita per ricambiare un singolo atto di gentilezza.

Sin City: Il duro addio
Autore: Frank Miller
Casa Editrice: MagicPress
Pagine: 216
Prezzo: 15 €

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