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Arte pubblica: spettacolarizzazione o impegno civile? | Fuori le Mura

Arte pubblica: spettacolarizzazione o impegno civile?

7 maggio 2012

di Rachele Mannocchi

Il rapporto tra città e arte è sempre stato fecondo. L’arte contemporanea esce dalle gallerie, dalle collezioni e da musei e dilaga in città, diventando uno strumento della progettazione urbana. Unico rischio? Che non si trasformi in facile retorica

Milano, Ago Filo e Nodo di Claes Oldenburg

Fin dall’antichità la città, le sue architetture e le sue opere d’arte sono sempre state l’espressione di una forte volontà comunicativa con evidenti finalità didascaliche. La città occidentale si ricopre di segni, di colori, di sculture e di edifici, producendo un ritmo urbano scandito dalla presenza di opere d’arte che non sono puro decoro, ma potente struttura comunicativa che trasforma la città in un organismo semiotico capace di creare nuovi modi di viverla, di attraversarla, di utilizzarla in funzione dei messaggi emanati dalle sue componenti artistiche. Seppur in un clima di crescente attenzione alla cultura come leva di sviluppo, nel nostro Paese è ancora diffusa la tendenza ad utilizzare l’arte pubblica come mero intrattenimento. Le città italiane, infatti, tendono a rincorrere la strategia della spettacolarizzazione sensa interrogarsi troppo sul senso e sulle implicazioni dei singoli interventi e della loro composizione a scala urbana. Politici locali e nazionali legano la propria visibilità simbolica e mediatica all’aura artistica di archistar e urbanistar, attraverso programmi che talvolta mostrano deboli connessioni con i contenuti e le effettive modalità di trasformazione della città. Soprattutto in un momento di carenza endemica di risorse, questo settore sembra aver bisogno di una maggiore riflessione su finalità ed obiettivi.

Nell’ambito di una valutazione critica il tema non sembra essere tanto l’arte pubblica quanto, piuttosto, la programmazione pubblica. Le nostre città, così fitte di segni,  non hanno bisogno di decorazioni autoreferenziali, che dopo un primo momento di attenzione mediatica si deteriorano, che senza manutenzione, non solo in termini materici, ma soprattutto simbolici, tendono ad esaurirsi. Realizzare progetti legati al territorio, infatti, significa contemporaneamente interrogarsi sul concetto stesso di territorio, capirne le peculiarità,  non calare negli spazi opere prodotte in atelier. Significa rivolgersi agli individui della comunità,  pensando che saranno i fruitori, i reali “proprietari” dell’opera, educandoli  nell’accezione etimologica del termine, dando strumenti di comprensione.

Roma, Awaking di Seward Johnson

Arte pubblica, per  produrre intelligenza collettiva, per un pubblico che sia attore, soggetto che interagisce in un progetto culturale e non oggetto che si imbatte in segni privi di significato. Città ed arte tendono a fondersi in maniera inestricabile; l’arte pubblica “produce” nuova città, attivando un rapporto empatico con gli abitanti che diventano i necessari attori della scena urbana. Per innescare processi vitali e produrre qualità, l’arte pubblica necessita di un tessuto urbano esistente e solido, come dimostra il fallimento di alcuni esperimenti di questo tipo in periferie degradate che ne hanno ulteriormente accentuato il senso di straniamento. L’accezione italiana di arte pubblica è molto diversa rispetto a quella di alcuni paesi dell’Europa Settentrionale, Gran Bretagna in testa, dove l’arte pubblica rappresenta un concetto esaustivamente acquisito a livello istituzionale, tanto che esiste la facoltà universitaria di “Arte Pubblica” e che il rinnovamento qualitativo ambientale di territori degradati avviene in maniera sistematica attraverso la realizzazione di concorsi di questo tipo di arte.

La questione italiana vede esempi concreti di interventi realizzati e casi esemplari di buone pratiche, ma esistono anche evidenti criticità che rendono le esperienze fatte sempre uniche, difficilmente trasferibili in quanto sempre legate non a una consapevolezza pubblica né a strategie condivise, ma a sensibilità individuali di singoli amministratori o di committenti appassionati. Questo rende, sì, ogni traguardo raggiunto particolarmente entusiasmante, ma provoca una massiccia dispersione di energie. Interagire con l’arte intesa come agente di sviluppo significa invece mettere in campo progetti di ampio respiro che non nascono da una relazione episodica con il territorio, da un momento di entusiasmo o da un interstizio urbano da riempire; ma che vengono pianificati in quanto organici a prospettive di lungo termine all’interno delle quali si possono inserire come esito e motore al contempo. È in una dimensione di governance locale, in cui il territorio è visto come organismo su cui sperimentare soluzioni per le questioni sempre nuove che si presentano, che riemerge un senso dell’attività dell’artista come agente o animatore integrato nella comunità.

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