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L’impatto della proprietà intellettuale sulla ricerca scientifica | Fuori le Mura

L’impatto della proprietà intellettuale sulla ricerca scientifica

30 aprile 2012

di Michele Lupo

Il mondo biologico-chimico della ricerca scientifica segue sempre più modelli di carattere finanziario, fondati sul diritto di proprietà e sulla mancanza di concorrenza. Questi criteri mal si adattano ai processi di selezione e di evoluzione naturale che permettono la vita degli organismi sulla Terra, compresa la nostra. Storia e analisi del brevetto in ambito scientifico

L'impatto della proprietà intellettuale sulla ricerca scientificaLe biotecnologie e, più in generale, il mondo biotico sono considerati dalle case farmaceutiche e dagli enti di ricerca come servizi e beni commerciabili su cui si possono vantare diritti di proprietà. Questo loro modo di impostare la ricerca scientifica è avvalorato anche a livello giuridico. I più giovani forse non lo sanno, ma da poco più di 20 anni è possibile brevettare organismi viventi. La Corte Suprema degli Usa aprì questa prospettiva nel 1980 pronunciandosi sul celebre caso Diamond vs Chakrabarty.

La causa si protraeva da otto anni e vedeva coinvolti Ananda Chakrabarty, biochimico della General electric company che aveva prodotto geneticamente un batterio in grado di corrodere le chiazze di petrolio e che voleva brevettarlo, e l’ufficio dei brevetti che non aveva intenzione di riconoscere un diritto commerciale sugli organismi viventi. Con questa sentenza la Corte Usa influenzò profondamente la ricerca scientifica successiva e alterò irreparabilmente l’ambito di interesse del diritto commerciale. Decise infatti a favore della brevettabilità della materia organica, purché prodotta a partire dall’intervento umano. Il confine della giurisprudenza dell’ambiente fondato sul principio biologico venne così spostato verso una prospettiva antropocentrica in cui ciò che contava era la produzione umana, andando a restringere di fatto l’impossibilità di applicare diritti commerciali ai soli elementi preesistenti all’uomo. Da questa nuova visuale il mondo biotico e quello abiotico non sono più distinti, ma sono contemplati entrambi solo in funzione della loro possibilità di generare profitto. Grazie a questa sentenza le società di genomica e di biotecnologie possono brevettare organismi geneticamente modificati e singoli geni che costituiscono la struttura della mappa umana.

Lo sviluppo delle biotecnologie compiuto negli ultimi decenni è stato in larga misura segnato da questa sentenza. Grazie ai brevetti si è diffuso un sistema di controllo nel mondo della ricerca scientifica che rischia di soffocare le ricerche indipendenti e non promosse dai grandi enti detentori dei diritti. Questo metodo, denominato dei cespugli brevettuali, prevede la creazione di barriere di royalties, di brevetti pregressi, di blocchi di sbarramento per impedire che istituti concorrenti possano conseguire risultati nella ricerca. Tale pratica ha dato il via alla possibilità di giocare in borsa con brevetti che ancora non esistono. Infatti, con questa nuova conformazione del diritto d’autore, la ricerca è possibile solo se si ha la licenza per portarla avanti. I grandi istituti sono così incentivati a intraprendere nuovi programmi e nuovi studi anche senza un obiettivo nella ricerca, ma solo per evitare che aziende concorrenti possano brevettare nuovi dispositivi o elementi che impediscano il futuro svolgimento di nuove ricerche. Si viene a formare così una sorta di determinismo euristico degli enti di ricerca.

La mancanza di concorrenza nell’ambito scientifico porta tuttavia a notevoli effetti negativi. Una polemica per certi versi analoga sulla diffusione dei saperi scientifici è stata intrapresa agli inizi della nostra epoca moderna da Galileo contro i saperi ermetici. Secondo il padre della scienza sperimentale solo il sapere che poteva essere accessibile a tutti ed essere verificato poteva costituire un piano obiettivo di sviluppo della conoscenza umana. Nel nostro secolo si sta realizzando il rovescio di questa situazione, per cui il motore della ricerca si blocca perché dati e informazioni sperimentali non sono disponibili a qualsiasi scienziato.

Anche l’idea che la mancanza di concorrenza sia positiva in ambito biologico è non solo priva di fondamento, ma anche pericolosa. Nessun elemento dell’ecosistema può esser pensato separatamente dal bioma in cui è inserito. La con-vivenza è necessaria per il mantenimento di condizioni di vita sulla Terra. Bisogna tuttavia riconoscere che gli OGM propendono verso un’omologazione della biodiversità, carattere questo contro-selettivo in natura. I risultati delle coltivazioni sperimentali di OGM sono sorprendentemente chiari: spesso gli animali e le piante che vivono nell’ambiente circostante a questi organismi o colture aliene sono danneggiati. Oltretutto pongono problematiche più gravi. Ad esempio non è possibile prevedere gli effetti di un impollinamento o di accoppiamento di animali o piante OGM con altri organismi.

Proprio questo aspetto rivela l’essenza più inquietante della carenza di studi dovuta ai brevetti. Ad esempio, in passato sono state create geneticamente piante da coltura, come il mais o la barbabietola da zucchero, resistenti a piante infestanti o a determinati parassiti. Nel 2005 uno studio del CEH Dorset ha denunciato la nascita, per ibridazione di una pianta spontanea con la colza OGM della Bayer, di una nuova erbaccia infestante, resistente a tutti gli erbicidi commerciali. Tuttavia solamente la casa farmaceutica tedesca può effettuare studi in proposito.Interazioni insetti mais OGM Così mentre nel mondo umano dei brevetti esistono forti limitazioni nella ricerca e quindi alla possibilità di superamento di questa situazione, la natura è capace di rispondere alla concorrenza biologica grazie ai processi di selezione ed evoluzione naturale. È proprio in questi casi che si nota l’inammissibilità del sistema dei brevetti come modello scientifico.

Con la crescita del numero dei brevetti, diminuiscono le possibilità di pensare in maniera diversa tutto il sistema di ricerca scientifica. Eliminare la concorrenza significa inevitabilmente eliminare anche gli altri metodi di concepire la ricerca. Ad esempio, in India e in Sudamerica negli ultimi anni si stanno sviluppando centri che lavorano alla classificazione di piante usate nella medicina tradizionale per evitare il fenomeno descritto come biopirateria, l’appropriazione tramite brevetto di diritti legali su pratiche medicinali tradizionali. Per raccogliere la variabilità genetica delle sementi questi istituti hanno bisogno di tracciare un’accurata descrizione molecolare delle piante. Queste operazioni richiedono spesso strumentazioni e reagenti che si trovano sotto copertura brevettuale. Anche in questo caso uno sbarramento colpisce chi ha intenzione di fare ricerca sulla biodiversità. Tuttavia questo caso è ancora più grave perché bisogna rilevare che le molecole da studiare non sono state create in laboratorio, come nel caso del batterio che corrode il petrolio, ma sono state identificate nell’ambiente naturale.

Questo modo di concepire la ricerca scientifica è figlio della finanza virtuale che procede per proiezioni a breve termine. L’impossibilità di avere un tempo lungo rende pericolosa questa strutturazione degli studi sia perché non prevede gli effetti che maturano più tardi, sia perché avviluppa la ricerca in un collo di bottiglia. Oltretutto circa due terzi dei soldi spesi nella ricerca sono destinati alla propaganda dell’Istituto, gonfiando così i prezzi degli studi scientifici. Non si capisce quindi perché si faccia ricerca seguendo criteri di segretezza e di profitto, invece di preferire il disinteresse e la condivisione. Nel momento in cui si prende in rassegna la realtà biologica non esiste l’interesse privato perché non si può pensare in termini individuali. A ben vedere quindi anche lo studio della realtà chimico-biologica non può essere ad appannaggio di singole entità individuali. A chi appartiene la ricerca? Chi la fa? Chi ne fruisce?

 

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