Search
Tuesday 23 April 2024
  • :
  • :

Il sogno americano è morto | Fuori le Mura

Il sogno americano è morto

30 aprile 2012

di Erminio Fischetti

L’arte di vivere in difesa: l’avvincente esordio letterario di Chad Harbach fatto di perdita e riscatto

C’era una volta una società in cui si progrediva, una società dove i giovani con il sudore e la fatica potevano trovare il loro posto nel mondo e vivere il sogno americano. Quello del successo e della vittoria. Quel sogno oggi si è incrinato, lo sappiamo tutti. Nel piccolo college di Westich, nel più profondo Midwest, si consumano le vite di Henry, asso del baseball gracile e veloce, del suo capitano di squadra e migliore amico Mike Schwartz, massiccio ragazzo stempiato che sembra già un uomo di mezz’età, capace di motivare tutti fuorché se stesso, del suo compagno di stanza Owen, gay e mulatto dalla battuta tagliente, del rettore Affenlight, che vive ancora come uno studente pur avendo 60 anni ed è capace di mettersi in gioco attraverso un’attrazione e una passione del tutto nuove per lui. E poi c’è Pella, la figlia di quest’ultimo, giovane ragazza confusa con già un matrimonio fallito alle spalle e la voglia di darsi un’altra chance.

Un esordio letterario notevole quello di Chad Harbach, amato e odiato dalla critica al tempo stesso, da un lato salutato come nuovo grande romanziere americano, dall’altro tacciato di aver dato alle stampe un prodotto radical chic furbesco e studiato a tavolino. In qualche modo veri entrambi questi giudizi. Ma in fondo la letteratura si crea sia attraverso l’universalità dei temi (e cosa c’è di più universale del sogno americano e del suo respiro?) sia attraverso il rigore e la “freddezza” con la quale vengono concepiti e sviluppati. E L’arte di vivere in difesa possiede entrambi questi requisiti, che lo rendono un classico romanzo americano di ampio respiro. Il suo titolo originale, The Art of Fielding, sta ad indicare proprio una seconda opportunità, l’arte del rilancio, il rispondere a tono alle amarezze della vita. Eppure quel che più preme a questo illustre esordiente, che un po’ radical chic in fondo lo è (laurea ad Harvard e cofondatore e condirettore della rivista letteraria “n+1”) è la sofferenza interiore espressa attraverso quella del corpo. L’affermare se stessi attraverso il sacrificio fisico (e in questo Harbach fa un discorso molto simile al film cult angloirlandese del video-artista Steve McQueen, Hunger, proprio in questi giorni nelle sale italiane).


L’arte di vivere in difesa è il racconto di una gioventù rappresentata attraverso il proprio corpo e il suo rapporto con il cibo (tutto lo richiama, dalla mensa universitaria, alle pentole incrostate, all’anoressia di Henry), che evidenzia la bruttezza di questo mondo sempre meno legato alla bellezza e alle speranze, dove la condizione della depressione è diventata la regola e non l’eccezione. E in questo Harbach più che essere un freddo costruttore di romanzi a tavolino si crogiola di quella grande letteratura americana contemporanea che fa di Philip Roth il suo capofila e del suo capolavoro Pastorale americana un modello estetico e di respiro al quale attingere. L’autore riutilizza così quell’eccezionale serbatoio della psicologia umana fatto di contrasti, di eroi perdenti, di meteore che si infrangono contro l’esperienza della vita. Il tema dell’omosessualità, essenziale all’economia della storia, è altrettanto moderno, proiettato verso l’assoluta mancanza di etichette, solleticante verso un mondo poli-sessuale e trova varie tracce, non solo quella evidente fra il rettore innamorato del giovane Owen, anche nel rapporto fra Henry e Mike, in qualche modo innamorati l’uno dell’altro e proiettando questo amore nella divisione della stessa donna (pensiamo alla serie televisiva di Ryan Murphy, Nip/Tuck, anche quella incentrata sul corpo, attraverso il rapporto fra Sean, Julia e Christian). Chad Harbach ci dice che il sogno americano è morto, e comunque aveva fallito: è bene crearsi altri sogni, solo all’apparenza più modesti, ma forse più essenziali.

Un romanzo sui corpi quindi; fragili, che scricchiolano sotto il peso dei muscoli, cartilagini maciullate da prove estreme, la privazione del cibo, una vecchiaia che si annuncia anzitempo attraverso una maturità generata da una vita ingenerosa. Adolescenti che vedono già l’autunno della propria esistenza. La maturità diventa così una cosa intima, del tutto personale, la paternità una condizione psicologica, come quella Mike Schwartz, che ha perso entrambi i genitori da ragazzino crescendo solo fino a quando trova, come capitano della squadra di baseball, la sua famiglia e la capacità di motivare e far crescere gli altri, senza però avere la stessa capacità di pensare a se stesso. In fondo il compito di qualsiasi genitore. Dipendenza del corpo da farmaci, che aiutano a sopportare quel lacerante dolore fisico. Il tutto perché dal corpo oggi chiediamo sempre più fino alle inevitabili conseguenze (la triste cronaca degli ultimi mesi nel mondo dello sport insegna qualcosa). Ma dietro questo tema cardine del romanzo se ne nascondono altri, universali e strettamente collegati: la crescita, la maturità, lo sport, l’omosessualità. Su queste basi il sogno americano trova una lettura contemporanea, estremamente moderni.

L’arte di vivere in difesa
The Art of Fielding
Autore: Chad Harbach
Traduttrice: Letizia Sacchini
Casa editrice: Rizzoli, 2012
Collana: La Scala stranieri
Pagine: 516
Prezzo: 20 €

Share