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Refugee scArt: come trasformare i rifiuti in Arte solidale | Fuori le Mura

Refugee scArt: come trasformare i rifiuti in Arte solidale

23 aprile 2012

di Chiara Poladas

Un gruppo di giovani rifugiati africani, coaudiuvati da associazioni di volontariato patrocinate dall’UNHCR, raccolgono per le strade della capitale materiali di scarto per farne oggetti d’arte da rivendere. Un modo per riacquisire la speranza nel futuro ed accrescere il benessere della collettività

Ritrovare la dignità e ridare significato alla propria esistenza attraverso l’immondizia. Sembra un paradosso. Eppure, per un gruppo di nove uomini in attesa di ottenere lo status di rifugiati politici, l’iniziativa rappresenta una via d’uscita dalla disperazione.

Il progetto si chiama Refugee scArt- Spostamenti Coraggiosi Aiutando Riciclo Terra – e consiste nella raccolta di rifiuti di scarto (carta, plastica, vetro) a cui restituire nuova vita, attraverso “l’arte del riciclo”. Fautrice dell’esperimento è Marichia Simcik Arese, ex docente di Storia dell’arte rinascimentale all’Università di Los Angeles, fondatrice della Spiral Foundation, la quale ha voluto esportare l’operato della sua ONG dagli Stati uniti all’Italia. “Sono stata sempre attratta dall’ immondizia. Quando vivevo a New York, vedevo oggetti meravigliosi gettati via, li recuperavo e riciclavo, dandogli nuova vita. Poi ho pensato che quell’hobby potesse diventare un lavoro.”

E’ da agosto 2011 che questi giovani provenienti dall’Africa occidentale si danno da fare per trasformare ciò che trovano nei cassonetti in oggetti utili, ecologici e belli da vedere. Un modo intelligente per pulire la città e donare allo stesso tempo speranza ai chi ha vissuto il dramma della guerra ed è stato costretto ad abbandonare il proprio paese d’origine.

L’approdo nella capitale è stato possibile grazie al prezioso sostegno di associazioni di volontariato ed enti, quali il Centro Astalli, Laboratorio 53 e Binario 95, sotto il patrocinio dell’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati. Questi artisti in erba costruiscono, rielaborano, insufflano nuova vita a materiali ed oggetti gettati via. Un po’ come se, restituendo valore a ciò che si considera non ne possegga più, questi giovani uomini regalassero alle loro esistenze uno slancio inedito, una sorta di resurrezione spirituale, attraverso cui riacquisire fiducia e speranza nel futuro.

La giornata inizia presto nei locali messi a disposizione a titolo gratuito dai gesuiti di Sant’Andrea al Quirinale e si lavora fino al tardo pomeriggio. I ragazzi recuperano materiali di vario tipo, grazie anche all’accordo con supermercati, negozi e perfino privati, portano gli ex rifiuti nella loro officina ed è a quel punto che danno il via libera all’espressione creativa. Frutto di questo estro sono gli oggetti più disparati: collane, bracciali, segnalibri, bicchieri, piatti, sottopiatti, cinture. I primi mille euro incassati dalla vendita sono stati destinati all’acquisto delle attrezzature necessarie alla loro fabbricazione. Una volta raggiunta l’autosufficienza, il gruppo ha iniziato a monetizzare ciò che ha creato grazie alla fantasia, vendendo presso Gilli Moda o in alcuni Atelier di Roma (Atelier Parisetti a San Saba), ricevendo anche ordinativi dall’Onu, dalla Regione ed organizzando mercatini rionali la domenica o nei giorni festivi. Il 100% degli incassi va interamente agli “artisti”, il che rende ancora più pregevole l’iniziativa che non ha nulla a che vedere con l’assistenzialismo o la beneficienza. Si tratta infatti di creazione artistica a pieno titolo, tanto da rendere queste persone, spesso poste ai margini della società, veri e propri designer all’avanguardia.

Nel corso dei mesi questi “creatori d’arte” sono riusciti a recuperare la bellezza di 2mila kg di plastica, un risultato eccezionale oltreché un esempio valoroso di riciclo che potrebbe essere emulato anche da altre amministrazioni locali, per fronteggiare l’annosa questione dello smaltimento dei rifiuti. Ma non c’è solo la plastica: le materie che si riciclano sono tante e diverse: tessuti etnici di scarto, incarti di cibo liofilizzato, scarti di filo telefonico. Tutto può diventare prezioso nelle mani di questi promettenti artigiani.

Insomma si può migliorare la vita di singoli individui, fuggiti dalle torture, dai maltrattamenti e da condizioni umane disperate e allo stesso tempo contribuire in maniera efficace al benessere di una comunità. La portata dell’iniziativa la descrive la stessa Marichia: “I ragazzi – racconta – sono persone che non avevano niente da fare nei centri che li accolgono, che stavano in giro per la stazione Termini in attesa di poter rientrare nei centri la sera, tutti senza speranza. Adesso invece sono insieme, siamo parte di un gruppo, si è sviluppato un senso di appartenenza. E poi il progetto crea tanto valore aggiunto: si sentono creativi, riescono a riciclare e comporre, ognuno è libero di realizzare quello che vuole, gli oggetti sono anche il frutto della loro cultura etnica, del loro senso estetico, dei loro colori”.

Dall’esperienza vissuta poi questi neo “Professori del recupero” potranno trasmettere le tecniche apprese ad altre persone in difficoltà, dando vita ad un circolo virtuoso, capace di connettere la solidarietà alla bellezza.

Sembra proprio che il destino di questi giovani africani segua esattamente quello del materiale che essi adoperano per creare arte. Un riscatto sociale che segue parallelamente il recupero estetico, solidale ed ecologico di ciò che viene buttato via.

Strano ma vero. Restituendo valore a ciò che viene scartato è possibile ritrovare il senso smarrito della vita.

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