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Confidenzialmente Camus, immensamente Amelio | Fuori le Mura

Confidenzialmente Camus, immensamente Amelio

23 aprile 2012

di Erika Di Giulio

‘Per raccontare l’esistenza di un altro, devi farla diventare tua’

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Tra i rottami dell’auto sulla quale Albert Camus trovò la morte il 4 gennaio del 1960 fu rinvenuta la bozza di un manoscritto, la stesura originale e incompiuta de Il primo uomo, pubblicato postumo nel 1994 dalla figlia Catherine, dopo un’accurata ricostruzione filologica.

“È una narrazione forte, potente, autobiografica”, esordisce Gianni Amelio, “Espressione piena e viva del pensiero di Camus. Un libro politicamente necessario e urgente per questo e per tutti i tempi”. Adattamento dell’omonimo romanzo, Il primo uomo, coproduzione internazionale tra Italia, Francia e Algeria, nelle sale cinematografiche dal 20 aprile in 70 copie per 01 Distribution, si è guadagnato il premio della critica internazionale (FIPRESCI) in occasione dell’anteprima mondiale alla 36ma edizione del Festival di Toronto Tiff 2011.

Un’opera autobiografica dalla genesi complicata, iniziata addirittura nel 1995. “La figlia dello scrittore non era molto propensa nel concedere i diritti”, spiega il regista, “Un testo molto importante e particolare per lei. Era terrorizzata dal fatto che ne uscisse un’immagine troppo convenzionale del padre, preoccupata dell’aspetto privato e familiare. Si è riservata la facoltà di concedere il consenso solo a visione ultimata e ha effettuato una sorveglianza strettissima sulla sceneggiatura, lavorando sempre al mio fianco. Pensate al coraggio del produttore. Ho scritto il film da solo, immaginandolo in francese e ricorrevo a lei costantemente”.

Negli anni ’20, al tempo dell’infanzia di Camus, Gianni Amelio (che non gira in Italia dall’opera che gli valse il Leone d’Oro, Così ridevano, 1998, ndr.) ha potuto ritrovare le tracce della sua Calabria nel secondo dopoguerra. “Nessuna autobiografia può appassionarci se non tocca in parte anche la nostra vita. Ho scelto di fare questo film proprio per le coincidenze con il mio passato. La povertà, un padre lontano e sconosciuto, la nonna e la mamma come presenze quotidiane, il lavoro d’estate con lo zio, il sostegno di un maestro di scuola. Mi ha dato il coraggio che non avevo mai avuto: realizzare un film autobiografico seguendo con umiltà e gratitudine l’autobiografia di Camus. La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo era un film fatto a caldo, commissionato dal governo algerino per celebrare la vittoria dopo la Rivoluzione. Nasce dalla cronaca, ha l’immediatezza e la tempestività del documentario. Il mio film non è un film sulla guerra di Algeria ma su una piaga più profonda e sempre attuale anche nell’Italia di oggi, sulla difficoltà che le diverse etnie hanno di convivere nello stesso territorio senza che la violenza degeneri inevitabilmente. Un film che storicizza le posizioni di chi reclama un’Algeria francese e di chi combatte, militando per l’indipendenza, attraverso la mediazione del pensiero di Camus che inneggia alla rivoluzione ma mai al terrorismo e di quello del maestro Bernard che si trova a dover ammettere la liceità della violenza come unica arma contro il giogo oppressivo del colonialismo. Il terrorismo si sa, non risolve nulla e la Storia ce lo ha detto, ma come si fa essendo algerino a pensare che la morte non ti tocchi? Quelli che noi oggi chiamiamo terroristi, da loro sono martiri ed eroi della Rivoluzione. La madre del protagonista non vuole andare in Francia per mettersi al sicuro. La Francia è bella, ma non ci sono gli Arabi”.

Un film apprezzato dalla stampa algerina, evitato da quella francese. Una vecchia ferita forse non ancora rimarginata. “I film si fanno con la pancia, dopo averci pensato tanto”, continua Gianni Amelio, “Sono contrario a quelle opere che vogliono spiegare a tutti i costi, non faccio film-tesi, ma cerco nello spettatore il tramite e il complice per le emozioni. La Storia con la S maiuscola passa sempre per quella con la S minuscola. Bisogna dimenticarsi della macchina da presa e farla intervenire solo dopo aver costruito il pensiero. Il romanzo è chiaramente una saga enorme, ho lavorato sulla riduzione temporale, limando ogni intervento, interpretando e rispettando le parole affinchè ne emergesse il senso più autentico”.

Il primo uomo segna anche l’esordio sul grande schermo del piccolo e sorprendente Nino Jouglet nella parte dello scrittore bambino. “Il vero e unico regista di bambini è stato Luigi Comencini”, conclude Amelio, “Diceva che una volta scelti si dovesse aspettare con fiducia che fossero le loro stesse qualità ad avvicinarsi naturalmente e liberamente al personaggio e non viceversa. Ne ho visti a migliaia, poichè in Francia la prassi è quella di convocare i genitori ed erano più loro che i figli a voler fare il film. Fortunatamente è prevalso il metodo italiano: scendere in strada sperando di imbatterti in qualcuno di speciale, preso dalla vita, non dall’università. Nino era indisciplinato, non ha fatto provini, non mi ascoltava, guardava altrove e disegnava. È lui, mi sono detto. Durante la lavorazione e le nove settimane di riprese, non c’è stato un momento di scollamento tra regia, troupe e attori. Abbiamo sempre camminato insieme, gli uni di fianco agli altri”.

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