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Integrazione e cultura: i musei di fronte alle sfide della società plurale | Fuori le Mura

Integrazione e cultura: i musei di fronte alle sfide della società plurale

19 marzo 2012

di Rachele Mannocchi

In un periodo come quello attuale, segnato da una vera e propria ossessione nei confronti dell’identità come fattore di esclusione, di discrimine tra “chi appartiene” e “chi non appartiene”, lavorare sul patrimonio in chiave interculturale può aprire spazi inediti di inclusione e di cittadinanza. Questa la sfida a cui i musei sono chiamati a rispondere, affermandosi come luoghi di incontro e relazione, dove l’identità rappresenta l’inizio e non la fine della conversazione

Alexander Petlura, The empire of things

La diversità culturale ha sempre rappresentato uno dei grandi asset europei e continua ad essere uno dei suoi principali punti di forza. Malgrado ciò, l’odierna crisi finanziaria sta moltiplicando le differenze sociali a svantaggio di coloro che vivono ai margini della società. Nella lotta alla povertà e all’esclusione sociale anche la cultura gioca la sua parte: per la sua capacità di rendere la vita dei cittadini più ricca e piacevole, per gli effetti virtuosi in grado di generare sull’economia e, pur non rappresentando la risposta alla privazione, può svolgere un ruolo importante penetrando nell’isolamento e nell’esclusione che aleggiano intorno alla povertà. Parlando di problematiche legate alla diversità e all’integrazione, musei e patrimonio culturale sembrano rappresentare un ambito particolarmente complesso; non solo perché, storicamente, molti musei sono stati creati con il preciso intento di affermare l’identità di una nazione e di celebrarne i valori dominanti, ma anche perché la nozione stessa di “patrimonio”, in virtù della sua stretta associazione con i concetti di “identità” e di “eredità”, sembra riferirsi a qualcosa che è acquisito una volta per tutte e non può essere sviluppato da un individuo nel corso della sua esistenza. Tutt’al più, il museo, può aprire le proprie porte ai migranti e offrire loro l’abc di un patrimonio preconfezionato aspirando,  a conseguire un livello accettabile di alfabetizzazione, non di “appartenenza”. Eppure la sfida sta proprio in questo: ripensare il patrimonio non tanto come un sistema chiuso, un’ eredità ricevuta da conservare e  trasmettere, quanto come un insieme di beni da condividere e ricollocare in uno spazio sociale di scambio.

Attività didattiche interculturali

Un’efficace lezione di educazione interculturale in grado di fornire una concreta risposta alla crescente diversità dei pubblici ci viene dall’Inghilterra. La convinzione che l’interazione con le collezioni debba stimolare un dibattito aperto sull’umanità rimane, ancora oggi, un punto fermo della strategia adottata dal British Museum fin dalla sua creazione. In quest’ottica, il Museo ha prestato sempre maggiore attenzione ai cosiddetti “pubblici MBE” (Black, Minority and Ethnic – ovvero il pubblico di colore, le minoranze e i gruppi etnici) con lo sviluppo di nuovi e mirati programmi di apprendimento affidati a gruppi di lavoro interni al Museo in collaborazione con partner esterni. All’interno del British Museum, la Learning Programme Team e la Community Partnership Team hanno il compito, in collaborazione con le altre unità interne, di sviluppare un’ampia gamma di attività finalizzate a coinvolgere diverse fasce di pubblico: programmi per adulti (giornate di studio, conferenze, spettacoli, workshop, visite guidate ed eventi serali) con lo scopo di favorire l’incontro dei visitatori con gli oggetti e incoraggiare i partecipanti ad approfondire culture nuove o poco conosciute, sia antiche che contemporanee; il programma per studenti ESOL (English for Speakers of Other Languages) rivolto agli immigrati, rifugiati e richiedenti asilo che frequentano i corsi di lingua e alfabetizzazione inglese finanziati dal governo britannico; l’innovativo programma di apprendimento Talking Objects in cui i giovani di diverso background culturale approfondiscono la storia degli oggetti del British Museum parlando con i curatori e discutendo temi ad essi pertinenti, utilizzando la danza, la recitazione ed altri processi creativi per ampliare i propri orizzonti. L’intento è quello di puntare su una programmazione sostenibile collegata alle collezioni permanenti piuttosto che concentrarsi su progetti a breve termine indirizzati a singole comunità (spesso culturali/etniche) e costruiti prevalentemente intorno a mostre temporanee.

Concerto di musica africana in un contesto museale

In questa direzione si muove anche il Manchester Museum, i cui programmi hanno permesso un netto incremento del pubblico di afro-inglesi. All’interno dell’istituzione museale esiste una particolare figura di curatore che si occupa, nello specifico, dell’impegno comunitario frequentando centri di assistenza e punti di ritrovo di immigrati e nuovi cittadini. Dal 2004, il Museo porta avanti un progetto denominato Contact Zone con l’obiettivo di far entrare in contatto alcune comunità di immigrati con gli oggetti del museo relativi al proprio paese di origine, arricchendo la conoscenza non solo dei singoli reperti ma, più in generale, della cultura originaria dei nuovi cittadini inglesi. Gli ospiti del museo sono chiamati a fornire informazioni relative alla storia e all’utilità dell’oggetto, a maneggiarlo e a narrare storie ad esso correlate. Gli incontri sono filmati e successivamente trasmessi sia all’interno del museo che online, su un canale specifico di youtube (www.youtube.com/user/manchestermuseum). Grazie a quest’ultimo, alcuni video sono visiti soprattutto nei paesi di originaria appartenenza degli stessi oggetti; la conversazione, nata nelle sale del museo, prosegue quindi in altri paesi e in altre realtà, dando vita ad un processo di acculturazione senza frontiere che permette agli oggetti custoditi non solo di riallacciarsi alla propria storia ma di tornare a vivere nei racconti dei migranti.

In Italia il concetto di “identità multiple” – ritenuto cruciale per il dialogo interculturale in quanto affranca gli individui dalla logica prevalente della “rappresentanza culturale” – sembra essere accettato in linea teorica ma, nella realtà, è ancora molto raramente posto al centro del lavoro dei musei e delle altre istituzioni deputate alla tutela del patrimonio. La questione di come e quanto i nostri musei possono essere sensibili ed attenti ai processi di cambiamento che segnano la vita di ogni comunità risulta quanto mai significativa. Ripensare il ruolo del museo nella contemporaneità significa, quindi, immaginare un museo che sa parlare al pubblico ma che, ancora prima, sa ascoltare, che parte dal presente per esplorare il passato ed immaginare il futuro, che considera “patrimonio” non solo gli oggetti, ma anche e soprattutto gli individui e la ricchezza che ognuno porta con sé: storie, idee, emozioni, desideri, timori e speranze.

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