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Coro di no alle trivellazioni della Shell nel Cilento : Fuori le Mura


Coro di no alle trivellazioni della Shell nel Cilento





12 marzo 2012 |



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Pochi giorni fa il Ministero dello Sviluppo economico ha autorizzato la multinazionale Shell ad effettuare sondaggi geognostici per ricercare giacimenti petroliferi lungo un’area di 211 km², al confine tra la Campania e la Basilicata. I permessi riguardano sia i rilievi sismici, sia la realizzazione di pozzi petroliferi esplorativi, con relative postazioni e piste di accesso, per valutare l’impatto ambientale dell’opera. L’area interessata investe 14 Comuni e 70mila persone e confina con i terreni del  Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, un vero e proprio patrimonio naturale e culturale nel panorama italiano. L’Unesco l’ha infatti riconosciuto come Bene dell’umanità sia per quanto riguarda l’aspetto naturale, promuovendolo a Riserva nel 1997, sia per l’aspetto storico-archeologico, riconoscendolo Patrimonio dell’umanità nel 1998 insieme ai siti archeologici di Paestum, Velia, meglio conosciuta come Elea sede della scuola di Parmenide, e la Certosa di Padula. Per questo motivo i sindaci di 8 Comuni (Atena Lucana, Montesano sulla Marcellana, Padula, Polla, Sala Consilina, Sant’Arsenio e Teggiano) si sono riuniti in un comitato dal nome No al Petrolio per tutelare il territorio.

Le operazioni di estrazione metterebbero a rischio idrogeologico tutta la zona, visto che è sismica, e ne altererebbero irreparabilmente gli equilibri giacché andrebbero a togliere il terreno alle attività agricole, molto fiorenti in quest’area dell’Appennino Lucano dove i monti della Maddalena e Monte Cavallo separano la Campania dalla Basilicata. I rischi per l’ambiente si riscontrerebbero già nelle esplorazioni preliminari, quelle da poco autorizzate dal Ministero, come ha rivelato Shell in una sua relazione: “in caso di esplorazioni si avrebbero ricadute sull’ecosistema animale e vegetale”.

L'area interessata alle esplorazioni per valutare l'impatto ambientale

L’area interessata alle esplorazioni per valutare l’impatto ambientale

Non è la prima volta che in questa zona viene richiesta l’autorizzazione a perforare il suolo in cerca di petrolio. Già 15 anni fa la Texaco corp. aveva fatto domanda, ma l’istanza non era stata accolta proprio per i rischi di natura idrogeologica. La multinazionale, allora, ce l’aveva messa tutta per convincere la popolazione. Ma gli ingegneri inviati alle assemblee cittadine per sostenere le ragioni dei petrolieri, i documentari sugli effetti benefici delle trivellazioni in Amazzonia mandati in onda sulle tv locali non riuscirono a far cambiare idea gli abitanti del Vallo di Diano. Pochi anni prima non andò così per i comitati contro l’estrazione petrolifera della confinante Val d’Agri, infatti i pochi vantaggi offerti dalle compagnie – l’Eni in cordata con la Shell – furono accettati. In cambio di royalties — il cui valore è pari  per legge al 7% di quello del greggio estratto — ai Comuni e assunzioni a termine di alcuni disoccupati, i cittadini si erano lasciati convincere dal progetto e avevano iniziato ad abbandonare la coltivazione dei terreni investendo nel trasporto merci per spostare l’oro nero al vicino porto di Taranto. Passati pochi anni i contratti non furono rinnovati e la costruzione dell’oleodotto che collegava i giacimenti con Taranto misero fine alle speranze di ricchezza di chi aveva creduto nella Lucania Saudita.

Quello che adesso resta agli abitanti della Val d’Agri, dopo anni di estrazioni petrolifere, sono solo un aumento della percentuale di tumori e leucemie – come dimostrano i dati sulla presenza di tumori negli uomini e nelle donne, la cui percentuale d’aumento è la maggiore d’Italia – , delle malformazioni dei neonati, un crollo delle attività agricole, zootecniche e turistiche e un peggioramento rilevante delle condizioni dell’aria, delle acque e del suolo.

Adesso, i cittadini di questa vasta area dovranno riorganizzarsi per respingere questo progetto che risulta addirittura peggiore di quello propinato 15 anni fa, sia perché andrà a interessare aree prevalentemente urbanizzate, sia perché utilizzerà una tecnica di estrazione più invasiva: i pozzi orizzontali. La Shell ha già spiegato nella sua documentazione inviata ai Comuni interessati che “l’adozione della tecnica dei pozzi direzionati si è resa necessaria per raggiungere posti inaccessibili (non ubicati ad esempio sulla verticale degli obiettivi da raggiungere) come nel caso del presente studio dovuto alla presenza di un’area protetta come il parco nazionale Val d’Agri Lagonegrese“. È chiaro che questo metodo servirà per estrarre più petrolio e per aggirare le norme valide solo in superficie, come le concessioni che eventualmente non saranno date da alcuni Comuni, o i vincoli ambientali e paesaggistici.

Questi pozzi orizzontali aumentano l’area esposta ad agenti inquinanti, come i fanghi e fluidi tossici utilizzati negli scavi, o di esalazioni di idrogeno solforato, e aumentano anche il sottovalutato rischio di squilibri geologici nel territorio. Secondo alcuni studi compiuti dalle stesse compagnie petrolifere, in seguito alle trivellazioni si è sovente verificato un aumento dell’indice di sismicità del luogo, facendo registrare in alcuni casi un vertiginoso aumento da 0 fino a 6°/7° della scala Richter. In una zona già sismica come questa si rischia davvero tanto.

L’appetibilità del suolo italiano da parte delle compagnie petrolifere è data dalla possibilità di alto profitto: infatti le royalties da pagare alle nostre istituzioni sono le più basse del mondo: il 7% su terra ferma e il 4% in mare. Negli altri Paesi i compensi da pagare per le estrazioni sono molto più alti e assicurano un fatturato ben maggiore alle casse pubbliche: basti pensare che le royalties in Libia sono il 90% del valore del greggio, in Norvegia 80%, in Canada 60%, etc. Inoltre, al di sotto di un certo quantitativo di petrolio estratto, in Italia le compagnie non pagano assolutamente niente.

Le difficoltose condizioni economiche in cui riversa l’Italia potrebbero alla fine far cedere i politici italiani ad accordi, anche svantaggiosi, con la multinazionale. Tuttavia questa impresa non rappresenta una forma di investimento perché lo sfruttamento di questo tipo di energia è destinato a scomparire nei prossimi decenni. In una situazione come questa è necessario che la politica valorizzi e tuteli appieno i bisogni dei suoi cittadini ed investa in risorse che ci proiettino in una dimensione destinata a crescere, e non ricerchi solo di arrabattare pochi soldi per risanare provvisoriamente le casse, per ritrovarsi tra qualche anno a sostenere spese ben maggiori nella sanità e nella bonifica del territorio.



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Category: Scienze + Tecno