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Cesare deve morire | Fuori le Mura

Cesare deve morire

5 marzo 2012

di Alice Vivona

Esce in sala il film dei fratelli Taviani, maestri del cinema italiano, freschi vincitori dell’Orso d’Oro alla Berlinale

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Siamo nel teatro del carcere di Rebibbia, a Roma. Un gruppo di detenuti sta mettendo in scena il Giulio Cesare di Shakespeare. Dopo il finale e gli applausi, ognuno torna nella propria cella. E’ il momento finale di un percorso educativo e di esperienza fatto attraverso il laboratorio teatrale diretto da Fabio Cavalli, durato sei mesi. Cesare deve morire non è, come si potrebbe immaginare, un documentario sulla realizzazione di uno spettacolo teatrale nel carcere di Rebibbia. E’ l’intero film ad essere la rappresetazione del Giulio Cesare, come grande metafora umana che rispecchia la condizione degli uomini che recitano nella rappresentazione. Il film è una sorta di matrioska in cui alla base ci sono i detenuti, attori nel carcere, a cui si aggiunge la messa in scena dello spettacolo teatrale, e la sua costruzione, i provini, le prove in vari ambienti di Rebibbia, che risulta essere anche un modo, e un’ulteriore messa in scena, questa volta quella filmica, che ci mostra la realtà dei carcerati. Due diversi livelli di finzione, il teatro ed il cinema, che allontanano dalla realtà in cui normalmente queste persone vivono, e alla quale vengono richiamate da un detenuto che dice: “Ma guarda questi, invece di fare la galera seriamente…”.

Una via di fuga senza evadere da quelle mura. Infatti, la battuta che chiude il film non è  il finale della tragedia di Shakespeare, ma una frase di uno dei detenuti-attori che, tornando in cella, dice: “Da quando conosco l’arte, questa cella mi è prigione”. L’arte o meglio la cultura, è un mezzo che salva le anime, sembrano voler così suggellare i due maestri della cinematografia italiana, insigniti giustamente dall’appena terminato Festival del cinema di Berlino dell’Orso d’Oro, con un film tanto semplice quanto alto, visto che non fa altro che portare alla ribalta una situazione di vita senza avere né occhio pietoso né complice, ma lasciandola rivelare. Fabio Cavalli, regista dell’opera teatrale a Rebibbia e co-sceneggiatore del film, ha trovato un modo ingegnoso di colmare ma allo stesso tempo di unire i personaggi del dramma, uomini di valore, con quelli del carcere, “uomini d’onore” in un altro senso: gli attori recitano ognuno nel proprio dialetto di origine, facendo in modo così che il dramma venga reinterpretato da ognuno degli attori. In effetti questo avviene, visto che, in più riprese, i singoli protagonisti trovano delle somiglianze tra le parole del Bardo e la propria esperienza personale. Tutti questi personaggi, nel dramma e nel film, sono uniti dal delitto e dal sangue; il dramma di Shakespeare parla, infatti,  di omicidio, violenza e dolore. Tre parole che sono familiari anche ai detenuti, che si trovano a Rebibbia proprio a causa di esse.

I sei mesi di lavoro sullo spettacolo sono stati realizzati nel film in bianco e nero, si torna al colore con il presente, che vede le vite dei detenuti tornare nel carcere, ma con la coscienza forse risvegliata dall’arte. Tra i vari attori detenuti, uno in particolare è ormai un volto noto:  Salvatore Striano, entrato in carcere a 14 anni, uscito venti anni dopo, ha trovato, come afferma lui stesso, nella cultura, nel leggere e nel teatro, una nuova ragione di vita, un modo per fuggire alla routine quotidiana che fa parlare solo di carcere, di processi, di avvocati, della propria situazione dentro le mura. Striano ha esordito al cinema con Gomorra di Matteo Garrone, a cui sono seguiti altri ruoli cinematografici; un segno che, volendo, ci si può liberare di un passato che ha segnato la propria vita e che poteva essere una condanna definitiva.

Immagine anteprima YouTube

Cesare deve morire
Regia: Paolo e Vittorio Taviani
Cast: Salvatore Striano, Cosimo Rega, Giovanni Arcuri
Produzione: Italia, 2012
Durata: 76′
Distribuzione:  Sacher Film, 2 Marzo 2012

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