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Sulla responsabilità civile dei magistrati | Fuori le Mura

Sulla responsabilità civile dei magistrati

6 febbraio 2012

di Simone Arseni

Cosa accadrebbe se il senato approvasse l’emendamento del deputato leghista sulla responsabilità civile dei magistrati

È stato approvato dalla Camera il testo della Legge comunitaria 2011 recante “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità Europee”. Nel corso dell’esame del disegno di legge è stato presentato e approvato con voto a scrutinio segreto un emendamento del deputato leghista Gianluca Pini, che, qualora venisse confermato dal Senato, inasprirebbe la disciplina della legge Vassalli, 23 aprile 1988, n. 117, relativa al “risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati”.

La legge Vassalli, attualmente in vigore, prevede che il soggetto che si ritenga leso da un comportamento, da un atto o da un provvedimento giudiziario “posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni, ovvero per diniego di giustizia”, possa esercitare un’azione di risarcimento del danno contro lo Stato. Nel caso in cui il tribunale del luogo dove ha sede la corte d’appello del distretto più vicino a quello in cui è compreso l’ufficio giudiziario  al quale apparteneva il magistrato al momento del fatto appuri  l’effettività del danno, lo stato versa al soggetto leso un equo indennizzo e può poi rivalersi sul  magistrato comminando una sanzione di tipo economico che non può essere superiore a un terzo del suo stipendio annuo.

L’emendamento prevede che chi subisca un “danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto, o di un provvedimento di un magistrato in violazione manifesta del diritto o con dolo o colpa grave nell’esercizio delle sue funzioni o per diniego di giustizia, può rivalersi facendo causa allo Stato e al magistrato per ottenere un risarcimento dei danni”.

Le reazioni dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) sono state immediate, non soltanto per la forma contorta dell’emendamento. Il presidente Luca Palamara considera incostituzionale la responsabilità diretta del magistrato e l’ha definita “una forma intimidatoria e di vendetta verso il libero esercizio della funzione del giudice”. Il ministro della Giustizia Paola Severino si augura che il Senato corregga il provvedimento. Di Pietro ha parlato con enfasi di “ennesimo delitto”. Dal lato, invece, di chi l’emendamento l’ha proposto e approvato, si parla di “vittoria di civiltà” e di “giustizia fatta”, dal momento che “finalmente i magistrati pagheranno per i loro errori” e che dunque la legge potrà essere uguale per tutti.

La tesi dell’affermazione di un “principio di civiltà”, tuttavia, stenta a convincere, così come convincono poco i richiami e i motteggi populistici che manipolano in modo strumentale principi sacrosanti come quello secondo cui la legge è (o deve essere) uguale per tutti. Sembrano invece da accogliere gli auspici del ministro della Giustizia e i ragionevoli dubbi del presidente Luca Palamara. In particolare, due sembrano essere i punti critici dell’emendamento approvato: da un lato, la locuzione “per violazione manifesta del diritto”, dall’altro la possibilità di far causa non soltanto allo Stato, ma direttamente al magistrato al fine di ottenere il risarcimento dei danni.

Relativamente al primo punto, la legge Vassalli stabiliva all’art.2, secondo comma, che “nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione  del fatto e delle prove”. L’articolo, così come sostituito dall’emendamento, comporterebbe un ampliamento della responsabilità dei magistrati. Si stabilisce infatti che “salvo i casi previsti dai commi 3 e 3bis nell’esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l’attività di valutazione del fatto e delle prove”. Sciogliendo la complicata formulazione, il nuovo articolo prevede che, nei casi di dolo, colpa grave, diniego di giustizia (rifiuto, omissione o ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio) e violazione manifesta di diritto, il magistrato debba rispondere anche per l’attività di valutazione del fatto e delle prove. Scompare significativamente ogni riferimento all’attività di interpretazione del giudice.

Il timore è che un emendamento così ambiguo e mal congeniato, attribuisca al soggetto che si presume leso  un vero e proprio potere di vendetta e intimidazione per così dire “diretta” nei confronti del giudice, anche in relazione all’esercizio dell’attività di interpretazione e valutazione dei fatti e delle prove. Una formula vaga e astratta come “violazione manifesta del diritto”, inoltre, crea una grande incertezza relativamente alle cause per cui un giudice può essere considerato responsabile. Una simile astrattezza, unita alla responsabilità diretta, potrebbe condurre il giudice, nel momento di decidere un caso giudiziario,  a fare un mero calcolo di convenienza nel quale rientrino i rischi di esporsi a una eventuale denuncia. Il momento dell’interpretazione della norma e della valutazione dei fatti e delle prove è per eccellenza (e deve rimanere) il momento nel quale si manifesta (nel bene e nel male) l’indipendenza del giudice, un’indipendenza costituzionalmente sancita e ottenuta di fatto solo dopo mezzo secolo di scontri recriminazioni con potere esecutivo.
Relativamente al secondo punto, invece, ovvero alla possibilità di promuovere un’azione direttamente nei confronti del magistrato incorso in un errore al fine di ottenere da lui direttamente il risarcimento dei danni, appare una norma anch’essa poco meditata e che crea più problemi di quanti pretenda di risolverne. Il principio giuridico da salvaguardare, infatti, è (e deve rimanere) quello della tutela dell’ interessi leso del ricorrente, non quello richiamato dal Guardasigilli Alfano, secondo il quale “chi sbaglia deve pagare” divenuto un motteggio insensato.


La legge attualmente in vigore, fornisce, come si è visto, al cittadino vittima di un errore giudiziario gli strumenti adeguati per tutelare il suo diritto ad essere risarcito per i danni derivanti da una decisione giudiziaria errata. È vero che questa legge, consentendo di promuovere un’azione solo contro lo Stato e non direttamente contro il giudice, pone un filtro tra il cittadino il cui diritto è stato leso e il magistrato cui può essere imputato il danno, ma è un filtro che nasce  dalla delicatezza del ruolo del giudice e dall’esigenza di tutelarne l’indipendenza di giudizio (esigenza sancita da norme di rango costituzionale). Il pm Nello Rossi, membro dell’Anm, ha affermato in proposito che la legge attuale propone “una soluzione equilibrata” in quanto “da un lato offre ai cittadini una piena garanzia di risarcimento che solo lo Stato […] può assicurare. Dall’altro lato si fa pagare un prezzo salato ai magistrati che sbagliano”.

A ciò dovrebbe aggiungersi l’ulteriore congestione del già ipertrofico sistema di giustizia italian che farebbe seguito all’applicazione di una simile norma. Il che, certo, non andrebbe in direzione di una maggiore certezza del diritto, obiettivo cui è auspicabile che si rivolga anche l’emendamento approvato.

Interessante, infine, sarebbe analizzare il ruolo svolto dal voto a scrutinio segreto, strumento tristemente distante dall’essere utilizzato secondo gli scopi per cui è previsto. Ma a questo tema andrebbe dedicato un capitolo a parte.

 

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