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In Giappone il boia torna in azione | Fuori le Mura

In Giappone il boia torna in azione

6 febbraio 2012

di Chiara Poladas

Dopo l’annuncio del Ministro della Giustizia sull’eventuale ripristino delle esecuzioni capitali nel paese, si moltiplicano gli appeli (sul web e oltre) per affermare il rispetto dei diritti umani

Dopo 19 anni, il 2011 è stato un anno straordinario per il Giappone, in quanto non si sono registrate condanne a morte. Eppure il neo ministro della Giustizia, Ogawa Toshio, insediatosi a metà gennaio, ha già ventilato l’ipotesi di un ritorno alle esecuzioni capitali per i 130 detenuti nel braccio della morte.

Allo stato attuale, fra i 47 paesi in cui viene applicata la pena capitale, solo 9 sono quelli in cui vige una democrazia liberale ed il Giappone è fra questi. Ad oggi l’anno più funesto per il Paese è stato il 2008, quando si sono registrate ben 15 esecuzioni, rischiando di battere il record del 1975, anno in cui vennero eseguite 17 condanne. Se poi si considera che dal 1995 al 2005 le pene capitali sono state 16, si percepisce la portata e la crescita esponenziale del fenomeno.

Le ultime sentenze capitali sono avvenute il 28 luglio 2010. Il predecessore di Toshio, Hideo Hiraoka, aveva dimostrato molta più prudenza nel trattare l’argomento, dichiarando di essere intenzionato ad esaminare caso per caso, malgrado le incessanti pressioni operate dal segretario generale dell’esecutivo, Osamu Fujimura, affinché venissero avvallati gli ordini di esecuzione.

”E’ un compito molto difficile, ma voglio farmi carico delle responsabilità”, ha dichiarato Ogawa nel corso prima conferenza stampa tenuta subito dopo il giuramento che ha coinvolto altri quattro nuovi ministri, in seguito al rimpasto di governo operato dal premier Yoshihiko Noda. ”Non e’ in linea con lo spirito della legge che il numero di condannati a morte aumenti senza esecuzioni”, come a sostenere che dato il livello di detenuti in attesa di esecuzione, è impossibile tergiversare ancora, ma bisogna operare per “sfoltire” il braccio della morte.

Ogawa Toshio, neo Ministro della Giustizia giapponese

La pena di morte in Giappone è prevista per 13 fattispecie di reato, anche se nella prassi viene applicata per omicidio. La modalità di esecuzione avviene tramite l’impiccagione: i detenuti vengono bendati, incappucciati e posizionati sopra una botola che viene aperta all’improvviso. Ai prigionieri non viene comunicata la data dell’esecuzione se non un’ora prima della stessa, impendendo di fatto l’incontro con i familiari, la consultazione con gli avvocati difensori, né tantomeno la richiesta di un appello finale. Fino al 2007 il governi hanno tenuto pressoché segrete le sentenze di esecuzione, tenendo perfino nascosti i nomi dei detenuti uccisi. Oltretutto le impiccagioni sono avvenute il più delle volte nel corso dell’estate, quando la Dieta (il parlamento nipponico, ndr) era in vacanza, evitando in questo modo qualsiasi discussione istituzionale sul merito.

Amnesty International in passato ha severamente condannato la pratica dissimulatoria delle condanne a morte messe in atto dai vari esecutivi: la segretezza delle operazioni, infatti, urta contro il principio secondo cui l’opinione pubblica sarebbe favorevole all’applicazione della pena di morte, fatto che dovrebbe determinare estrema trasparenza sulle condanne capitali poste in essere. A seguito delle dichiarazioni dei giorni scorsi del Ministro della Giustizia, Amnesty ha organizzato un appello sul proprio sito per fermare gli ordini di esecuzione ipotizzati da Toshio, introdurre una moratoria sulla pena di morte e promuovere un dibattito pubblico sulla questione.

Ma sono stati gli stessi giapponesi ad organizzare appelli e mobilitazioni di vario genere. Già in passato la Japan Federation of Bar Associations ( che riunisce gli avvocati penalisti giapponesi) ha realizzato diverse inchieste, statistiche e dossier sullo stato dei detenuti nel braccio della morte, fino a mettere in atto pressioni vere e proprie su governo e parlamento affinché si intavolasse un dibattito serio sull’opportunità di mantenere le pene capitali, sul cui potere deterrente sono maturate numerose perplessità.

Pochi giorni dopo le dichiarazioni del Ministro della Giustizia, il Centro per i Diritti dei prigionieri ha lanciato una petizione urgente contro la pena di morte, indirizzando una lettera a Ogawa Toshio, in cui si menzionano le dichiarazioni sul tema da parte del Partito Democratico del Giappone (DPJ), di cui il Ministro è stato segretario generale: “Per quanto riguarda la pena di morte, guardando alle tendenze internazionali, come la politica di appartenenza dell’Unione Europea che richiede l’abolizione della pena di morte, noi continueremo a discutere ampiamente, sia dentro che fuori la Dieta, non solo se mantenere o abolire la pena di morte, ma anche della sospensione delle esecuzioni nel contempo, della notifica delle esecuzioni, del metodo di esecuzione, eccetera.” Nell’appello, pubblicamente sottoscrivibile, si fanno presenti le raccomandazioni in materia da parte delle Nazioni Unite, compresa la Commissione per i Diritti Umani, affinché il Giappone introduca una moratoria delle esecuzioni e adotti provvedimenti verso l’abolizione della pena di morte.

E’ inaccettabile che in un paese democratico in cui vige lo stato di diritto, il cui sistema politico è eletto democraticamente ed è regolato dal sistema dell’alternanza, in cui i cittadini godono di pieni diritti civili, sociali, politici ed economici si possa continuare a tollerare una pratica anacronistica e barbarica come la pena di morte. Il Giappone (come altri paesi così detti sviluppati) non può permettere il procrastinare di un sistema punitivo violento, fuori dal diritto, oltreché inutile per la prevenzione dei reati.  Al contrario è chiamato ad aprire il dibattito alla società civile e ad uniformarsi sempre più alle tendenze internazionali in tema di diritti umani e rispetto della vita.

Se il 2011 è stato un anno senza boia perché mai non continuare in questa direzione virtuosa?

 

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