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Geografia del tempo: la concezione del tempo tra le culture e tra gli individui | Fuori le Mura

Geografia del tempo: la concezione del tempo tra le culture e tra gli individui

23 gennaio 2012

di Michele Lupo

Domenica 22 gennaio si è svolto un dibattito tra l’antropologo culturale Marco Aime e lo psicologo sociale Robert V. Levine sull’arbitrarietà del tempo e sulle varie concezioni che hanno i popoli della Terra

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Fuori le Mura ha seguito la VII edizione del Festival delle Scienze di Roma. Il tema affrontato quest’anno è stato il tempo. Una dimensione che trascende la natura umana e, proprio per questo, ha creato problematiche in molti ambiti della conoscenza: nell’astronomia, nella fisica, nella psicologia, nella biologia, nell’antropologia, ma anche nella religione, nell’arte e nella filosofia. FLM ha assistito alle lectiones magistrales degli esperti che hanno provato a spiegarne il carattere e la struttura, e ha cercato di esporre in maniera esaustiva il loro pensiero in proposito.

 

Nell’ultimo giorno del Festival delle scienze si è svolta una conferenza tra l’antropologo Marco Aime e lo psicologo sociale Robert V. Levine su come il tempo è percepito attraverso le credenze e i costumi. Quello che si vuole indagare è principalmente l’idea di come il tempo sia vissuto dal punto di vista sociale, e quindi di come sia la religione, sia la ricchezza media, ma anche altri fattori culturali, intervengano nella percezione del tempo. Prima della discussione tra  i due esperti è stato trasmesso un interessante video, The Secret Powers of Time – che potete vedere a fine articolo – , di Philip Zimbardo, conosciuto ai più per l’esperimento carcerario di Stanford che ha ispirato molti film. Tra i vari argomenti analizzati in questo video, risulta interessante e spassosa la descrizione  del partito italiano Lega Nord al pubblico americano – dal minuto 2:10.

Aime dà inizio al dibattito citando la celebre frase di Agostino di Ippona: “Che cos’è dunque il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se voglio spiegarlo a chi me lo chiede non lo so più”. Con ciò vuole affermare che il tempo esiste solamente nel momento in cui lo misuriamo. Su questo è d’accordo con la definizione dell’antropologo Edmund Leach, secondo cui “noi parliamo di misurare il tempo come se il tempo fosse una cosa concreta posta lì per essere misurata; ma di fatto noi, creando degli intervalli nella vita sociale, creiamo il tempo.” La domanda che sorge spontanea dopo questa disquisizione è il perché gli esseri umani hanno bisogno di calcolare il tempo. Secondo Aime la misurazione del tempo si renderebbe necessaria per le relazioni umane, e per organizzarsi l’esistenza: è proprio grazie al calcolo del tempo che noi possiamo pensarlo come passato, presente e futuro. Dalle sue ricerche, l’antropologo ha potuto rilevare come l’uomo abbia due tipi di relazione quando si rapporta al tempo: l’una è quella espressa nella connessione tra l’uomo e la natura, che si estrinseca in espressioni come “tra poco”, “più tardi”, etc.; l’altra è quella del sistema codificato della computazione del tempo, quella del legame tra l’uomo e la società che si palesa con l’uso degli orologi e dei calendari. Noi possiamo suddividere il tempo proprio perché ritorna sempre uguale, si ripete. Questa è anche la spiegazione del perché i calendari si basano su accadimenti naturali.

Tuttavia non sempre il tempo nel mondo è immaginato dai popoli come ricorrente. Per far comprendere questo concetto al pubblico, Aime attinge alla sua inesauribile esperienza come antropologo sia in Africa, che sulle Alpi. Presso alcuni popoli dell’Uganda, come i Buganda e gli Ankole, fino a prima della colonizzazione inglese, c’era un’usanza per cui, alla morte del sovrano, la capitale del regno veniva abbandonata. Questa tradizione denota sia il loro concetto di transitorietà del potere, sia la ciclicità nella storia di figure o di vicende diverse. Un altro aneddoto interessante in proposito riguarda invece alcuni montanari della provincia di Cuneo. Infatti per molte popolazioni è ancora l’attività a creare il calendario; sono i cicli contadini a determinare i periodi di vita. Così in alcuni paesi alpini non viene adottata l’ora legale perché non rispetta i cicli naturali di mungitura delle mucche e di lavoro nei campi. L’esperienza più significativa per quanta riguarda il tempo come ricorrenza è indubbiamente quella dell’antropologo Bronisław Malinowski sul calendario delle popolazioni delle isole Trombriand, in Melanesia. Questo è basato sui cicli lunari che in genere sono 12 in anno, in quanto durano 29 giorni e mezzo. Ogni tre anni, però, capita che le fasi lunari in un anno siano tredici. Queste popolazioni sono riuscite a comprendere questa problematica e a risolverla, osservando i giorni di deposizione delle uova di un particolare anellide marino, fenomeno che si verifica una volta l’anno e a confrontarlo con i dati astronomici.

Persistenza della memoria di Salvador Dalì

Persistenza della memoria di Salvador Dalì

Quando prende parola Levine mostra tutta la sua sorpresa per le parole di Aime, perché anche lui voleva approfondire il concetto dell’arbitrarietà del tempo. Per spiegarlo inizia a raccontare di una sua esperienza, stavolta non in veste di antropologo ma come insegnante, in Brasile. Qui ha iniziato ad approfondire i suoi studi sul concetto di puntualità quando si è accorto che, mentre negli USA il ritardo a lezione da parte degli studenti è visto come qualcosa di deprecabile e che richiede scuse e giustificazioni, in Brasile è visto con molta più tolleranza.

Così è andato ad analizzare i concetti di tempo di molte popolazioni e a cronometrare numerose azioni della vita quotidiana presso molti stati, come, per esempio, la velocità media nelle passeggiate al centro e la durata necessaria per portare a termine delle operazioni bancarie, per scoprire se ci sono relazioni culturali che determinano la velocità delle attività quotidiane. Con i suoi dati è riuscito a formulare una teoria che identifica i Paesi più veloci con quelli più industrializzati, con quelli dove si è più felici e dove sono più diffuse le abitudini poco salutari come il fumo e l’uso di droghe. In questa speciale classifica l’Italia è sorprendentemente al quinto posto dei Paesi più veloci dietro la Svizzera, l’Irlanda, la Germania e il Giappone.

Lo psicologo sociale ha anche ravvisato alcuni modi di dire in varie lingue che fanno comprendere il concetto di tempo di quelle popolazioni. L’hora mexicana rispecchia il tempo di natura e l’ora dell’evento. Ciò si può sintetizzare col modo di dire locale “darle tiempo al tiempo“. Questo concetto è ancora più radicale nel Trinidad dove l’orario è molto libero e a discrezione del singolo individuo. Il modo di dire su questa isola è “qualsiasi ora è ora di Trinidad”. Completamente diversa è la nozione del tempo nel Sultanato del Brunei dove i cittadini quando si incontrano al mattina si chiedono “e oggi cosa succederà?”. Un punto in comune tra tutte le civiltà è quello di ritenere il proprio sistema di concezione temporale come il migliore. In questo senso il modo di dire che il parlamentare italiano Jean-Léonard Touadi utilizza per giustificare un ritardo rappresenta al meglio questo idea: “Dio ha dato l’orologio agli svizzeri, ma il tempo agli africani”.

“Il tempo è un grande maestro, ma sfortunatamente uccide tutti i suoi studenti.” Hector Berlioz

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