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Il tempo profondo dell’evoluzione, la lectio magistralis di Ian Tattersall | Fuori le Mura

Il tempo profondo dell’evoluzione, la lectio magistralis di Ian Tattersall

22 gennaio 2012

di Michele Lupo

Il paleoantropologo Ian Tattersall tiene una lectio magistralis all’auditorium sull’evoluzione umana e sulle peculiarità che ci rendono propriamente umani

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Fuori le Mura ha seguito la VII edizione del Festival delle Scienze di Roma. Il tema affrontato quest’anno è stato il tempo. Una dimensione che trascende la natura umana e, proprio per questo, ha creato problematiche in molti ambiti della conoscenza: nell’astronomia, nella fisica, nella psicologia, nella biologia, nell’antropologia, ma anche nella religione, nell’arte e nella filosofia. FLM ha assistito alle lectiones magistrales degli esperti che hanno provato a spiegarne il carattere e la struttura, e ha cercato di esporre in maniera esaustiva il loro pensiero in proposito.

 

Sabato 21 gennaio il paleoantropologo Ian Tattersall ha tenuto una lectio magistralis in cui ha illustrato gli elementi che ci rendono specificamente umani. Introdotta da Telmo Pievani, questa lezione è stata dedicata al filosofo e storico della scienza Paolo Rossi, scomparso pochi giorni fa, e ai suoi studi compiuti sul ruolo delle analisi dei resti fossili nella storia della Terra.

Se infatti la storia delle civiltà è limitata ad un tempo assai vicino al nostro e concerne solamente quei popoli che hanno avuto interesse a tramandare la loro memoria, la storia naturale invece abbraccia tutti gli spazi e tutti i tempi. Se ai nostri giorni appare ovvio che la storia naturale sia permeata da fattori temporali, per molto tempo non ebbe questo significato. Basti pensare ad Aristotele e a Plinio che con questo concetto intendevano una historia o una descrizione atemporale di entità non mutevoli. La scoperta di quello che Paolo Rossi chiama il tempo profondo, l’“oscuro abisso” del tempo geologico ha cambiato in maniera ineluttabile la storia della scienza.

Ian Tattersall inizia il suo discorso ricordando che molte delle tesi della lectio magistralis sono esposte nel suo ultimo libro Masters of the planet – I padroni del pianeta, ancora non uscito in edizione italiana – e che il tempo profondo è un concetto molto relativo che varia da disciplina a disciplina: nella paleoantropologia si fa risalire a 7 milioni di anni fa con i resti fossili del Sahelanthropus tchadensis. Afferma che nelle sue analisi spiegherà il perché sia oggi presente un solo tipo di specie di ominidi, gli Homo Sapiens, quando per la maggior parte del tempo evolutivo un gruppo assortito di ominidi ha popolato insieme la Terra.

Espone la storia evolutiva dell’uomo poiché la ritiene funzionale alla dissertazione delle sue tesi. Con l’esclusione di pochi resti fossili con più di 4 milioni di anni, da cui non è facile trarre informazioni circa il loro stile di vita, gli ominidi più antichi presi in considerazione dal paleoantropologo sono gli australopitechi, in particolare gli Australopithecus afarensis, a tutti noi noti grazie a Lucy, il giovane esemplare di femmina adulta ritrovata 3,2 milioni di anni fa in Etiopia. Questi ominidi nonostante fossero già onnivori e camminassero in posizione eretta, presentavano ancora notevoli differenze dall’Homo Sapiens: le loro caratteristiche fisionomiche come le loro proporzioni craniali erano prossime a quelle delle grandi scimmie. Oltretutto ancora non si erano emancipati dalla vita sugli alberi, dove erano ancora soliti recarsi per procacciarsi il cibo e per trovare rifugio dai grandi cacciatori; questi ominidi erano infatti molto vulnerabili.

La prima svolta nella storia evolutiva avviene all’incirca 2,5 milioni di anni fa con l’uso dei primi, rudimentali utensili. Tattersall fa notare come però la pietra non era ancora lavorata fino a raggiungere la conformazione desiderata, ma era solamente scheggiata in modo da riprodurre una lama grezza. La comparsa diffusa di primi tratti tipicamente umani si ha con l’Homo ergaster circa 1,6 milioni di anni fa. Questo ominide è conosciuto grazie al ritrovamento di uno scheletro quasi completo di un giovane esemplare presso il lago di Turkana, in Kenia – conosciuto come Turkana boy. Di dimensione corporea paragonabile alla nostra, l’Homo ergaster aveva una struttura del cranio più ampia, imputabile all’afflusso di proteine animali derivati dalla pratica massiccia della caccia. Il cambio di regime alimentare è pressoché certo in quanto sarebbe l’unica spiegazione che permetterebbe di giustificare sia l’aumento del volume del neocortex, sia la ridotta dimensione dell’intestino rispetto alle specie precedenti. L’intensivo ricorso alla caccia giustificherebbe anche la mutata struttura sociale di questi ominidi che sarebbero vissuti in comunità allargate. Molti paleoantropologi pensano anche che conoscessero l’uso del fuoco e della cottura, anche se per ora non sono state ancora trovate prove che possano avvalorare questa ipotesi.

Foto di Musacchio & Ianniello

1,5 milioni di anni fa un nuovo tipo di utensile in pietra è sintomo di un nuovo avvenuto cambiamento nella storia dell’evoluzione: si tratta delle prime lame levigate intenzionalmente dai nostri antenati per raggiungere una forma desiderata. Questi nuovi utensili permettono agli ominidi di combattere con i grandi cacciatori e quindi di poter abbandonare le foreste. Durante questo periodo di tempo sono presenti contemporaneamente sulla Terra molte specie di ominidi diverse: solo intorno al lago di Turkana ci sono quattro tipi diversi di homo.

Tattersall si sofferma ad analizzare soprattutto gli Homo neanderthalensis e gli Homo heidelbergensis. Questi ultimi comparirebbero sulla Terra 400mila anni fa e presenterebbero un grado di intelligenza e tecnologia mai raggiunto prima. I loro resti fossili si trovano molto spesso associati a utensili in pietra e ci sarebbero delle prove che dimostrerebbero il loro utilizzo di piccole strutture semplici per ripararsi dalle intemperie e soprattutto l’uso del fuoco e della cottura. Provata è anche la loro evoluta pratica della caccia intensiva, grazie al ritrovamento delle punte di freccia in pietra. Tuttavia sono i Neanderthal ad emergere in virtù del loro cervello simile al nostro, e per la loro superiore abilità nelle attività di artigianato. Ciononostante presentano ancora differenze sostanziali rispetto ai Sapiens, in quanto interagivano in maniera diversa da noi con l’ambiente circostante.

Per vedere finalmente degli ominidi simili a noi bisogna arrivare all’incirca a 40mila anni fa, con la comparsa dei primi Homo Sapiens: i Cro-Magnon. Questi disponevano di una grandissima ricchezza culturale ed erano superiori ai Neanderthal tanto da riuscirli a soppiantare completamente in breve tempo. I Cro-Magnon infatti avevano a disposizione numerose tecnologie sconosciute agli altri ominidi come degli aghi in osso per tessere e l’uso della ceramica. Questi ominidi si differenziano inoltre dagli altri perché presentano la caratteristica che Tattersall individua come la peculiarità dell’essere umano moderno: la capacità di pensiero simbolico. Grazie a questa nuova facoltà raggiunta casualmente con l’eredità genetica, l’uomo può adesso ricostruire il mondo nella sua testa e riesce a strutturare le proprie esperienze in base all’organizzazione che ne vuole dare.

Oltre quindi all’avanzamento lento e graduale rappresentato dall’evoluzione naturale, la formazione umana sarebbe anche caratterizzata dall’innovazione neurale avvenuta con i Cro-Magnon che rappresenta un punto di rottura nell’evoluzione. Secondo Tattersall ciò spiegherebbe il perché una solo specie di homo sia riuscita a sopraffare tutte le altre e a rimanere l’unica sulla Terra. L’uso del linguaggio, delle pitture rupestri e la capacità di comporre musica, tipiche del pensiero simbolico, sono infatti infinitamente superiori rispetto alla notevolissima intelligenza intuitiva degli ominidi precedenti che tutt’oggi caratterizza la capacità di pensiero delle grandi scimmie.

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