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Patti Smith, incarnazione del rock ribelle | Fuori le Mura

Patti Smith, incarnazione del rock ribelle

16 gennaio 2012

di Sara Rotondi

Una dissacrante interprete e una voce potente, rauca e ammaliante che riesce a entrarti dentro l’anima

Scopri su FLM tutte Le donne del Rock, talenti (al femminile) che hanno fatto e fanno Storia

Mai come negli ultimi anni il panorama pop-rock internazionale si è popolato di interessanti voci femminili.
In un music business ancora troppo affollato dai maschi, si stanno facendo spazio travolgenti sonorità in rosa. Chiunque si sia illuso che solo con il nuovo millennio le donne si siano interessate al mondo rock, dovrà ricredersi.
Da oggi Fuori le Mura vi condurrà in uno splendido viaggio al femminile proponendo, ogni settimana, il ritratto di una donna che ha lasciato il segno nella storia della musica, italiana e mondiale, degli ultimi quarant’anni.

“My sins my own, they belong to me, me – i miei peccati, me stessa appartengono a me”.

Le prime parole della sua versione di Gloria di Van Morrison dicono tutto. Stiamo parlando di Patti Smith o meglio della ‘sacerdotessa del rock’ per eccellenza, al secolo Patricia Lee Smith, scrittrice, poetessa, pittrice, idealista politicante, attrice e cantante, autrice di canzoni indimenticabili e figura chiave della scena underground newyorchese degli anni Settanta.

Nata a Chicago il 30 dicembre 1946, Patti Smith si trasferisce da bambina nel New Jersey. Nel 1967, ancora giovanissima, dà alla luce un figlio e si sposta a New York. Da li, insieme alla sorella, emigra a Parigi vivendo a Charleville, città natale del poeta simbolista francese Arthur Rimbaud (che definisce il primo poeta punk), il quale diventerà il principale ispiratore delle sue opere tanto da dedicargli un libro Il Sogno di Rimbaud e un concerto per ricordare che “il suo spirito è ovunque, è il cuore della gioventù ed è anche il cuore della curiosità e dell’entusiasmo. La sua poesia è con noi”.

Accantonata l’esperienza francese ritorna nella Grande Mela, dove inizia a sfoggiare la sua dote di cantante, esibendosi nei metrò e nei locali underground. In quel periodo vive nel famoso Chelsea Hotel, cuore della vita artistica della città, accanto a gente del calibro di Andy Warhol, Janis Joplin e Leonard Cohen.

Nel 1974, dopo avere pubblicato tre libri di poesia Seventh Heaven, Kodak e Witt, l’artista forma il Patti Smith Group, con i giovanissimi Lenny Kaye (chitarra e voce), Richard Shol (Tastiere), Ivan Kral (Basso) e Jay Dee Daugherty (Batteria) , uno degli ensemble musicali tra i più coesi del periodo. Insieme ai Television di Tom Verlaine, Patti e la sua band conquistano e incantano la città con esibizioni al CBGB’s e in altri locali considerati luoghi di culto del punk. Nel 1975 arriva il successo grazie a Horses, uno dei migliori album dell’artista.Prodotto da John Cale, l’album è un connubio perfetto di musica e poesia. Il disco si apre con le note travolgenti di G.L.O.R.I.A., cover dei Them di Van Morrison, alla quale l’artista aggiunge una sua dissacrante poesia “Gesù è morto per i peccati di qualcun altro, ma non i miei”. Perle dell’album, inoltre, Birdland, ispirato dal libro di Wilhelm Reich A Book Of Dream, Land Of A Thousand Dances di Chris Kenner, Kimberley, pezzo prettamente new wave, Break It Up, la scatenata Free Money e la trasognata Elegie che fanno dell’album una pietra miliare.

A distanza di pochi mesi dall’esordio del mitico Horses Patti Smith si riconferma tra le star più luminose del panorama rock e incide Radio Ethiopia, disco del ‘flusso di coscienza’: un impetuoso delirio rock che si dispiega nella lunghissima ‘orgia sonora’ della title track: dalla solenne Pissing In The River alla rabbiosa Ask The Angel . Da ricordare l’infuriata Pumping (My Heart) e la malinconica Ain’t It Stranger.

Alla fine degli anni Settanta,  Patti si ritira dalle scene a causa di una caduta dal palco durante un concerto, per poi ritornare in splendida forma nel 1978 con Easter disco che riporta la Smith ai vertici della scena rock, contenente la famosa Because The Night, scritta a quattro mani con Bruce Springsteen. Nel 1979 è la volta di Wave, che include brani di successo, quali Frederick e So you want to be a rock’ n’ – Roll Star. La carriera degli anni Ottanta di Patti Smith si arresta ancora: la rocker si ritira a Detroit e sposa Fred ‘Sonic’ Smith, membro degli MC5. Nel 1988 il clamoroso ritorno con Dream of life, dove spicca People Have the Power, (Il potere è nelle mani della gente) con il poetico incipit: I was dreaming in my dreaming – of an aspect bright and fair – and my sleeping it was broken – but my dream it lingered near – in the form of shining valleys – where the pure air recognized – and my senses newly opened” – ero immersa nei miei sogni di una apparenza brillante e il mio sonno è stato interrotto – ma il mio rimaneva chiaro sotto forma di vallate luminose dove si sente l’aria limpida e i miei sensi si riaprono”. Gli anni Novanta sono lontani dai grandi capolavori precedenti: si susseguono il tribale Gone again e Peace and noise, dedicato all’occupazione del Tibet del 1959 e contenente Spell brano in onore del poeta beat Allen Ginsberg.

Nonostante l’insuccesso dei due album, Patti Smith non demorde e recupera tono,  tornando alla ribalta nel 2000 con Gung ho, omaggio a Ho Chi Minh e Trampin’annoverato dalla critica come il disco migliore di questa fase della carriera dell’artista che includono Mother Rose, Cash,  Peaceble kingdom, Gandhi e Radio Baghdad.

Arrivata alla veneranda età di 65 anni, ancora oggi con la sua voce aitante e seducente, la geniale rocker dai jeans sdruciti e lo sguardo allucinato si attesta tra le icone femminili più amate e indiscusse della musica rock. Con il suo stile anticonformista ha sempre dimostrato di non essere una cantante – diva infrangendo tutti gli schemi: all’affermazione di un giornalista che le dice “In America sei considerata ancora una ribelle” lei risponde orgogliosa: “Io non mi sento affatto una ribelle ma per il potere, per certi benpensanti americani, lo sarò sempre. In patria non sono mai stata capita. I miei atteggiamenti e i miei modelli culturali sono sempre stati fraintesi. Meglio così, ho bisogno di essere sempre sul filo, sempre arrabbiata, sempre in tensione per comporre. E quali sono questi modelli culturali così scabrosi? L’elenco è infinito, parlerò di quelli che mi sono stati vicino. Allen Ginsberg che mi ha fatto scoprire i veri significati della Beat Generation: mi ha insegnato a liberare la mente, a essere una vera artista e contemporaneamente una vera attivista, politicamente responsabile, con grande attenzione al sociale. William Burroughs, il principe degli anticonformisti, mi ha insegnato i segreti dello scrivere, a esprimermi attraverso la verità, a non lasciarmi ingannare dalle regole imposte dall’alto. Gregory Corso mi ha dato la forza di combattere per le mie idee senza paura. Tra i grandi del passato sono innamorata di William Blake. Il mio uomo ideale, mi ha folgorata”. E poi il rapporto con il pubblico: “L’energia che passa tra me e il pubblico a volte è intensa come quella di un rapporto sessuale”.

Nella sua opera c’è tutto: politica, spiritualità, rivoluzione, definita non a caso “una sciamana selvaggia che riesce a
elevare le parole oltre il linguaggio, grazie al potere visionario della musica”. Fine. Non c’è altro da dire e non c’è niente da capire.

Immagine anteprima YouTube

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