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“Gymkhana-Cross” di Luigi Davì, quaranta fotografie della classe operaia anni ’50 | Fuori le Mura

“Gymkhana-Cross” di Luigi Davì, quaranta fotografie della classe operaia anni ’50

16 gennaio 2012

di Maria Cristina Costanza

La lettura profonda di un libro e di un autore, operaio attento e scrittore audace

Ciò che lega un autore alla sua opera è indubbiamente un patto inscindibile, fatto di stile e trama, che rende, alla fine, i due soggetti, scritto e scrittore, una verità unica. Una situazione che diviene più che mai forte nel caso di una scrittura nata per raccontare l’autore stesso e la sua vicenda. È questo il caso di Gymkhana-Cross di Luigi Davì (Hacca edizioni), una lettura semplice e piacevole che sottende un mondo profondo e complesso. Negli oltre 40 racconti raccolti nel testo di Davì, infatti, convivono, su tutto, due mondi: quello dell’esperienza autoriale di un giovane 28enne deciso a scrivere per testimoniare la vita in fabbrica, quello di un giovane operaio che guarda al futuro dall’interno del mondo del lavoro.

Gymkhana-Cross debutta nel 1957 nei “Gettoni” di Elio Vittorini e, come gli altri testi di questa raccolta hanno fatto prima di quello di Davì, si evince un chiaro desiderio testimoniale più che letterario. Il racconto affonda nella periferia torinese dopo il conflitto mondiale e prima di quelli che furono ribattezzati “gli anni di piombo”. Un ventennio caratterizzato, anche culturalmente, da una diffusa sensazione di “limbo”, in cui si gioisce della pace ottenuta nel proprio quotidiano, quasi senza troppe pretese. In questa concezione rientra quello che è stato definito il “piccolo paradiso operaio” raccontato da Davì. Un universo, “rappresentazione allegra della classe operaia”, fatto di giornate lunghe e tranquille, vissute in fabbrica fra lavoro e burle, e serate  spensierate a caccia di amore e poco altro. Un mondo semplice raccontato in storie minime, minimaliste, che Sergio Pent, nella prefazione, collega stilisticamente alla scrittura per fotografie del successivo Raymond Carver. Quella dipinta da Davi – spiega Pent – “è una società limpida e schietta nella sua indole provinciale, racchiusa in una carrellata di istintività dialettali circoscritte, dove ancora non compaiono (è questione di pochi anni) le connotazioni linguistiche oscure dei migranti del sud, che di lì a poco avrebbero ‘invaso’ il cortile di casa Davì e potenziato la crescita industriale di Torino, formando le basi per un’Italia diversa, nuova e allargata all’idea di società in via di generoso sviluppo”. Una spensieratezza nel racconto operaio che fornisce non pochi punti di criticità. La fabbrica dell’autore piemontese, cioè, è lontana anni luce da quella concezione di focolaio della rivoluzione culturale italiana fra Sessanta e Settanta. E questo non per un’omissione, ma per quella volontà documentaristica, di raccontare quel preciso momento e quel preciso luogo senza particolari fini se non la testimonianza, che soggiace la scrittura anche di Gymkhana-Cross. Una concezione di scrittura, istintiva e naturale, che rappresenterà il dna dello stile fin dall’inizio della sua esperienza. L’autore stesso, infatti, inviando una sua idea di racconto a Calvino nel ’54 spiega: “come vedi è una storia estremamente semplice, di una semplicità che ha però il pregio di essere voluta”. La semplicità voluta, come la gergalità scelta, che caratterizzano lo scorrere della narrazione, sono, dunque, la firma dell’autore.

Luigi Davì, così, si profila come uno scrittore di cui conoscere la vicenda per comprenderne l’opera più che mai. Necessità a cui assolvono bene i due testi, prefazione e postfazione, rispettivamente di Sergio Pent e Giuseppe Lupo. Due parti che divengono episodi della narrazione e che danno al lettore chiavi di interpretazione capaci di far rivalutare interamente la raccolta. Questo risulta più che mai vero nell’approccio al particolare linguaggio che caratterizza questa come le altre opere di Davì. La così definita da Italo Calvino “vivacità gergale”, per esempio, potrebbe apparire al lettore un segnale di ingenuità creativa e letteraria. Un errore a cui si potrebbe incorrere nel caso in cui si omettesse di leggere la vicenda creativa di Davì narrata, nel suo scambio epistolare con Calvino, in chiusura del libro.

Ancora leggerezza nella scelta, quasi casuale, dei personaggi. Un “io narrativo” che salta da una vicenda all’altra con il risultato, da una parte, di dare un ricco spettro di storielle al lettore e, dall’altra, di mantenere costante il punto di vista dell’autore che si incarna in tutti i protagonisti e in nessuno in particolare.

Queste, dunque, le tante caratteristiche del mondo raccolto nelle trecento pagine di Luigi Davì, un operaio che ha incontrato la forza del racconto, uno scrittore che ha saputo essere nel suo tempo e narrarlo da dentro, facendo di questa dicotomia il suo testamento letterario.

Gymkhana-Cross
Autore: Luigi Davì
Casa editrice: Hacca edizioni
Pagine: 313
Prezzo: 14 euro

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