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Il Discorso sulla servitù volontaria di La Boétie | Fuori le Mura

Il Discorso sulla servitù volontaria di La Boétie

21 novembre 2011

di Paolo Fragomeni

Un pamphlet del XVI secolo spiega perché gli italiani si sono fatti governare da Silvio Berlusconi

Otto anni fa – era il novembre del 2003 e il secondo governo Berlusconi era in carica da circa due anni e mezzo – l’attore Paolo Rossi avrebbe dovuto partecipare alla trasmissione Domenica In per leggere un discorso di Pericle, uno dei padri della democrazia. Una parte dell’orazione diceva: “Qui ad Atene noi facciamo così. Il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi, per questo è detto democrazia. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende la proprie faccende private. Ma in nessun caso si avvale delle pubbliche cariche per risolvere le questioni private”. Qualche solerte funzionario del servizio pubblico televisivo, però, riscontrò nelle parole di Pericle, scritte 400 anni prima di Cristo, un chiaro sentimento antiberlusconiano che evidentemente serpeggiava già nell’antica Grecia.

All’indomani della caduta del quarto governo di B. viene da chiedersi come si sarebbe comportato lo stesso funzionario se, qualche settimana fa, quando il cavaliere era ancora tenacemente avvinghiato alla sella del comando, un qualunque attore avesse proposto alla Rai di recitare un’altra orazione, quella scritta da Étienne de La Boétie – politico e filosofo francese, amico di Montaigne – contro la tirannia.

A rileggerlo oggi il Discorso sulla servitù volontaria, scritto intorno al 1554 e riedito da qualche mese nella collana degli Istant Book di Chiarelettere, dimostra tutta la propria forza e la propria attualità trovando penoso riscontro nella cronaca politica di questi mesi.

Chi sa, allora, cosa avrebbe pensato l’attento funzionario della Rai leggendo di “colui che ha ottenuto il potere dal popolo” e che “da quando si vede innalzato al di sopra degli altri, lusingato da quel che si chiama la grandezza, non si risolvesse a rimanervi ben attaccato”. Forse quel funzionario si sarebbe sentito chiamato direttamente in causa quando La Boétie afferma che, se questo “tiranno” può spadroneggiare a lungo, è perché al di sotto di lui c’è una pletora di sudditi che hanno scelto la strada della “servitù volontaria”. Costoro, quelli che volontariamente si prostrano davanti al despota, che da vicino lo assistono, lo assecondano, lo compiacciono, non sono poi molti. Si contano sulle dita di una mano. “Cinque o sei individui sono ascoltati dal tiranno, o perché si sono fatti avanti da soli, o perché sono stati chiamati da lui come complici della sue crudeltà, compagni dei suoi piaceri, ruffiani delle sue dissolutezze e soci delle sue ruberie”. Ma sotto questi cinque o sei sudditi ce ne sono degli altri e, sotto costoro, altri ancora, cosicché si arriva a “quei seicento [che] ne hanno sotto di loro seimila cui fanno fare carriera, ai quali fanno avere il governo delle province o il controllo del denaro, affinché essi diano libero corso alla loro avarizia e crudeltà”.

Di fronte a queste parole di cinque secoli fa, tanti, troppi sono i volti e i nomi di quei personaggi d’oggi – politici, faccendieri, giornalisti, avvocati, agenti dello spettacolo – che verrebbero alla mente del funzionario Rai e che, solo per rispetto a La Boétie, è preferibile omettere. Basti dire, prendendo ancora in prestito le parole del filosofo francese, che si tratta di coloro che, “rosi da sfrenata ambizione e da non comune avidità, si raccolgono attorno a lui e lo sostengono per aver parte al bottino e comportarsi a loro volta da tirannelli sotto il grande tiranno”.

Ma se il tiranno e i suoi sodali sono giunti al potere, è perché un intero paese glielo ha consentito. Il filosofo francese ne è consapevole e si scaglia infatti anche contro quei “popoli insensati, poveri e infelici” che, con la loro servitù volontaria, hanno permesso al tiranno di spadroneggiare. “Vi ammazzate di fatica – dice un La Boétie che pare essere passato per le sale delle feste notturne di Arcore – perché egli possa trastullarsi e sguazzare nei suoi turpi piaceri”.

Eppure sarebbe sufficiente non sottomettersi più per riconquistare la libertà perduta. “È il popolo che si fa servo, che si taglia la gola, che, potendo scegliere se esser servo o libero, abbandona la libertà e si sottomette al gioco”. E quando la delega al governo temporaneo del paese diviene indiscusso e servile assoggettamento, il potere politico diviene potere dispotico che si ritiene al di sopra della legge e del popolo che lo ha eletto.

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Discorso sulla servitù volontaria
Discours de la servitude volontaire
Autore: Étienne de La Boétie
Traduzione: Fabio Ciaramelli
Casa editrice: Chiarelettere, 2011
Pagine: 72
Prezzo: 7,00 €
Note: in appendice il Saggio sull’arte di strisciare a uso dei cortigiani di Paul H.D. d’Holbach

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