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Fare cultura: Banksy e la street art al Teatro Valle Occupato | Fuori le Mura

Fare cultura: Banksy e la street art al Teatro Valle Occupato

21 novembre 2011

di Alice Vivona

Al Teatro Valle Occupato è stato presentato Exit through the gift shop, documentario di Banksy, in una serata dedicata interamente alla street art

banksy_cabina_telefonica

Lo scorso 18 Novembre la street art è entrata a teatro. Un teatro particolare, lo storico Teatro Valle di Roma, uno dei più antichi della capitale, con velluti rossi e palchetti, dove ha avuto luogo una serata in cui in scena c’era una delle arti più innovative e recenti, la street art, la cui semplicità e ruvidezza ben si bilanciava con  l’antichità del teatro.
La serata è stata organizzata dai ragazzi che dallo scorso 14 Giugno occupano il teatro, minacciato di chiusura a causa dei tagli alla cultura effettuati dall’ ex ministro Bondi, e dell’eliminazione dell’ETI, Ente teatrale italiano, che sovvenzionava, appunto, il teatro.
L’occasione è l’uscita in dvd per Feltrinelli Real Cinema del documentario dell’ormai star degli street artist Banksy, Exit through the gift shop, sulla sua arte e modalità di espressione, un’opera presentata l’anno scorso a Cannes e in seguito addirittura inserita nella cinquina dei documentari in lizza per un Oscar.
Due arti così apparentemente lontane, accomunate da un denominatore che viene letteralmente messo in scena mentre sta per finire la proiezione del documentario: mentre uno dei protagonisti, Thierry Guetta, ossia Mr. Brainwash, scrive su di un muro, alcuni ragazzi salgono sul palco per scrivere sullo schermo allestito per la proiezione: Guetta nel film scrive “Life is beautiful”, i ragazzi “Art is free”, due frasi che quasi si completano.
La street art, nata ribelle, “Barely legal (quasi illegale)”, per parafrasare il titolo della mostra che sdoganò Banksy nel mondo dei collezionisti d’arte e che lo fece conoscere anche negli Stati Uniti, è una forma d’arte che si sviluppa sulla contemporanea, quasi naturale, evoluzione del concetto di Pop art di Andy Wahrol, che prendeva e rendeva “arte” gli oggetti più comuni, come la Campbell soup.

Shephard Fairey, ad esempio, altra icona della street art, protagonista del documentario, divenne famoso grazie ad una faccia: quella del lottatore Andrè the Giant, e di una parola, Obey, tratta dal film Essi vivono di John Carpenter. Arte transmediale, quindi, che attinge dalle altre arti e dal reale per modellarlo a forma di arte, come fa Banksy in una delle sue installazioni londinesi: una cabina telefonica tagliata e piegata come se fosse di gomma e poi rimessa al suo posto, ad osservare l’effetto che fa.
Oppure il lavoro di Invader, street artist francese che da anni lascia il segno nelle città che visita: mosaici che raffigurano appunto gli alieni del famoso gioco arcade anni ’80. Roma è stata una delle ultime città ad essere invasa, nel  Giugno 2010.
Tutto ciò viene preso e frullato e rielaborato dal fantomatico Mr. Brainwash, Guetta, che realizza, grazie al lavoro dei suoi collaboratori, Marilyn di Warhol con il volto di Michael Jackson e bombolette spray della Campbell.
La forza del documentario è non solo quella di raccogliere l’evoluzione della street art in questi ultimi 15 anni, ma anche quella di mostrare l’effetto che produce in coloro che fruiscono quest’esperienza, così come afferma lo stesso Banksy.

Il teatro, dalla sua, si rinnova grazie alla forza, e non solo di volontà, di coloro che da più di quattro mesi lo stanno occupando. Come “da copione” ci sono assemblee, programmi e la gente resiste e dorme nel Valle.
Il lavoro di questi mesi ha portato il teatro occupato alla ribalta dei media, soprattutto per il consenso immediato di molti artisti, per così dire mainstream o che, per tradurre, portano le televisioni e fanno parlare dell’evento. Jovanotti è stato uno dei primi a regalare un concerto per l’occupazione, recenti gli interventi di Dario Fo e Franca Rame.
Le attività portate avanti sono di diversi tipi: dalla formazione, attraverso corsi per macchinisti di scena o di scrittura teatrale, concerti, fino a serate come quella del documentario di Banksy, a dimostrare che l’arte è un bene comune, meglio ancora se condiviso.

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