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In Libia avanza l’islamismo : Fuori le Mura


In Libia avanza l’islamismo





7 novembre 2011 |



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Abdelyalil Mustafa, presidente del CNT libico

Deposto il regime di Gheddafi, in Libia il fervore religioso, sempre latente, è esploso in una società sicuramente conservatrice. L’arena politica non poteva esserne risparmiata.

Abdelyalil Mustafa, presidente del Consiglio nazionale di transizione (CNT), lo scorso 23 ottobre a Bengasi ha parlato di “liberazione del Paese”, e nel suo discorso davanti a decine di migliaia di persone ha affermato che nessuna legge è in contrasto con la Shari’a, il corpo della legge islamica, che diventerà la principale fonte di legislazione.

Tra i partner che hanno contribuito a rovesciare Gheddafi non sono state ben accolte le parole di Abdelyalil, che allude chiaramente alla eliminazione degli interessi bancari ed ad una nuova regolamentazione del matrimonio e divorzio, che potrebbe aprire alla poligamia. Per l’opinione pubblica il riferimento alla Shari’a non è una questione di discussione, anche perché sarebbe in alcuni casi poco più di semplice cambiamento sulla carta. La poligamia, vietata dalla legge, è in realtà praticata da sempre nel paese africano. Diversi uomini intervistati dalla televisione locale sono in favore dell’adozione della Shari’a, anche perché la poligamia è sempre esistita e necessita di un’adeguata regolamentazione. Questo non significa che la maggior parte delle donne la veda favorevolmente, al contrario spesso è rifiutata.

Una moschea a Tripoli

L’interpretazione della Shari’a non è in realtà monolitica e, da nazione a nazione, sono palesi le differenze. Nell’Egitto di Mubarak era la fonte principale della legislazione, in base ad una disposizione costituzionale, e questo non ha impedito che i chierici di Al Azhar, la più prestigiosa istituzione musulmana sunnita, applicassero il divieto di indossare il velo nelle loro università. In Tunisia, dove il turismo è in netta ripresa, i leader di Ennahda, il partito vincitore delle recenti elezioni, si sono affrettati a garantire alle donne musulmane la possibilità di indossare bikini sulle spiagge, nonché la possibilità di consumare in ristorante e bar bevande alcoliche.

Resta però la preoccupazione europea per la rinascita dell’Islam politico in Libia, pur non causando lo stesso allarme del fondamentalismo più radicale presente in stati come l’Arabia Saudita. Ci si chiede il perché di questo fermento nel Maghreb, ma non è necessario scavare troppo per ottenere una risposta: i fedeli hanno sofferto, come nessun altro gruppo, decenni di prigionia e torture in Libia, Tunisia ed Egitto ad opera di gruppi politici a servizio del despota del posto. Le organizzazioni islamiche hanno risposto, come in Libano e  Palestina, costruendo scuole e ospedali al servizio di popolazioni dominate per decenni da élites politiche inclini al saccheggio delle risorse pubbliche, senza esimersi dal formare esponenti politici.

La bandiera libica

Oggi le voci dei leader politici islamici si sentono con sempre maggiore frequenza in Libia. L’accademico Ali Salabi da Bengasi, così come da Tripoli il comandante militare, Abdelhakim Belhaj, non hanno nascosto i loro sospetti verso la classe politica liberale. “Possono guidarci verso una nuova era di tirannia e dittatura forse”, hanno detto, “peggio di Gheddafi”. A rafforzare una probabile ascesa dell’Islam politicizzato (ammesso che tale definizione possa essere ritenuta adatta ad un simile contesto geopolitico) si pone l’attuale crisi economica che certamente discredita le teorie liberiste, favorendo altre forme di sovranità, intesa sia come potere di comando politico che come autorità economica interna indipendente da fattori esterni.

Un’utopia tutta africana? Forse, ma nonostante ciò le possibilità che i partiti vicini all’Islam più radicale si affermino in Libia, e più in generale nel Maghreb, sono alte. Molto alte.

 



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Category: Politica