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Un jazzista (im)perfetto : Fuori le Mura


Un jazzista (im)perfetto





20 giugno 2011 |



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Michel Petrucciani – Body and Soul di P. Fragomeni

È stato presentato a Roma lunedì 6 giugno alla Casa del Cinema di Villa Borghese, Michel Petrucciani-Body & Soul, documentario di Michael Radford dedicato alla figura di Michel Petrucciani, piccolo grande musicista affetto da osteogenesi imperfetta. Dieci minuti in sala di standing ovation e Fuori Concorso in Selezione Ufficiale al 64 Festival di Cannes, la pellicola ricostruisce attraverso un’interessante collezione di interviste e materiali d’archivio la vita e la carriera dell’ incredibile talento racchiuso in un corpo alto poco meno di un metro. Genio senza età, fragilissimo e portato in braccio come un bambino, il mago-stregone del pianoforte ha tutta l’aria del vecchio saggio nei panni di un ragazzino. Cresciuto a pane e jazz, all’età di 13 anni è già un formidabile improvvisatore. Lavora con musicisti del calibro di Dizzy Gillispie, Steve Gadd e Jim Hall e vende un milione e mezzo di album. Sopravvissuto con un certo orgoglio a Charlie Parker, Michel Petrucciani scompare nel 1999 a New York appena trentaseienne. Era nato ad Orange, sud della Francia. Tra aneddoti leggendari e affascinate rievocazioni delle donne che l’amarono, Michael Radford lo racconta come uomo di passioni totalizzanti e assolute, che può bruciare all’inferno e poi volare altissimo tra gli angeli del paradiso portandosi dietro il suo strumento. Una spinta propulsiva animò la sua vita e lo condusse attraverso tutte le direzioni possibili. Fino al dolore fisico, alla spossatezza. Alle ossa che saltano sulla tastiera. Affamato di vita. Di tutto. Estroso ed esuberante, selvaggio e creativo, Petrucciani suona il piano ed è il piano. In un mondo di giganti da addomesticare, il musicista visse da istrione, desiderando il cambiamento come l’aria. Michel Petrucciani-Body & Soul distribuito e prodotto dalla PMI di Andrea Stucovitz in collaborazione con Les Film d’Ici e la Looks Film and Television, è frutto della sinergia produttiva che ha unito Italia, Francia e Germania e ha ottenuto il supporto di Eurimage ed il riconoscimento dell’interesse culturale nazionale da parte del Mibac. Sarà nelle sale italiane il 22 giugno, distribuito in 15 copie. Erano presenti alla conferenza stampa il regista Radford (tornato alla forma documentaria, esplorata ai tempi dei primi incarichi per la BBC e già premio Oscar per Il postino), Alexander il figlio di Petrucciani, erede della malattia del padre e il produttore Andrea Stucovitz.

Come è arrivato alla decisione di farlo? Cosa l’ha emozionata?

Michael Radford: Era il racconto di una storia straordinaria fuori dal comune, un fenomeno inedito che arrivava dalla Francia, gestito senza pudori, con sincerità. Non conoscevo Petrucciani prima di questa indagine ed è stata una meravigliosa scoperta. Michel era nato con un pesante handicap fisico, ma possedeva il talento per la musica e per la vita. È stato soprattutto un grande essere umano. Non ho voluto dare una lezione morale, ho privilegiato l’umanità del personaggio, la sua gioia di vivere, l’umorismo, i difetti.

Cosa ha pensato quando ha visto il documentario?

Alexander Petrucciani: Un gran lavoro. È stato di sicuro complicato per il regista scremare realtà e leggenda dalla figura di mio padre. Ho visto un uomo dal mio punto di vista di uomo. Conoscevo bene mio padre ma alcuni aspetti della sua personalità ancora mi sfuggivano. Ha davvero pregi e difetti, come chiunque.

Che padre è stato Petrucciani?

Alexander Petrucciani: Era straordinario. Aveva una volontà di ferro e la sindrome del divo. È stato il mio eroe. La sua serena consapevolezza di essere extra-ordinario poteva infastidire molti, essere scambiata per egocentrismo. Io non sono al suo livello, ma ho 21 anni e sono qua.

In che misura il suo modo di essere musicista è legato in azione e reazione alla figura paterna?

Alexander Petrucciani: Quando avevo nove anni mi rifiutavo di fare musica perché mi sembrava che ero già troppo vecchio e competere con lui era davvero una vergogna! A 16 amavo già tutta la musica ed ho cominciato a strimpellare con la chitarra, poi ho capito che non sarei mai diventato come Jimi Hendrix. Tutti in famiglia facciamo musica, da sempre. È stato un dono per me. Adesso mi appassionano le sonorità elettroniche. Volevo fare musica non per mio padre, ma ora sento il bisogno di conoscerela per affrontare la sua eredità e raggiungere i miei obiettivi. Lui voleva che io suonassi il violino. Non ero d’accordo e non ho più toccato uno strumento fino alla sua morte.

Che significa portare in Italia un’opera di questo tipo?

Andrea Stucovitz: È una scommessa. Il mercato italiano non promuove e non ospita di buon grado in sala film di carattere musicale. Sono qui nella doppia veste di produttore e distributore. L’impatto con certi meccanismi non sempre è stato facile. Abbiamo scelto di non doppiarlo, ma di sottotitolare il documentario per ricavarne una maggiore autenticità. Il pubblico magari non sarà ampio, ma sarà felice.

Qual è stato l’approccio alla materia musicale?

Michael Radford: Il documentario è un grande lavoro di montaggio ed edizione, ma anche di forte istinto. Non avevo un preciso punto di vista sul materiale quando ho iniziato a lavorarvi. Non volevo avere nessun pregiudizio. La ricerca della verità si fonda sull’esistente. La musica, sempre presente, è una scelta istintiva rispetto ai blocchi delle immagini. È un’opera piena di musica, ma non è un film musicale tout court. È un film sul talento di un uomo che sapeva vivere. Una lezione per tutti gli esseri umani, non solo per gli estimatori di Petrucciani. Seguivamo la sua vita e la profondità della sua musica. Dapprima la sua vulnerabiltà, poi l’estro, la fusion music, la sperimentazione, fino all’essenza musicale, fatta di quattro note, semplici, assolute. Ed è quella che mi fa ancora piangere quando la ascolto. Lavorando cresce la conoscenza della musica. È stato un autentico work in progress.

È stato difficile reperire il materiale?

Michael Radford: Tutti hanno contribuito con filmati di repertorio, amatoriali, documenti privati. Grazie a loro ho potuto recuperare nel documentario le sequenze d’archivio. Ho scelto di non dare un nome a chi ha accettato di ricordarlo, perché alla fine è irrilevante. Volevo trattare il repertorio secondo uno spirito personale. Cercavo l’uomo, l’essenza, evitando l’agiografia, la santificazione. Abbiamo solo sperato che la verità esistesse nei pezzi che avevamo.

Su quale artista italiano potrebbe realizzare un simile affresco, ha degli studi musicali alle spalle?

Michael Radford: Se avessi avuto predisposizione per la musica non avrei fatto film! Mi sono dilettato con sax e oboe ma non avevo un briciolo di talento per continuare. Posso solo dire di amare tantissimo la musica. Non sono un profondo conoscitore di quella italiana, ma un forte legame mi stringe al vostro Paese e dopo la collaborazione con Massimo Troisi è diventato ancora più forte. Napoli è stata la città protagonista del mio primo documentario per la BBC, La Madonna e il Vulcano, del 1976, in cui le radici della musica popolare si sposavano agli ardori religiosi della gente del Sud. Un’esperienza molto emozionante.

 



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Category: Costume