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Le notti di Chicago : Fuori le Mura


Le notti di Chicago





23 maggio 2011 |



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Espressionismo visivo per eccellenza. La pellicola di Von Sternberg (alla quale collaborò anche Howard Hawks), Le notti di Chicago è quel che gli addetti ai lavori definirebbero cinema allo stato puro. Antesignano del genere gangsteristico, la pellicola uscì in origine con il titolo Il castigo e trovò già in quel 1927 nell’anno della sua uscita notevoli consensi, tanto da vincere l’Oscar per la migliore sceneggiatura  nell’anno della prima edizione del prestigioso e discusso premio statunitense. Come ogni cult che si rispetti nessuno credeva nel progetto tanto che Ben Hecht voleva essere eliminato dai crediti come sceneggiatore del film, che all’inizio fu proiettato in una sola sala a New York. In brevissimo tempo, invece, Le notti di Chicago ebbe un notevole apprezzamento da pubblico e critica. Questo perché la pellicola di Von Sternberg è un gioiello prezioso e straordinario sia dal punto di vista narrativo che visuale. Infatti, l’opera del regista tedesco, che sostituì dietro la macchina da presa Arthur Rosson, possiede al suo interno tutti gli schemi del genere. Anzi fu proprio la diegesi di quello script a crearlo il genere in sé del gangster movie con parecchi dei suoi elementi: il malavitoso dalle caratteristiche psicologiche ambigue, che sotto la scorza possiede anche qualche sentimento, la donna divisa fra due uomini, rappresentanti il bene e il male, la scelta che porta al riscatto finale pagato a caro prezzo.

Chiaro esempio di cinema espressionista che si confà alla formazione intellettuale del tedesco Von Sternberg, Le notti di Chicago rappresenta degnamente il tramonto del cinema muto nel suo anno di spartiacque – quel 1927 nel quale Il cantante di jazz, primo film sonoro, si presentò come un terremoto per l’industria del cinema. Un

Locandina originale del film

vero e proprio canto del cigno, la fine di un’era nella quale l’immagine in movimento, privata di tutte le sue contaminazioni, nonché ibridazione e conseguenza dell’arte pittorica, è essenza cinematografica. Restano storiche le scene della rapina nella gioielleria, della fuga dalla prigione, della festa del Carnevale, della donna  che seduce il nuovo innamorato; scene che richiamano fortemente ai simbolismi delle avanguardie europee, alla natura psicologica di una mescolanza fra realtà e sogno.

Alcuni potrebbero pensare che sia paradossale che un’opera di questo calibro, realizzata dal regista più fortemente fedele al senso europeo di qualità filmica e artistica della sua madrepatria tedesca abbia realizzato una pellicola che diede origine ad un genere così americano come il gangster movie, che trovò da lì a qualche anno una florida e interessante produzione sancita da successi come Piccolo Cesare e Angeli con la faccia sporca. Ma in fondo però il paradosso si spiega facilmente: il cinema americano di quegli anni fu una vera e propria fucina per grandi autori europei che fuggivano dai regimi totalitari e trovavano negli Stati Uniti quella libertà artistica che veniva loro negata in Europa. E così la propria formazione fu rielaborata per un cinema di intrattenimento sotto il quale si nascondevano invece temi sociali portanti che trovavano nel genere creato, il gangster-movie, la cosa più vicina alla realtà di quegli anni, di lì a poco ancora più tragica a causa dell’economia del Paese. Trovare attraverso la storia di un malavitoso, che si sacrifica per permettere l’amore fra la sua donna e il suo braccio destro, ha un che di
profondamente rivoluzionario.
Allora, sette anni prima della fondazione del fazioso codice Hays, erano permesse
libertà e coraggio di denuncia sociale e caratteristiche psicologiche in personaggi ambigui, che forse nemmeno oggi potrebbero essere accettate.

L’uomo che si sacrifica per amore è un archetipo narrativo vecchio come il mondo, ma nel cinema di quegli anni acquisisce una connotazione politica e morale, un senso di denuncia sociale nei confronti di un mondo che non lasciava scampo (che avrebbe trovato

Josef Von Sternberg

ancora più spazio nel cinema noir dell’immediato dopoguerra, ancora più debitore del cinema europeo di quanto lo sia mai stato il genere gangsteristico). Probabilmente prima del codice Hays e dell’obbligatorietà dell’happy end il cinema americano ha prodotto i megliori finali di sempre, poi sempre più rammolliti. La potenza de Le notti di Chicago si definisce sotto tutti questi aspetti.

L’opera trova la ragione di essere una pietra miliare proprio attraverso la forza espressiva del muto e del bianco e nero. Ovvero la potenza dell’arte scarnificata di elementi di cui non si sentiva la necessità: il colore e il suono.  A guardare con attenzione il film sembra di essere all’interno di uno dei primi esempi di mescolanza di cinema d’autore e di genere, dove in entrambi i casi le caratteristiche d’appartenenza restano fedeli a se stesse. L’opera ha avuto il “pesante” compito di ispirare Marcel Carné per Alba tragica e Borges nella stesura de Uomo all’angolo della casa rosa. Già queste due referenze probabilmente sono sufficienti.


Le notti di Chicago
Underworld
Regia: Josef Von Sternberg
Cast: George Bancroft, Evelyn Brent, Clive Brook, Fred Kohler, Larry Semon
Produzione: Paramount USA 1927
Durata: 81’ b/n
Distribuzione: CG Home Video nella collana D-Cult
Caratteristiche dvd: edizione restaurata, didascalie in inglese con sottotitoli in italiano, schede e contenuti di approfondimento



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Category: Cinema