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Incidenze ed incidenti: noir esistenziale per Philippe Djian | Fuori le Mura





Incidenze ed incidenti: noir esistenziale per Philippe Djian

21 marzo 2011

di Flavio Camilli


I fan della teoria della compensazione applicata ai motori (macchina grande = piccola virilità), e che con tutta probabilità posseggono una vettura dalla dimensioni ridotte, adoreranno Marc, protagonista del bel Incidenze di Philippe Dijan (Voland).
Professore cinquantenne, scrittore fallito, fratello ben più che affettuoso, è solito ospitare nella sua minuscola cinquecento molte delle studentesse che hanno l’ardire di chiedergli “ripetizioni” (sì, le virgolette indicano che si tratta di una metafora sessuale).
Una mattina, però, Barbara, talentuosa ed ennesima preda dell’ambiguo docente, non riacquista più il fiato perso durante la notte di passione. Giace morta tra le lenzuola e lo stupore del povero Marc che, dopo pensieri di certo non encomiabili, decide di far sparire il corpo gettandolo in un crepaccio.
Un lavoretto pulito per un’anima lorda: egli non è l’assassino, ma ci si sente, soprattutto quando a chiedere spiegazioni spunta Myriam, l’avvenente madre della studentessa di cui si innamora perdutamente.
Grazie a lei Marc scende finalmente a patti con la propria esistenza facendo i conti a tavolino: cosa non ha mai conosciuto, quel che si è sempre lasciato sfuggire, ciò a cui è giusto rinunciare, quel che invece pretendere. Paradossalmente, un corpo scaraventato da un dirupo, come il pesetto mancante di una bilancia invisibile, gli permetterà di conquistare un poco di equilibrio.
Avendo vissuto una vita di facciata, però, non ci si può certo aspettare che, una volta trovata la felicità, questa sia davvero quella che crediamo…

Il protagonista di Incidenze è un personaggio molto ben caratterizzato: Dijan, pur tratteggiando solamente i contorni della sua storia e della sua personalità, ci restituisce un ritratto dettagliato che è possibile ritagliare a partire dalle concretezza delle azioni: la scelta del narratore onnisciente, che non si azzarda a perforare – tranne rari casi – la testa del personaggio, è un tocco di sapienza; non induce il lettore in processi identificativi che, alla luce delle scelte difficili e degli opinabili comportamenti, non avrebbero senso di essere: con Marc non è questione di giusto o sbagliato, quanto di reale. Non è questione di giudizio (anche se siete cinquantenni donnaioli armati di cinquecento) quanto di partecipazione umana, compassione che va aldilà delle contingenze. Stringersi attorno alla certezza che a governarci è il Caso – e i suoi incidenti – e che spesso il nostro stesso agire non è che un’autocondanna, perché dal Caso si è sempre sconfitti. Non essere dentro la testa del personaggio aiuta sicuramente ad universalizzare il tutto.

Ma quelle del titolo sono Incidences, implicazioni, non incidenti.
Sarebbe interessante interpretare il titolo dal punto di vista geometrico, con l’incidenza come elemento di pienezza dell’intersezione tra due insiemi differenti, che si dicono, appunto “incidenti”, quando la parte che hanno in comune non è vuota.
Marc, in effetti, vive di incidenze, di elementi comuni ad altri insiemi che non hanno molto a che fare con lui: Marianne, la sorella anoressica alla quale è legato da un rapporto morboso le cui radici giacciono nell’humus di un’infanzia complessa e terribile; Richard Olso, l’infido e mediocre direttore di dipartimento che cerca (invano?) di insidiare Marianne; le studentesse ammaliate dal suo savoir-faire; perfino la bella Myriam per cui passa da catalizzatore del dolore per una figlia scomparsa ad amore tormentato e totalizzante.
C’è sempre qualcosa che Marc deve cedere per poter fare un passo avanti: sempre qualcosa con cui è costretto a riempire il vuoto dell’intersezione, perché nonostante il suo egocentrismo è profondamente svincolato dal mondo, completamente solo.

Questo personaggio complesso, che a volte si ama per la schiettezza e spesso si odia per l’ottusità, è anche l’occasione per una riflessione metaletteraria: fermamente convinto che il mondo – editorial-letterario soprattutto – sia in mano ai mediocri (di cui Richard è fiero portabandiera) capisce presto che il suo compito non è insegnare agli studenti come diventare buoni scrittori ma come essere imbrattacarte di successo. Quasi una speranza di psicologia del contrario, quella di Dijan, l’anelito per cui mettendo in bocca ad un personaggio non proprio raccomandabile parole di questo tipo si possa finalmente delegittimarle svelandone l’eresia intrinseca, purtroppo spesso avvalorata dalle cifre del mercato europeo.

Marc si sbaglia su molto, ma ha ragione su una cosa che non può mancare, sia che siate Dostoevskij 0 Moccia: il ritmo. Non c’è narrazione che possa essere definita tale che non debba ricordare di sfruttarlo, spremerlo, costituirvisi sopra, dentro e attraverso: senza ritmo non c’è racconto; senza racconto non c’è vita: almeno per il professore che, benché Dijan riesca quasi nell’alchemica magia, rimane un uomo di carta.
Certo è che se l’autore fosse stato allievo di Marc, avrebbe imparato bene la lezione: Incidenze è ritmo puro; il linguaggio è secco, la cadenza sincopata, le descrizioni evocative ma non ridondanti. E, nonostante questo, si tratta di un romanzo sospeso, in cui il noir è all’interno e si impossessa degli uomini senza che questi se ne accorgano.
In fondo, pensa il Marc accanito fumatore, una sigaretta in più non può fare la differenza. Ma se sei così fortunati da avere salvi i polmoni, al cuore si deve maggiore attenzione.

Incidenze
Incideces

Autore: Philippe Dijan
Traduzione:
Casa editrice: Voland, 2011
Pagine: 176
Prezzo: 14 €

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