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Una vita facile: l’Italia dei settantenni di Lucio Pellegrini | Fuori le Mura





Una vita facile: l’Italia dei settantenni di Lucio Pellegrini

28 febbraio 2011

di Susanna D’Aliesio


Pierfrancesco Favino, Vittoria Puccini e Stefano Accorsi

Mentre in questi giorni Mediaset rispolvera gli esordi di Lucio Pellegrini, noto ai più per aver diretto Luca e Paolo in  E allora Mambo e Tandem (anche se maggiori attenzioni dovrebbero essere rivolte alla sua terza opera  Ora o mai più, unico film realizzato sui fatti del G8 di Genova), le sale cinematografiche italiane si preparano per l’uscita del suo ultimo lavoro: Una vita facile, è, a detta del regista, “una personale esplorazione della commedia italiana”.

Commedia che rimanda fortemente alle perle di un genere tipico italiano, che negli anni Sessanta aveva raggiunto la sua Età dell’Oro. Il riferimento per niente celato a Riusciranno i nostri eroi con Sordi e Manfredi è voluto e in qualche modo sottolinea l’esistenza di una discendenza più o meno degna ma che ironizza ancora sull’italiano furbetto, ipocrita, egoista; ritraendo un’italianità forse immutata da trent’anni a questa parte.

Pierfrancesco Favino: ”Io non so se  Sordi o Manfredi allora si ispirassero a degli italiani veri, mi sa che forse sono gli italiani che sono così. Con le loro facce, le loro modalità, dalla loro capacità di raccontarli emergeva quell’italianità e se a trent’anni di distanza c’è ancora la possibilità di farlo forse, sociologicamente, non è proprio una bella pacca sulla spalla che ci possiamo dare. Per quanto mi riguarda c’è stato un omaggio”.

Si comincia con una commedia, poi si passa a un film drammatico infine si finisce con una sorta di giallo sentimentale. Come nasce questo curioso mix di generi?

Lucio Pellegrini: Questa è la natura del film, a me piace provare a sperimentare una commistione di generi diversi. Questa è essenzialmente una commedia, al suo interno ha una serie di altri elmenti narrativi che mi divertiva provare a combinare cercando di trovare un equilibrio. C’è anche una parte avventurosa, caratteristica interessante a livello stilistico. L’elemento della commedia è dominante però c’è tanto altro”.

E’ raro che in una commedia ci siano tre personaggi negativi, come giudicate i vostri?

Pierfrancesco Favino: “Io credo che fortunatamente nessuno dei tre è un santo. Mentre giravamo c’era la sensazione di poter  tornare a fare dei personaggi che erano cari alla commedia degli anni sessanta. Dal punto di vista dell’attore è una cosa molto divertente ma da quello del pubblico, non sta a me giudicare se è bene o male poter tornare a fare quei personaggi che facevano Manfredi e Gassman, riconoscibili nella cronaca quotidiana. Per me Mario rimane un  fetente, nel senso che se uno ha dentro di sé qualcosa di buono, ma decide di sfruttare delle situazioni a proprio vantaggio e basta, può anche essermi simpatico ma fetente rimane. Credo che questa cosa  sia veramente la particolarità del film e  che sia stato molto intelligente usare l’Africa non in termini buonisti ma per risaltare le differenze tra un paese che ha bisogno e personaggi che hanno dei bisogni molto personali”.

Stefano Accorsi: “La cosa che mi è piaciuta subito è che in questo film nessuno è come sembra, nessuno dei personaggi si può capire al primo sguardo, possiamo farci un’idea precisa all’ inizio che poi viene via via smentita.  Il mio personaggio ha  aspetti  che possono essere molto forti e, come diceva Pierfrancesco, ben nascosti con la volontà quasi di cancellarli, di rifiutarli. In parte l’esperienza africana del mio personaggio è data anche da questo, non soltanto dai buoni sentimenti. Un’altra cosa che mi è piaciuta molto del film è che si evitano i luoghi comuni, i facili sentimenti, il buonismo piuttosto che un cinismo solo di superficie. E’ veramente un film che racconta bene vari aspetti dell’egoismo che può essere più o meno sano ma sempre di egoismo si tratta”.

Vittori Puccini: “Per me Ginevra com’è raccontata nel film mi fa molto ridere, la trovo buffa, mi divertono le sue zone d’ ombra, i suoi difetti, le sue fragilità perché alla fine è una donna un po’ superficiale, che arriva in una realtà così diversa dalla sua abituata alla vita comoda e facile. Arriva in Kenya e pretende di dettare lei le sue regole a questa terra così diversa dalla sua perché lei arriva meravigliosa,  splendida come se si immaginasse di approdare in una specie di villaggio Valtur. E’ un pesce fuor d’acqua e rimane un po’ ambigua per tutto il film perché non si capisce quanto sia una manipolatrice che usa il suo fascino e le sue armi per controllare i due uomini. Disposta a sacrificare tutti e due per arrivare al suo obiettivo quanto invece è una donna fragile e insicura che ha bisogno di aggrapparsi all’uomo perché è una certezza che lei non riesce ad avere da sola.  Nel finale si rivela la sua natura. Questa terra tira fuori dai tre personaggi quello che sono, come se, da una parte amplifica quello che sentono, dall’altra la loro autentica natura. E’ un personaggio sicuramente molto distante da me, fa delle scelte che personalmente forse non condivido però è comunque la storia è raccontata attraverso il linguaggio della commedia, dell’ironia, in maniera ingenua. Il mio personaggio credo servisse in quel modo per far risaltare  i comportamenti degli altri tre e  per rappresentare un altro tipo di italiano nel mondo, un po’ più consapevole”.

Lucio Pellegrini: “Mi sembra che ormai in generale si ride di tutto,  mi pare la rappresentazione di un mondo che o si accetta o si rifiuta. Per quanto riguarda la mia generazione o  si integra oppure non accetta quello che gli succede. E’ diventato uno schema quasi calcistico, si fa il tifo, anche i temi politici sono affrontati tutti in questo modo, non c’è uno spazio per l’esibizione, c’è solo uno spazio per essere a favore o contro. La nostra generazione di quarantenni, che continuano ad essere figli in questo paese di vecchi, loro vittime per combinazione dello stesso personaggio, il padre di Stefano, che poi determina il destino di fuga del personaggio di Pierfrancesco. Lui è un  manipolato da un cattivo molto più cattivo di lui che per combinazione è un settantenne in quest’ Italia che oggettivamente mi sembra orribile e totalmente atemporale.

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