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Un anno in prima pagina. L’eternità in tutte le altre | Fuori le Mura





Un anno in prima pagina. L’eternità in tutte le altre

21 febbraio 2011

di Flavio Camilli


Caffè, cornetto, giornale. È il must della mattina di molti italiani. O forse dovrebbe esserlo.
Per i più pigri o i più indaffarati Nicola Graziani riunisce nell’interessante Un anno in prima pagina (Nutrimenti) 365 giorni (più o meno) del meglio della Stampa nazionale.
Operazione gradevole e sicuramente gradita agli amanti del giornalismo ma anche a coloro i quali aspettano l’uscita del dvd per guardare l’ultima serie del telefilm preferito. Roba del tipo “tutto insieme c’è più gusto”.
Inutile dire che lo stesso Graziani, nell’approcciarsi all’originale operazione spera se non di antologizzare il già letto, almeno di comprimere tra prima e quarta di copertina se non altro il già sentito dire.
Lo sa anche lui, però, che potrebbe non essere così: in fondo i giornali hanno tanta carta e, si sa, il caffè e il cornetto finiscono più o meno a pagina 4. Tutto quello che c’è dopo è già vecchio, all’uscita dal lavoro.

Si parte dall’Africa e lì si ritorna con ben altro spirito. Il racconto che apre l’antologia è quello del viaggio di Titti, fuggita dalla Libia e sbarcata in Italia dopo un naufragio in cui ha visto morire 73 persone. Dalla terra di Gheddafi al Sud Africa per raccontare il fallimento della nazionale di Lippi, per poi tornare, anacronisticamente ma a pieno diritto allo “scossone orrendo” aquilano e alla cronaca delle macerie di Onna attraverso le righe di chi, nonostante le perdite, si è seduto davanti al pc e ha trasformato il dovere di cronaca in atto di fede.
I 41 articoli (estratti delle migliori pagine, indipendentemente dagli schieramenti) raccontano l’Italia del caso Marrazzo, quella della sfrontatezza berlusconiana e dell’apparizione sanremese di Bersani, lo Stivale del terremoto e dell’indifferenza, dell’Inter di Mourinho, delle poesie di Guccini, dell’ultimo minestrone di Mike Bongiorno che ha spezzato (o appesantito?) il silenzio dell’ “amico” Silvio o della risata amara, finale, del grande Raimondo Vianello. Ma c’è anche il Mondo dell’onda nera, dei bambini soldato, dell’influenza suina, della “Spoon River” dI France Telecom, dello Tsunami dell’isla Robinson e del gong suonato da una bambina che ha salvato tante vite. Ma non tutte.

In altalena tra l’invisibilità e le deformanti luci della ribalta, le voci di chi si è preso la briga di narrare: i giornalisti, teorici guardiani dell’obiettività.
Seriamente, c’è ancora qualcuno, in questo millennio complesso, che crede alla supposta neutralità della Stampa?
La quotidiana guerra delle prime pagine (o delle Homepage: fate voi, bit e atomi si confondono ormai da anni) non lascia trapelare dubbi: oggi, soprattutto, il giornalismo è il campo dell’opinione, del filtro, del punto di vista.
Lungi dall’architettare una retorica apologia del relativismo, c’è da dire però che un giornalismo così, che bonariamente definirei “umano”, è l’unico possibile, perché, rivelo a chi continua a pretendere l’oggettività dei fatti e dagli scrittori, le redazioni sono fatte da uomini che compiono scelte, fosse anche quella tra una parola ed un’altra.
Un anno in prima pagina non fa che sottolineare la fralezza delle posizioni allorché si sovrappongono ai punti di vista. Certo, mi si potrà ribattere che ci sono i fatti e che il fatto non è interpretazione: è, e basta.

Data la nostra costituente impossibilità dell’onniscenza è però inevitabile, per ogni uomo che vuole sapere, conoscere, condividere quel che accade sotto casa come ad un oceano di distanza, demandare la cronaca dei fatti ad altri, a questa “casta”, certo indispensabile (sì, anche nell’epoca del citizen journalism) e un po’ perversa. E quando il fatto diventa notizia è impossibile scinderlo dall’interpretazione che ne viene data.
Anche la scelta di una parola è politica, è morale, è, per forza di cose, lettura e rielaborazione. Perché le notizie le scrivono gli uomini. I fatti, le contingenze
. E a chi vuole rispondere che sono le azioni umane a determinare gli eventi, dirò che si sbaglia: è la vecchia storia del butterfly effect, per cui un battito d’ali di farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo.
A meridiani di distanza, i cronisti racconteranno il meraviglioso spettacolo di Madre Natura o la sua cieca furia: il giornalismo è condannato a dire sulle conseguenze, mai sugli effetti. Risalire la china fino alla cima è impresa impossibile per chi, per quanto possa scalare, rimarrà sempre alle pendici. L’obiettivo, allora, può essere solo raccontarle nel miglior modo possibile.

Un anno in prima pagina
Il meglio di dodici mesi di giornalismo italiano

A cura di Nicola Graziani
Casa editrice: Nutrimenti, 2010
Pagine: 192
Prezzo: 13 €

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